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COP24: Azioni e supporto pre-2020. A che punto siamo?

di Francesca Casale

Nell’Accordo di Cancun, sottoscritto dalle Parti nel 2010, i Paesi dell’Annex I hanno definito dei target da raggiungere entro il 2020 per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra ed aiutare i Paesi in via di sviluppo a proteggersi dagli impatti del cambiamento climatico e a costruire il loro futuro sostenibile. Questo accordo ha come obiettivo quello di mantenere la temperatura sotto i 2°C, con azioni che coprano il periodo antecedente all’entrata in vigore dei meccanismi previsti dall’Accordo di Parigi (i contributi nazionali (NDCs)) che partiranno dal 2020 e gli sforzi fatti fino ad allora saranno il loro punto di partenza.

Ma le politiche implementate per i prossimi due anni, nonostante rispettino gli impegni presi a Cancun, non sono sufficienti a raggiungere i target definiti per il 2030 e a rispettare il limite di incremento della temperatura a 2°C, men che meno a 1.5°C. Infatti secondo lo Special Report dell’IPCC sul riscaldamento globale a 1.5°C, questo aumento della temperatura verrà raggiunto già tra il 2030 e il 2050 con le politiche attuali. Per poter raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi la riduzione delle emissioni di CO2 e CH4 deve essere netta nei prossimi anni, e deve avvenire in diversi ambiti della società: nel settore energetico, industriale e dei trasporti, nei consumi domestici, nell’agricoltura e nello sfruttamento delle foreste.

Anche sul fronte dei finanziamenti non si sono ancora raggiunti i target stabiliti per il 2020. Dei 100 miliardi di dollari annui da destinare ai Paesi in via di sviluppo, nel 2016 ne sono stati raccolti solo 49.4 miliardi, il 13% in più però rispetto all’anno precedente. Di questi fondi i 2/3 sono stati utilizzati per azioni di mitigazione e 1/3 per azioni di adattamento.

Per i Paesi in via di sviluppo i fondi da parte dei Paesi sviluppati sono essenziali per riuscire ad implementare i propri NDC e garantire una sicurezza economica.

Molti Paesi hanno sottolineato che si è molto lontani dagli obiettivi di finanziamento e che serve colmare il gap in tempi brevi, soprattutto per via delle opere di adattamento necessarie ai Paesi in via di sviluppo, più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico, come mostrato dal rapporto speciale dell’IPCC.

La trasparenza è un altro punto cruciale, perché è importante capire cosa viene fatto dai Paesi con i finanziamenti, per verificare il successo degli interventi.

Il Talanoa Dialogue che si aprirà questa settimana alla COP24 sarà un’opportunità per rendere più ambiziosi gli NDC che verranno sottoscritti nel 2020. Il segretariato cercherà di dare una svolta alle azioni di stati, regioni, città, compagnie, ricercatori e cittadini in sei aree chiave: transizione energetica, finanza climatica, prezzo del carbonio, transizione industriale, soluzioni nature-based, azioni locali e per le città, resilienza.

Ma quali sono le nostre politiche per il prossimo biennio?

L’Unione Europea sta cercando di porsi come leader all’interno della Convenzione, come punto di riferimento per gli altri Paesi, sviluppati e in via di sviluppo. Sono già state definite le politiche per le deadline del 2020, 2030 e 2050, che ogni stato membro deve ratificare con leggi nazionali, pur con una certa flessibilità.

Per il 2020 l’Unione Europea si impegna a tagliare del 20% le emissioni di gas ad effetto serra rispetto al livello del 1990, a ricavare il 20% del fabbisogno energetico da fonti rinnovabili (il 10% nel settore dei trasporti) e a migliorare del 20% l’efficienza energetica. Per il 2030 invece gli impegni di riduzione delle emissioni sono del 40% rispetto al 1990, oltre al raggiungimento di una quota almeno del 27% di energia rinnovabile e ad un miglioramento del 27% dell’efficienza energetica. Infine per il 2050 si impegna a ridurre le emissioni di gas serra dell’80% rispetto ai livelli del 1990 utilizzando fonti ad energia rinnovabile e i meccanismi di carbon capture and storage; la riduzione deve avvenire in tutti gli ambiti: il 60% deve essere raggiunto nel settore dei trasporti, il 90% nell’efficienza degli edifici e l’80% nell’industria.

Come anche altre Parti, i target a lungo termine, cioè per il 2030 e il 2050, sono molto più ambiziosi rispetto a quelli del periodo pre-2020. Ma il contributo (NDC) sottoscritto dall’Unione Europea non è ancora sufficiente per l’obiettivo dell’Accordo di Parigi. Gli stati membri devono impegnarsi a fare di più.

Gli investimenti nella transizione porteranno anche a dei co-benefici: raggiungere emissioni nette nulle permette di proteggere la popolazione e la prosperità economica. Ad esempio permetteranno di risparmiare 2-3 trilioni di euro dall’importazione di combustibili fossili, con un impatto positivo del 2% sul PIL. Inoltre si risparmieranno 200 miliardi di euro sui danni alla salute, si migliorerà la competitività e l’innovazione delle industrie, si creeranno posti di lavoro e si limiteranno i danni del cambiamento climatico.

Un intervento per dare una forte incentivo agli investimenti low-carbon sarebbe una politica fiscale sul prezzo del carbonio. Attualmente il prezzo applicato non è sufficiente a spingere un cambio verso una società a basse emissioni. Per diventare efficace il prezzo dovrà salire entro il 2020 tra i 34 e i 68 euro per tonnellata di CO2, per mantenere una traiettoria dell’aumento di temperatura entro i 2°C.

In generale durante la prima settimana alla COP24 si è confermato che l’agenda per il periodo pre-2020 è indietro rispetto agli obiettivi che deve raggiungere, nonostante l’anno scorso a Bonn si fosse sottolineata l’importanza di agire in questo periodo. Le politiche non sono complete e abbastanza articolate. I Paesi in via di sviluppo sperano che gli impegni che erano stati presi per i prossimi due anni non scalino dopo il 2020.

L’obiettivo delle Parti adesso è anche prevedere una roadmap sulle azioni da affrontare in questo biennio.

Sarà essenziale una cooperazione delle Parti affinché le popolazioni indigene e i Paesi in via di sviluppo possano installare tecnologie di mitigazione e prendere esempio dalle strategie di adattamento già applicate dai Paesi sviluppati.

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