09
Dic

Approvato il “Doha Climate Gateway”. C’è l’accordo per il Kyoto-2, ma pochi progressi sui finanziamenti.

 il resoconto del nostro Federico Brocchieri per i-Think Italia


Giornata interminabile quella di ieri per i delegati alla COP18: molti hanno trascorso la notte al Convention Center per non perdere nemmeno un passo della maratona che ha tenuto tutti con il fiato sospeso fino alle 18.45 ora locale, quando dopo un intero pomeriggio di trattative dietro le quinte il presidente della COP ha acceso il microfono e, uno dopo l’altro, ha approvato tutti i testi presentati in mattinata tra gli applausi dei presenti.

Il secondo periodo d’impegno del Protocollo di Kyoto (2CP) avrà una durata di 8 anni (dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2020), e tutte le Parti ad esso aderenti saranno soggette a degli obblighi di riduzione delle emissioni che potranno essere implementati, tramite politiche nazionali, per raggiungere livelli più ambiziosi; è stato dunque identificato nel 2014 l’anno di revisione, in corrispondenza con l’uscita del V Rapporto IPCC che aggiornerà i propri modelli indicando le misure necessarie per ridurre al minimo gli effetti dei cambiamenti climatici.

Non la soluzione, ma lo step necessario.
Sebbene siano insufficienti a garantire l’aumento di temperatura media globale al di sotto dei 2°C (e tantomeno a risolvere la crisi climatica), gli impegni di riduzione previsti dal 2CP soddisfano le aspettative minime riposte sulla COP18 non solo per mantenere in vita l’unico strumento vincolante esistente, ma soprattutto per garantire una fase di transizione regolamentata fino al raggiungimento del nuovo accordo globale (previsto per il 2015) sotto la guida della Durban Platform.

Limiti a carry-over ed emission trading.
L’accordo pone limiti importanti ai cosiddetti carry-over (il trasferimento dei crediti dal primo al secondo periodo d’impegno), che non potranno superare il 2.5% delle quantità di emissioni assegnate al fine di non vanificare le nuove misure di mitigazione intraprese; segnali positivi al riguardo sono giunti, subito dopo l’approvazione del testo, dagli interventi di UE, Norvegia, Australia, Giappone e Principato di Monaco, i quali hanno espresso l’intenzione di non effettuare il carry-over degli AAUs (Assignement Amount Units) derivanti dal primo periodo d’impegno.
Si è poi stabilito che l’accesso ai meccanismi di emission trading relativi all’acquisto e al trasferimento di CERs (Certified Emission Reductions), AAUs, ERUs (Emission Reduction Units) e RMUs (Removal Units) sia riservato esclusivamente ai paesi che abbiano presentato impegni di riduzione per il secondo periodo d’impegno.

Pochi i passi in avanti sul tema finanziamenti: il Green Climate Fund non ha ricevuto i fondi necessari per garantire un adeguato sostegno ai paesi in via di sviluppo, ed anche gli altri testi in materia di finanza a lungo termine si sono rivelati deboli e privi di contenuti rilevanti.
Stesso discorso vale per il testo su Loss and Damage, che si limita ad invitare le Parti ad avviare azioni per prevenire e porre rimedio ai danni causati dai cambiamenti climatici, subordinandole però ai principi delle comuni ma differenziate responsabilità e delle rispettive capacità, e alle priorità di sviluppo regionali e nazionali: in poche parole, niente promesse.

Quale futuro?
Concluso il mandato del Gruppo di Lavoro sul Protocollo di Kyoto (AWG-KP), adesso la palla passa a quello sulla Durban Platform (AWG-ADP), al quale spetterà il compito di riportare tutti i paesi attorno allo stesso tavolo. Ma sono già sorte le prime difficoltà: la Russia, ad esempio, pare sia rimasta insoddisfatta della gestione delle negoziazioni da parte della presidenza del Qatar, e nella giornata di ieri aveva stabilito un fronte comune con la Polonia (che ospiterà la COP19), la quale a sua volta ostacola da più di un anno le iniziative dell’Unione Europea.

Tanto lavoro, dunque. Ma le premesse sembrano esserci.

Sintesi degli impegni di riduzione:

Unione Europea: -20% (estendibile a -30%) rispetto al 1990;
Australia: -0.5% (estendibile a: da -5 a -15/ -25%) rispetto al 2000;
Norvegia: -16% (estendibile a -30%/-40%) rispetto al 1990;
Principato di Monaco: -22% (estendibile a -30%) rispetto al 1990;
Liechtenstein: -16% (estendibile a -20%/-30%) rispetto al 1990;
Kazakistan: -5% (estendibile a -7%) rispetto al 1990.

Come preannunciato, restano invece fuori dal 2CP Canada, Giappone, Nuova Zelanda, Russia e Turchia, oltre agli USA (che non hanno mai aderito al Protocollo di Kyoto).

 


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