Clima e obiettivi: il ritorno del multilateralismo a guida USA-Cina
Di Margherita Barbieri e Andrea Scarpello
La vera notizia sul clima della settimana va anche oltre le singole promesse dei 40 leader invitati, dei nuovi obiettivi climatici di molti paesi: con il Leaders Summit on Climate (22-23 aprile) promosso da Joe Biden si è assistito al ritorno del multilateralismo a doppia guida USA-Cina sulla questione climatica dopo quattro anni di assenza politica degli Stati Uniti d’America.
Nel vertice internazionale iniziato il 22 aprile, Giornata della Terra, gli Stati Uniti (secondo paese al mondo per emissioni proprio dopo la Cina) hanno voluto rilanciare la loro immagine di leader mondiale nella lotta al cambiamento climatico con attenzione alle proprie tematiche interne, su tutte la creazione di posti di lavoro post-pandemia. Ha colpito in questo senso la presenza, su invito della Casa Bianca, di CEO di aziende e rappresentanti sindacali in un vertice nominalmente politico, un segnale di apertura della nuova amministrazione democratica alle realtà progressiste della società civile e del mondo dell’impresa che negli anni di Trump avevano tentato di sopperire al silenzio federale tramite il movimento “We are still in“. Il vertice sul clima ha anche rappresentato una prova generale per la diplomazia climatica in smart working in un mix di collegamenti instabili, discorsi pre-registrati e scarsa interazione.
Ma cosa hanno promesso i leader dei vari paesi, invitati da Biden a presentarsi al Summit con obiettivi nuovi e ambiziosi rispetto al passato?
Durante il vertice, Biden ha annunciato la riduzione delle emissioni statunitensi del 50%-52% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030, raddoppiando l’ambizione ma spostando in avanti di 5 anni la scadenza, allineandosi allo stesso orizzonte temporale degli altri paesi sviluppati (il precedente obiettivo statunitense puntava infatti al 2025, oggi poco realistico). Gli Stati Uniti hanno anche promesso che raggiungeranno la neutralità climatica entro il 2050 e che raddoppieranno i fondi finanziari climatici entro il 2024.
Sul fronte cinese, gli obiettivi climatici rimangono gli stessi già comunicati nel settembre dello scorso anno (picco delle emissioni al 2030 e neutralità climatica entro il 2060), ma ha sicuramente colpito la presenza di massimo livello della Cina con il Presidente Xi Jinping, ulteriore segnale di un rilancio di quel multilateralismo climatico a guida USA-Cina che favorì l’Accordo di Parigi nel 2015 ed oggi quanto mai necessario per il successo dei negoziati alla COP26.
L’Unione Europea si è presentata al vertice forte dell’approvazione, da parte del Consiglio Europeo proprio poche ore prima, della Legge sul Clima che conferma l’obiettivo di riduzione delle emissioni di almeno il 55% entro il 2030, verso la neutralità climatica nel 2050. Nuovi annunci sono stati fatti dal Giappone, che ha fatto sapere che ridurrà le emissioni tra il 46-50% entro il 2030 sulla base dei livelli del 2013, un aumento del 20% rispetto al suo impegno precedente. Il Canada ha annunciato una riduzione delle emissioni tra 40% e 45% entro il 2030 sulla base dei livelli del 2005, rispetto al precedente obiettivo di riduzione del 30%. Nella stessa direzione, la Corea del Sud smetterà di finanziare con risorse pubbliche progetti di centrali a carbone fuori dal paese, mentre il Sud Africa si è impegnato a raggiungere il picco delle proprie emissioni entro il 2025 e l’India ha lanciato una nuova collaborazione con gli Stati Uniti per l’energia pulita.
Per quanto riguarda la Russia, nonostante i recenti attriti tra Casa Bianca e Cremlino i due paesi sembrano aver ritrovato un’area di collaborazione (almeno verbale) nella lotta al cambiamento climatico, con Putin che si è detto intenzionato a ridurre drasticamente le emissioni russe nei prossimi trent’anni. Lo stesso Putin ha inoltre chiesto azioni comuni volte alla riduzione delle emissioni di metano e rimozione degli accumuli di gas climalteranti esistenti, un appello che Biden ha accolto annunciando una possibile collaborazione USA-Russia in questo senso.
Impegni anche dal Brasile. Il Presidente Bolsonaro ha annunciato che il Brasile raggiungerà la neutralità delle emissioni entro il 2050, Inoltre, con scetticismo da parte della società civile internazionale, Bolsonaro ha confermato l’obiettivo di voler ridurre la deforestazione illegale nel paese del 15-20%, per eliminarla completamente entro il 2030 e far sì che queste azioni possano contribuire ad una riduzione del 50% delle emissioni nazionali di carbonio, tuttavia condizionando il compimento di tale obiettivo a fondi e risorse disponibili – nello specifico, un miliardo di dollari già esplicitamente richiesti.
Il Regno Unito, rappresentato dal premier Boris Johnson e paese ospitante la prossima COP26 assieme all’Italia, si è presentato al Summit con l’annuncio di Johnson di una prossima legge che modificherà il piano britannico di riduzione delle emissioni di almeno il 68% entro il 2030 portando ad un obiettivo di riduzione di un ulteriore 10% (fino al 78%) entro il 2035 rispetto alle emissioni del 1990. L’Italia, rappresentata dal Presidente del Consiglio Mario Draghi, essendo parte dell’Unione Europea non ha presentato un proprio obiettivo ma Draghi ha ribadito la necessità di un cambio di marcia globale per mantenere davvero il riscaldamento globale entro 1,5°C.
Sebbene l’ambizione dei paesi al Climate Summit porti segnali positivi rispetto al ritorno “politico” del tema, gli obiettivi devono essere accompagnati da azioni concrete affinché l’attuale gap tra obiettivi dichiarati per il 2030 e obiettivi dell’Accordo di Parigi possa effettivamente ridursi. Da uno studio preliminare di Climate Action Tracker pare che gli annunci dei vari leader, sebbene spesso ambiziosi, porterebbero solamente ad una riduzione del 12-14% della forbice tra gli attuali obiettivi dei governi e scenari compatibili con l’Accordo di Parigi al 2030.
Verso la COP26 di Glasgow, ci chiediamo se gli obiettivi annunciati questa settimana potranno servire da apripista verso ulteriori rilanci nell’ambizione, sufficienti per deviare l’attuale traiettoria. Se il ritorno di un multilateralismo del clima a perno Washington-Pechino rasserena gli scenari, il mondo ha sempre più bisogno di vedere i governi fare passi ancora più audaci e concreti per far fronte all’emergenza climatica. Ritardare un cambiamento trasformativo continuerà solo a spostare l’onere sulle generazioni future.