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Nov

Cambiamento climatico e Mediterraneo: cosa bolle nel Mare Nostrum?

mappa_del_mediterraneo

di Marco Milano

Il bacino del Mediterraneo verrà stravolto dal cambiamento climatico, con espansione delle zone desertiche, estinzione di varie specie e un generale squilibrio negli ecosistemi. Questo è lo scenario che emerge da un recente studio pubblicato su Science.

A rilanciare l’allarme Mediterraneo è un team di ricercatori di Aixe-Marseille, guidati da Joel Guiot, combinato modelli climatici e modelli sull’evoluzione della vegetazione. Lo studio ha consentito di ricostruire la storia degli ecosistemi del Mediterraneo coprendo un arco di tempo pari a circa 10mila anni, dall’Olocene ad oggi. Per far questo, è stato necessario raccogliere una mole enorme di dati attraverso il carotaggio del polline, che consente di recuperare strati di residui vegetali di diverse epoche, proprio come gli altri tipi di carotaggio (per esempio le carote di ghiaccio usate per studiare la concentrazione di CO2 atmosferica nel passato). In sostanza, i ricercatori francesi hanno ricostruito in che modo la vegetazione del Mediterraneo si è comportata in passato e predetto cosa potrebbe accadere in futuro, confermando lo stato di fragilità ambientale di questo ecosistema.

Il Mediterraneo, un sorvegliato speciale

Il Mediterraneo è già da tempo sorvegliato speciale dei climatologi. Infatti, mentre l’aumento di temperatura media globale tra il diciannovesimo e il ventesimo  secolo si attesta attorno ai 0,85°C, nel bacino del Mediterraneo l’aumento locale è pari a 1,3°C.

Il trend della crescita anomala di temperatura nei paesi del Mediterraneo dagli ultimi 200 anni circa si concentra particolarmente negli ultimi 20 anni, considerando i record sia su base annuale che mensile.

“Il Mediterraneo negli ultimi anni è sempre sopra la media climatologica, in particolare negli ultimi dieci anni, e alcuni bacini come il Mar Adriatico e il Mar Tirreno  mostrano dei picchi d’anomalie di temperatura superficiale durante il periodo estivo di oltre tre-quattro gradi”, spiegava già qualche anno fa Vincenzo Artale dell’ENEA nel rapporto “I cambiamenti climatici in Italia: evidenze, vulnerabilità ed impatti“, in cui si segnalavano anche i primi segnali di variazione della salinità, con le relative conseguenze sulla chimica degli ecosistemi. Minori piogge e minor apporto di acqua fluviale rendono il Mediterraneo sempre più povero di nutrienti, spingendo il bacino verso una fase di tropicalizzazione.

Qualche anno dopo, il NOOA ha pubblicato uno studio  che illustrava come il Mediterreaneo stia soffrendo da 70 anni di una crescente siccità, causata da un crollo graduale delle precipitazioni durante i mesi invernali – che di solito garantiscono invece una ‘ricarica’ idrica. Confermando le statistiche degli ultimi due secoli, la ricerca del NOOA individuava in una variazione anche solo di 0,5°C della temperatura superficiale degli oceani la causa di un indebolimento del bacino del Mediterraneo, storicamente invece protetto dai fenomeni naturali, anche distruttivi, che interessano le zone continentali, i deserti e i mari aperti.  Negli ultimi decenni quest’equilibrio ha continuato a dare segni di cedimento: maggiori precipitazioni dove già piove molto, con conseguenti uragani e inondazioni, e sempre meno precipitazioni dove le piogge sono già scarse. Pertanto, gli effetti del riscaldamento globale non riguardano più solo le nazioni circondate dagli oceani o le zone subsahariane, e i cambiamenti sono troppo veloci per permettere agli ecosistemi di adattarsi. L’intervento dell’uomo, in termini di mitigazione e resilienza, è pertanto urgente e necessario.

Il futuro del Mediterraneo legato a 1,5 °C

 Alla luce dei nuovi limiti dettati dall’accordo di Parigi, quale sarà il destino del Mediterraneo?  I ricercatori di Aixe Marsille, grazie al carotaggio di polline e alle nuove simulazioni numeriche, hanno proposto quattro differenti scenari. Due di questi, in particolare, fanno riferimento a cosa potrà succedere se si rispetta o meno l’ultimo accordo internazionale. L’intervallo di temperature consentito stabilito a Parigi  coincide, secondo gli autori, al limite per rimanere entro una situazione ecologica simile a quella degli ultimi 10mila anni (I caso), oppure a un’accelerazione drammatica di quanto già paventato in precedenza, che prevede:  allargamento delle zone desertiche che, per esempio, invaderebbero la Spagna e il Portogallo meridionale, stravolgendo Siviglia e Lisbona,  una parte della Grecia e delle punte più a sud di Sicilia e Sardegna; allargamento della steppa tropicale a est,  nel sud della Turchia e alcune aree della Siria; allargamento fino alle zone montane delle foreste decidue,  che verrebbero invece sostituite più a valle dalla macchia mediterranea.

Senza nessuna forma d’intervento, e senza rispettare gli accordi di Parigi, nell’arco di un secolo il bacino del Mediterraneo subirà una trasformazione che non trova paragoni con nessun evento registrato dall’Olocene ad oggi, senza contare che nello studio non sono stati valutati gli altri impatti antropogenici (consumo di suolo, aumento esponenziale della popolazione e conseguente erosione delle risorse e altri ancora).  Se sappimo come si comporterà la vegetazione in risposta al cambiamento climatico, non sappiamo invece come le città del Mediterraneo potranno adattarsi?

 

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