Biodiversità urbana: se non si può misurare, non si può finanziare
“L’impatto delle Città sulla Natura si estende ben oltre i loro confini geografici, guidato dal sistema di estrazione di materie prime per soddisfare le necessità della popolazione urbana” afferma Rogier van der Berg, Direttore Globale del Ross Center for Sustainable Cities del World Resources Institute.
Durante la COP15 nel 2022, con il Quadro Globale della Biodiversità (Global biodiversity framework) è stato riconosciuto ufficialmente il ruolo strategico dei centri urbani nella conservazione della biodiversità e nella mitigazione dei cambiamenti climatici.
“Le città possono svolgere un ruolo importante nel ristabilire il legame con la natura”, ha affermato van der Berg: “per troppo tempo abbiamo costruito ambienti urbani malsani e poco vivibili”.
Alla COP16 sulla biodiversità di quest’anno, oltre a fare il punto sullo stato di attuazione dell’Accordo per la protezione e il ripristino della biodiversità, sono state discusse strategie di governance multi-livello e azioni concrete per integrare la biodiversità nelle decisioni politiche. Al Summit delle Città, un evento ufficiale parallelo alla Convenzione tenutosi a Cali il 26 Ottobre, è emerso chiaramente che le città sono parte del problema – responsabili del 70% delle emissioni e del 75% dell’uso delle risorse a livello globale – tanto quanto della soluzione. I governi locali e le città possono contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di tutelare il 30% delle aree terrestri e marine entro il 2030 (il cosiddetto 30×30) attraverso politiche di mobilità sostenibile per migliorare la qualità dell’aria, una gestione idrica che reintroduca l’acqua nel suo ciclo naturale, la promozione di mercati a basso impatto ambientale, una migliore gestione dei rifiuti e la re-integrazione della natura nel tessuto urbano. “La natura sostiene i nostri mezzi di sostentamento e la nostra stessa esistenza, ed è integrale al funzionamento efficace delle comunità urbane”, ha dichiarato Kobie Brand, vicesegretario generale di ICLEI. Tuttavia, per portare avanti queste ambizioni è necessario colmare il divario finanziario per la biodiversità, un aspetto cruciale della finanza climatica di cui si continuerà a discutere nelle prossime settimane alla COP29 sul clima a Baku.
Negli ultimi decenni sono stati compiuti significativi progressi per la progettazione e l’implementazione delle soluzioni basate sulla natura (le Nature-Based Solutions, NBS) per ri-naturalizzare le città. Tuttavia, queste restano spesso interventi puntuali e circoscritti, insufficienti a consolidare l’infrastruttura verde-blu come asse fondamentale del sistema urbano in continua espansione. Anche se le soluzioni non mancano, le nostre città hanno ancora bisogno di strumenti innovativi di supporto decisionale e di valutazione per integrare pienamente queste soluzioni nei loro processi di pianificazione, colmando il divario tra le ambizioni locali (come i piani normativi) e le direttive di governance climatica su larga scala. “La natura ha un immenso potenziale per trasformare il nostro mondo, eppure le soluzioni basate sulla natura restano sotto finanziate“, ha affermato Mirey Atallah, responsabile della divisione Adattamento e Resilienza dell’UNEP. “Mentre 7.000 miliardi di dollari fluiscono verso attività dannose per la natura, solo 200 miliardi di dollari supportano soluzioni basate sulla natura, e una frazione ancora più piccola è destinata alle città”.
La maggiore difficoltà nel finanziare strategie di adattamento risiede nella mancanza di un sistema di monitoraggio e valutazione universalmente riconosciuto e applicato, come avviene per la mitigazione dove l’impatto è calcolato in termini di emissioni evitate, un valore numerico quantificabile. “Se non si può misurare, non si può gestire” (e dunque finanziare), adattando la celebre frase del guru del management Peter Drucker.
Ma perché è così complesso misurare il progresso delle strategie di adattamento? In primo luogo, vi è la difficoltà di identificare la relazione causa-effetto tra le azioni di adattamento e la riduzione dei rischi climatici. Non sempre è possibile dimostrare scientificamente se un intervento sia una strategia di adattamento o di sviluppo urbano; ad esempio, un nuovo sistema di raccolta delle acque residuali può essere considerato sia come un intervento di adattamento che di sviluppo. In generale, tutte le azioni di adattamento comportano uno sviluppo dell’area, ma non viceversa.
Un altro ostacolo è che le azioni di adattamento sono locali (relative a un contesto specifico pur conservando una certa scalabilità e replicabilità), mentre la crisi climatica è a scala globale. Questo rende complicato dimostrare una correlazione tra le politiche urbane delle aree più sviluppate e i disastri climatici che impattano quelle più vulnerabili da un punto di vista socio-economico, discussione che si riallaccia al tema della giustizia climatica.
Inoltre, variazioni del contesto climatico e geografico richiedono diverse soluzioni e metodi di misurazione, evidenziando ancora una volta la necessità di un sistema globale di indicatori concordati. Per valutare l’impatto di una strategia sono inoltre necessari dati che richiedono sforzi multi-settoriali, difficilmente reperibili con i tradizionali strumenti di monitoraggio e spesso non divulgabili al di fuori degli enti pubblici locali.
I risultati delle strategie di adattamento hanno tempistiche molto lunghe (come nel caso della crescita degli alberi), e spesso vanno oltre i mandati politici o le tempistiche dei progetti di finanziamento. Inoltre, le soluzioni devono adattarsi a scenari, sia climatici che amministrativi, in continuo cambiamento. Per questo motivo l’adattamento è definito più come un percorso (pathway) che come un obiettivo finale (target), e deve conservare una certa flessibilità intrinseca. Infine, l’attuale sistema di misurazione delle strategie per contrastare la crisi climatica si basa sugli impatti evitati (nel contesto della mitigazione, sulle emissioni evitate), e non sempre è possibile fare delle previsioni scientifiche su cosa sarebbe potuto accadere se quell’azione di adattamento non fosse stata attuata.
Re-integrare la natura all’interno del tessuto urbano non è solo una questione estetica. Un maggiore orientamento della finanza globale verso le soluzioni basate sulla natura, con meccanismi finanziari dedicati, capacità e dati adeguati, può favorire la riduzione dell’impatto ambientale delle città, promuovendo una maggiore resilienza urbana, il ripristino degli habitat a livello globale, la diminuzione dell’inquinamento e minori impatti delle ondate di calore, come specificato nel Report sullo Stato della Finanza per la Natura nelle Città, rilasciato dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) durante la giornata di lavori.
Articolo di Caterina Vetrugno, Volontaria di Italian Climate Network ed esperta di Resilienza Urbana.
Immagine di copertina: foto di Caterina Vetrugno.