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Lug

Perché dobbiamo imparare di nuovo a mangiare la carne

 In questi giorni Rai5 manda in prima serata le nuove puntate di Anthony Bourdain – No reservation, documentario made in Usa a metà tra l’esplorazione geografica e la rassegna culinaria. Bourdain è uno chef diventato famoso nel 2000 con un libro sulle pessime condizioni igieniche dei ristoranti più in voga a New York: Kitchen Confidential. Gli ultimi due episodi – girati in Ucraina e in Kurdistan, tra Iraq del Nord e Turchia – sono particolarmente istruttivi.

Siamo abituati a pensare che la carne sia un alimento tipico delle società ricche e avanzate. Ma mentre Bourdain passeggia per il mercato comunale di Kiev, comprando per colazione salsicce simili a soppresse venete, caviale e cetrioli; mentre a Erbil, capitale del Kurdistan, Tony cena con militari americani assaggiando vari tipi di kebab e uno sformato di pasta sfoglia ripieno di pollo, agnello e uva passa, ti chiedi: ma quanta carne mangiamo, ormai?!

Moltissima.

Dagli anni ’60 ad oggi il consumo di carne in Italia è cresciuto del 180%. Ne mangiamo 95 Kg a testa ogni anno. Rispetto ad un secolo fa abbiamo bisogno del 1000% in più di energia per mettere in tavola il nostro “pane” quotidiano. Nessun cibo ha il costo ambientale della carne: 1 chilo di manzo richiede 15mila litri e mezzo di acqua. L’allevamento di animali da “bistecca” (27 miliardi di capi) rappresenta sul totale delle emissioni serra una percentuale che va dal 14 al 18% secondo la Fao. La dieta è quindi oggi una strategia di mitigazione.

Da questi semplici dati deduciamo che la carne dovrebbe costare almeno quanto l’aragosta, e invece è considerata addirittura un cibo cheap adeguato ai fast food. Il punto però non è certo diventare vegetariani per salvare il Pianeta. L’alimentazione onnivora della nostra specie è il frutto di milioni di anni di evoluzione. La questione è semmai imparare a mangiare meno carne e a sceglierne di migliore qualità, come ha fatto notare Carlo Pietrini di Slow Food. Opinione condivisa dal professor Franco Berrino dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, ideatore del progetto Cascina Rosa. Durante la Seconda Guerra Mondiale, 10 milioni di famiglie americane e 425.000 negozianti sottoscrissero un patto nazionale per non consumare carne il lunedì; oggi a lanciare una campagna di questo tipo è il movimento Meatless Monday Campaign.

Il consumo di carne dovrebbe poi essere inserito in una “contabilità ambientale” che tenga conto delle esternalizzazioni, ossia dei costi ambientali di un prodotto: consumo di acqua e suolo, emissioni serra, dispendio di energia. Una corretta valutazione delle esternalizzazioni nei prezzi al consumatore sarebbe un valido strumento nelle mani dei cittadini per diventare più consapevoli del cambiamento climatico a partire dalle piccole cose di tutti i giorni. Un costo elevato giustificato e spiegato come un “eco-costo” trasformerebbe anche la carne da alimento scontato in quel piatto speciale per giorni speciali che al tempo dei nostri nonni si chiamava “arrosto della domenica”.

Questo blog è stato pubblicato il 29 giugno 2012 sul sito del Fatto Quotidiano

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