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Fumata nera per i diritti umani alla COP25 di Madrid

di Chiara Soletti

È la giornata dedicata ai diritti umani ai negoziati sul clima di Madrid e la società civile si è dovuta mobilitare all’alba dopo una lunga serata di lavoro e interminabili attese. Nella tarda serata di ieri si è conclusa la plenaria dell’Organo Sussidiario per l’Attuazione (SBI 51) dell’Accordo di Parigi, lasciando nel disappunto gli attivisti presenti quando è stata annunciata la mancata decisione su una serie di punti dell’accordo strettamente collegati ai diritti umani. La sfida delle prossime ore è riuscire a fare pressione sulle cariche istituzionali presenti oggi alla COP per convincerli a reintegrare tali principi e a rendere la messa in opera dell’Accordo di Parigi equa ed efficace per tutti.

Mercati di Scambio delle Emissioni – ART. 6 Accordo di Parigi

Al fine di stimolare gli investimenti necessari a ridurre i costi della transizione verso fonti di energia rinnovabile e favorire quindi maggiori ulteriori riduzioni delle emissioni di gas climalteranti, l’Art. 6 dell’Accordo di Parigi prevede la creazione di nuovi meccanismi di scambio delle emissioni, ovvero un sistema di quote di emissioni che possano essere scambiati tra stati o tra imprese per facilitare il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dai contributi determinati a livello nazionale (NDCs).

I Mercati di Scambio delle Emissioni dovranno risolvere le criticità  dei precedenti sistemi di crediti, basati sul Clean Development Mechanism e sul Joint Implementaion, previsti dal Protocollo di Kyoto. In alcuni casi questi meccanismi non hanno portato reali riduzioni delle emissioni, causando in alcuni progetti anche danni ambientali e sociali: è il caso di grandi opere idroelettriche realizzate senza prendere in dovuta considerazione l’impatto ambientale sul lungo periodo e gli immediati impatti sociali sulle popolazioni autoctone costrette a migrare.

Per queste ragioni la società civile si sta impegnando per l’inserimento di clausole di salvaguardia ambientale e sociale, un sistema di monitoraggio e un sistema indipendente di reclamo in caso di abusi per le popolazioni locali. Tutti questi elementi, inizialmente integrati nel testo provvisorio dell’Art.6, sono stati eliminati, mantenendo solo un riferimento generico ai principi dei diritti umani contenuti nel preambolo. È stata prevista una procedura per gestire le critiche ai progetti, ma non più con una gestione indipendente; un dato preoccupante, soprattutto per il futuro delle popolazioni indigene, tra le più impattate nella realizzazione di grandi opere volte alla riduzione delle emissioni climalteranti.

Meccanismo di Perdite e Danni (Loss and Damage)

Durante la COP19 è stato istituito il Meccanismo Internazionale di Varsavia di compensazione per le perdite e i danni associati agli impatti dei cambiamenti climatici (Loss and Damage), compresi eventi estremi ed eventi a insorgenza lenta. La revisione di questo meccanismo è uno dei punti fondamentali di questi negoziati per la tutela di quelle comunità e paesi che in termini di emissioni meno hanno contribuito ai cambiamenti climatici, ma che ne pagano le conseguenze più alte. Il problema legato a questo meccanismo è tecnico, economico e politico: tecnico, perché si stratta di determinare quali perdite siano legate alle variazioni climatiche; economico, perché bisogna trovare le risorse economiche e tecniche per rendere questi paesi resilienti al clima che cambia; politico, perché implica riconoscere le responsabilità storiche dei maggiori emettitori. Integrare principi dei diritti umani nel testo del Meccanismo di Varsavia è necessario per assicurarsi che il processo di trasferimento di fondi e risorse tecniche sia adeguato alle necessità delle popolazioni dei paesi riceventi, ma implica per i paesi aderenti il “rischio” di dover incorrere in compensazioni ingenti che in pochi sono disposti a pagare. Al momento i riferimenti ai diritti umani sono stati spostati dal testo al preambolo non vincolante, un dato non incoraggiante dato che questo è solitamente uno dei primi passi per l’eliminazione totale di un principio dal testo negoziale.

Piano per l’Azione di Genere (Gender Action Plan, GAP)

Il Piano per l’Azione di Genere (GAP), è uno dei tasti più dolenti di questi negoziati. Creato nell’ambito del Programma di Lavoro di Lima sulle questioni genere, il GAP mira a promuovere politiche climatiche sensibili alla condizione di genere e la piena, equa e significativa partecipazione delle donne all’interno delle istituzioni delle Nazioni Unite. L’ultima versione del testo era stata accolta come un buon risultato, dato che conteneva diversi riferimenti a principi dei diritti umani necessari a irrobustire i diritti delle donne che vengono ancora messi in discussione. Quello che non ci si aspettava durante questa sessione negoziale era un ripensamento di tali principi, fino alla loro quasi totale eliminazione dal testo per essere sostituiti da previsioni più stringenti in termini di finanziamento e attuazione. Dopo il mancato raggiungimento di un accordo sul testo del GAP, spetta ora alla Presidenza della COP25 decidere se concedere maggior tempo ai negoziatori, rimandare i lavori finali di un anno o sospendere il programma. La sfida è fare pressione sui rappresentanti statali presenti alla COP e far passare il messaggio che un GAP “annacquato” è problematico, ma ancora più dannoso sarebbe non avere un programma dedicato ai diritti delle donne. In entrambi i casi, quale messaggio verrà lanciato alla comunità internazionale, anche in vista delle celebrazioni nel 2020 dei 25 anni dall’adozione della Dichiarazione di Beijing (CSW64 / Beijing+25), primo trattato internazionale sui diritti delle donne? La società civile a questo punto si augura un rinvio dei lavori perché vengano “influenzati” dalle celebrazioni di quello che sarà un anno fondamentale per la realizzazione accelerata della parità di genere e l’emancipazione di tutte le donne e le ragazze nel mondo.

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