A COP29 SI RICONOSCE LA MALATTIA, MA NON I DIRITTI DI CURA
- La nuova bozza sull’obiettivo di finanza globale contempla due opzione opposte. Per CAN International è equa solo la prima, quella che recepisce le richieste dei Paesi in via di sviluppo.
- Nelle ultime ore l’impegno sarà sul presidiare i diritti del Sud Globale, senza mollare
Immaginiamo di andare in ospedale e sentirci dire esattamente qual è la malattia che può farci soffrire fino a portarci alla morte, ma non ottenere alcuna medicina anche se ce chi ci visita ce l’ha a portata di mano, esposta in bella vista sullo scaffale a fianco.
Leggere le nuove bozze del penultimo giorno di COP29 trasmette una sensazione simile:, «non c’è azione per il clima senza finanziamenti, e non ne stanno arrivando», ha commentato CAN International giovedì mattina facendo il punto della situazione. «Abbiamo una X in tutte le opzioni sul quantum: questo è l’elefante nella stanza», avvertono le attiviste e gli attivisti, con un tono grave ma tutt’altro che arrendevole.
Opzione 1, opzione 2: bianco o nero?
A un giorno dalla quella che, da agenda, dovrebbe essere la chiusura di COP29, il testo sulla Finanza Climatica – perno dell’intero negoziato qui a Baku – presenta ancora due possibili opzioni, diametralmente opposte.
Secondo il Responsabile delle strategie politiche dell’organizzazione, Jacobo Ocharan, l’opzione che recepisce le richieste dei Paesi in via di sviluppo, «è l’unica che si allinea con Parigi».
L’opzione 2, invece, prevede ancora la terribile possibilità di «trasformare l’NCQG (il nuovo obiettivo quantitativo globale di finanza climatica, ndr) in un obiettivo di finanza privata globale che fonde vari tipi di flussi finanziari e quindi modifica la responsabilità dei Paesi sviluppati di fornire finanziamenti per il clima, come previsto dall’Accordo di Parigi».
Nel penultimo giorno di trattative, le delegazioni si trovano ancora a dover scegliere non tra diverse sfumature di verde, ma tra il bianco e il nero. Tra un nuovo obiettivo equo, e uno ingiusto, egoistico e ipocrita. E proprio in queste ore, come ha spiegato Ocharan, «“i Paesi sviluppati stanno mettendo in atto tutti i tipi di tattiche scorrette per ritardare un accordo, per costringere i Paesi in via di sviluppo a firmare qualcosa che va contro le loro esigenze, i loro valori e il loro senso di giustizia».
I Paesi in via di sviluppo, però, si sono detti determinati a non lasciare Baku finché non si arriverà a un accordo.
Attualmente nel testo ci sono ancora abbastanza elementi di negoziazione da far sperare in un obiettivo di finanza climatica che risponda alle esigenze dei Paesi e delle comunità più colpite da questa crisi e contribuisca a ripristinare la fiducia tra il Nord e il Sud del mondo, osserva CAN. Un ottimismo che colpisce, perché mostra coraggio e concretezza, e deriva dal fatto che il problema «secondo noi non è necessariamente dell’intero processo. È solo un piccolo numero, pochi Paesi che si rifiutano di fare ciò che è giusto».
Poche ore ma molte speranze, anche sulla mitigazione
Dopo il focus sull’obiettivo di finanza climatica, le attiviste e gli attivisti di CAN hanno commentato anche quanto (non) si è deciso su Loss and Damage, le perdite e i danni: il tema viene «menzionato nel testo anche se non ci sono chiari i sotto-obiettivi, che sarebbero davvero essenziali da esaminare». Un probabilismo vago, quello di chi coltiva ancora qualche speranza perché non ha altra scelta. Non ha scelta nemmeno nel dover assistere alle trattative su mitigazione e adattamento, entrambe insoddisfacenti «per quanto traspare» finora, ma soprattutto troppo vaghe per poter davvero entrare nel merito e fare osservazioni incisive ed efficaci. In questi due casi emerge una sensazione di impotenza, ma momentanea: «abbiamo ancora alcuni degli elementi principali per garantire un risultato equo e allineato – ha affermato Mariana Paoli, Global Advocacy Lead di Christian Aid -. Nelle prossime ore sarà fondamentale assicurarsi che il testo contenga le opzioni giuste per soddisfare le esigenze dei Paesi in via di sviluppo».
Il Sud Globale, ultimo ma numeroso
Dal “suo Kenya” Omar Elmawi, dell’Africa Climate Movement Building Space, porta il punto di vista di chi vive nel Sud Globale con parole ed esempi, e anche numeri. I numero che COP29 non sta consegnando alle persone più colpite, quelle che rappresentano la maggioranza del mondo, anche se nessuno a Baku sembra ricordarlo. Se davvero tutti gli abitanti della Terra partecipassero a una COP sul clima, in modo democratico, forse sarebbe l’occasione per ottenere un risultato equilibrato
«Per noi non è una questione di statistiche – ha spiegato Elmawi -. Non si tratta di numeri. Si tratta di vite e mezzi di sussistenza che vengono persi ogni giorno». L’attivista ha poi raccontato della comunità di Lamu da cui proviene, dove i pescatori stanno soffrendo la crisi climatica sulla propria pelle. Puntando di nuovo i riflettori non sulla propria isola, ma sull’intero sud globale, dove tutti sono colpiti dalla crisi climatica nel quotidiano Elmawi ha poi sottolineato che «siamo infuriati, siamo mortificati. Ma non siamo senza speranza». La rabbia è verso i Paesi sviluppati, e lo ha spiegato con un esempio semplice: «quando in una mandria le mucche sono lente, quella che le rallenta è quella davanti, ma quelle che vengono uccise dai predatori sono quelle dietro».
Un presidente, due strade, un giorno alla fine
Il fotofinish della COP29 per CAN International è presto descritto. Ci troviamo di fronte a una domanda fondamentale, spiegano gli attivisti: «Vogliamo che quella di Baku sia ricordata come una COP che non è riuscita a soddisfare gli interessi e le esigenze dei Paesi in via di sviluppo, anteponendo i profitti alle loro esigenze e condannandoli a dover cercare numeri vuoti o il settore privato? O vogliamo che sia ricordata come un successo che ha ascoltato le richieste delle persone e soddisfatto le esigenze di adattamento e di mitigazione?» Questa è la posta in gioco: «qualsiasi cifra senza l’uguaglianza sarà priva di significato, e dobbiamo consegnare il quantum ora».
Articolo a cura di Marta Abbà, delegata di Italian Climate Network alla COP29 di Baku
Immagine di copertina: foto di UN Climate Change
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