07
Dic

Prima settimana di COP24: a che punto siamo

di Jacopo Bencini

La prima settimana della conferenza ONU sul clima a Katowice, iniziata domenica scorsa, sembra destinata a chiudersi tra lunghe ed estenuanti nottate di negoziati. Difficilmente, infatti, i delegati riusciranno a rispettare la scadenza imposta dalla presidenza polacca del vertice – arrivare a sabato con una bozza pronta su tutti i temi da poi finalizzare nella seconda settimana, più politica – senza sessioni aggiuntive, momenti di coordinamento informali e, nei corridoi, pressioni politiche sui più indecisi.

Alla chiusura dei lavori, ieri sera, molte delegazioni – specialmente quelle dei paesi in via di sviluppo – avevano la sensazione che molte delle loro prerogative non fossero state accolte nell’ultima versione delle bozze negoziali. Per fare chiarezza su alcuni elementi ritenuti essenziali (in particolare su trasparenza e finanza), i facilitatori delle sessioni di lavoro hanno quindi concordato di lasciare tutta la notte alle varie delegazioni per lavorare su nuove bozze, e presentare le proprie rimostranze. In particolare, il gruppo negoziale G77+Cina ha sottolineato come nelle ultime bozze gli impegni dei paesi ricchi in termini di contribuzione alla finanza climatica globale e flessibilità da accordarsi a quelli in via di sviluppo apparissero sostanzialmente diluiti.

Considerata la necessaria e prematura discesa in campo dei capi delegazione politici già da martedì scorso di fronte ad evidenti empasse fra i negoziatori tecnici, sembra rimanere comunque viva la volontà di far scrivere a questa COP le regole e le metodologie (il cosiddetto Paris Rulebook) per mettere in funzione l’Accordo di Parigi, come previsto nel 2015. Il clima ormai caldo e le notte insonni di molti delegati dimostrano un impegno, sia da parte della presidenza che della maggioranza dei paesi.

Su alcuni temi si registrano tuttavia piccoli ma non secondari passi indietro: nella giornata di giovedì, ad esempio, l’Arabia Saudita ha chiesto e ottenuto che ogni discussione sulle emissioni del settore del commercio marittimo fosse rimandata alla successiva COP del 2019. Fatto non trascurabile, visto che il settore contribuisce da solo al 2% delle emissioni globali – se fosse un paese, esso inquinerebbe quanto la Germania. Su questo punto tuttavia proseguono in parallelo negoziati interni all’International Maritime Organization (IMO), che già nello scorso aprile aveva annunciato l’impegno da parte dei membri dell’organizzazione di ridurre le emissioni del settore di almeno la metà entro il 2050. Anche a suo tempo ad opporsi ad obiettivi più ambiziosi fu l’Arabia Saudita, assieme a Stati Uniti e Brasile.

I più pragmatici cercano adesso un “landing point”, un punto di atterraggio che metta d’accordo la maggioranza dei paesi su tutti i temi attualmente sul tavolo. Un po’ come a Parigi tre anni fa, la soluzione sembra poter arrivare da un compromesso che non renda nessuno abbastanza scontento da tirarsene fuori. La diplomazia è ufficialmente al lavoro.

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