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Dic

Siamo pronti a regolare il termostato globale?

di Elisa Bardazzi

Il cambiamento climatico è una delle più grandi sfide del nostro tempo. Gli impatti dell’attività umana sugli ecosistemi e sui cicli biogeochimici sempre più evidenti, come sottolineato dal progressivo avvicinamento ai valori critici dei limiti del pianeta formulati dallo Stockholm Resilience Centre nel 2009. Tre di questi (uso del fosforo, uso dell’azoto e diversità genetica) erano già stati superati nel 2015. Questi dati risultano particolarmente allarmanti in quanto superare questi limiti implica il potenziale innescamento di modifiche ai nostri ecosistemi che potrebbero portare alla creazione di un ambiente non più adatto alla sopravvivenza dell’uomo.

D’altro canto, recentemente, anche le azioni volte al contrasto del surriscaldamento globale e all’adattamento ai suoi effetti da parte delle popolazioni più esposte si stanno facendo più incisive. Ma per una sfida così complessa è fondamentale che tutti i livelli siano coinvolti, e che ogni individuo si impegni in prima persona per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dall’Accordo di Parigi.

Di questo tema si sono occupati all’università di Heidelberg, sviluppando uno studio su come la salute (o meglio le ripercussioni che il cambiamento climatico può avere su essa) possa fungere da spinta motivazionale per l’implementazione di comportamenti “green”. Quest’ultimo è un fattore particolarmente rilevante, in quanto uno studio di Hertwich e Peters del 2009 ha rilevato che se si considerano i prodotti come oggetti esclusivamente finalizzati al consumo (assumendo dunque che tutte le emissioni siano riconducibili ad un certo tipo di consumatore), i singoli individui controllano attualmente circa il 72%, delle emissioni dei paesi afferenti all’OECD, mentre il governo ne controlla un 10% e gli investimenti il restante 18%.

La salute è uno degli elementi che tocca più da vicino le persone, essendo l’istinto di sopravvivenza è uno dei sentimenti più atavici insiti in ognuno di noi. Allo stesso tempo, i comportamenti salutari sono potenti alleati nella lotta quotidiana al cambiamento climatico: ad esempio, mangiare meno carne rossa o spostarsi a piedi sono entrambe azioni che riducono drasticamente il numero di emissioni per individuo e allo stesso tempo diminuiscono il rischio di malattie.

Che la salute sia un tema strettamente legato al cambiamento climatico si rileva anche dal fatto che dal 1992, anno di nascita della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), la salute è stata utilizzata come argomento in circa il 50% della legislazione europea sul tema. Addirittura la salute è stata definita da States Burke, Champan Walsh e Barry come “ il volto umano del cambiamento climatico”. Tuttavia il rapporto tra salute e cambiamento climatico non è sempre stato ovvio, anzi. Solamente dai primi anni novanta questo tema ha cominciato a svilupparsi, ampliandosi sempre di più nel corso della seconda metà degli anni duemila e in particolare nel 2008, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha assunto un ruolo di rilevanza sul tema, culminato nella sua partecipazione alla COP21 di Parigi. E’ in questo contesto che si inserisce il progetto HOPE, ovvero HOusehold Preferences for reducing greenhouse gas emissions in four European high-income countries, presentato durante la COP23 di Bonn durante il side event “Health as a motivator of climate policy and household green behavior”.

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