COP29 ncqg finanza climatica
20
Nov

NCQG: QUANTO DOVREBBERO METTERE ITALIA, USA E CINA? L’ANALISI DI ITALIAN CLIMATE NETWORK

  • Considerando le responsabilità storiche e l’attuale capacità contributiva del Paese, l’Italia dovrebbe riuscire a mobilitare tra i 14,5 ed i 22,6 miliardi di dollari all’anno in finanza per il clima verso i Paesi del Sud del mondo, quasi venti volte oltre gli attuali impegni.
  • Gli Stati Uniti dovrebbero contribuire per metà dell’NCQG, investendo in pratica un Inflaction Reduction Act all’anno verso l’estero.
  • L’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi può influire significativamente su ogni ipotesi di ripartizione finanziaria degli impegni tra gli altri Paesi sviluppati.

Lecito chiedersi, in questi giorni di negoziato e dibattito sul nuovo obiettivo quantitativo globale di finanza per il clima, quali dovrebbero essere i contributi dei principali Paesi sotto l’NCQG. Nelle sale si parla solidamente di un nuovo obiettivo globale dell’ordine di 1000 o 1300 miliardi di dollari mobilitati annualmente in finanza climatica, tramite risorse sia pubbliche che private.

Ma, in un mondo ideale, quanto dovrebbe mettere l’Italia? Quanto gli Stati Uniti, quanto la Cina? Abbiamo provato a fare un calcolo, che non può però prescindere da alcune considerazioni preliminari.

Caveat metodologici e di contesto

Prima di tutto, nel contesto dei negoziati ONU sul clima non possono essere imposti – salvo che siano i Paesi stessi ad auto-imporseli – obiettivi specifici per Paese, in assenza di un qualsiasi regime sanzionatorio o di controllo a livello multilaterale. Facendo dieci passi indietro, ricordiamo che non esiste neanche una definizione globalmente accettata di finanza per il clima; ci limiteremo quindi a considerare qui i flussi finanziari mobilitati, in senso lato, fuori dai confini nazionali per trasferimenti, prestiti o finanziamenti di progetti in Paesi terzi ricadenti nella categoria ONU dei Paesi in via di sviluppo e secondo la distinzione del 1992 tra Paesi Annex I (tra cui anche gli Annex II) e non, per quanto ampiamente superata.

In secondo luogo, nel contesto dei negoziati ONU sul clima vale la regola delle Responsabilità Comuni ma Differenziate e Rispettive Capacità (CBDR-RC), che impegnerebbe i Paesi a contribuire secondo il proprio contributo storico, in termini emissivi, al problema del cambiamento climatico. Nei fatti, però, nessuna COP è mai riuscita a imporre percentuali obbligatorie di trasferimenti, investimenti, riparazioni, e questo non è neanche il mandato di COP29. Lo stesso Accordo di Parigi, infatti, si basa su un approccio dal basso, per il quale a livello COP vengono fissati degli obiettivi comuni che poi i Paesi sono chiamati a rispettare collettivamente, cumulativamente, attraverso uno sforzo coordinato di cooperazione internazionale.

Terzo e non ultimo, abbiamo ritenuto utile condurre un calcolo aggiuntivo, parallelo a quello globale, sulla ipotetica ripartizione delle responsabilità finanziarie tra i soli Paesi sviluppati (inclusi nell’Annex II), attualmente unici contributori obbligati secondo la Convezione ONU sul clima e l’Accordo di Parigi. 

Nel nostro conteggio, pensato per aiutare i lettori e le lettrici del Bollettino COP a farsi un’idea delle dimensioni per Paese della contribuzione al nuovo Obiettivo Globale, abbiamo considerato sia le responsabilità storiche dei Paesi in termini di CO2 emessa dall’era preindustriale al 2023 (esclusi gli assorbimenti naturali) che un dovuto aggiustamento per reddito nazionale lordo (Gross National Income – GNI) pro-capite sempre a dati 2023. In questo modo, la cifra che risulta dal prodotto tra l’obiettivo globale e le responsabilità emissive storiche viene “aggiustata” per tenere in considerazione la capacità di contribuzione stimata del Paese.

Abbiamo quindi lavorato sulle opzioni oggi in campo a Baku nella costruzione tecnica del nuovo obiettivo, senza distinguere qui tra finanza pubblica e mobilitata nel privato: un obiettivo tra i 200 e i 300 miliardi di dollari all’anno, come sembra potrebbe essere proposto dall’Unione Europea (anche se l’opzione potrebbe essere scartata sulla base del testo finale del G20 di Rio) e un obiettivo tra i 1000 e i 1300 miliardi di dollari all’anno, come proposto da Cina e G77.

In chiusura, abbiamo elaborato tre scenari aggiuntivi:

  • il primo, nel quale le responsabilità finanziarie vengono ripartite internamente al gruppo dei Paesi Annex II con l’aggiunta (non rileva, ai fini di questa analisi illustrativa, secondo quale modalità formale) della Cina alla lista dei contributori obbligati; 
  • il secondo, nel quale gli attuali Paesi Annex II colmano il gap finanziario derivante da un’eventuale uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi
  • il terzo, nel quale la Cina viene inclusa o affiancata, in termini di responsabilità finanziaria, agli Annex II in assenza degli Stati Uniti.

Quanto dovrebbe contribuire l’Italia alla finanza climatica

Secondo un mero calcolo sulle emissioni storiche a livello globale, l’Italia dovrebbe essere chiamata a contribuire con una cifra tra i 3,0 e i 4,5 miliardi di dollari annui al nuovo obiettivo, nello scenario 200-300 rumoreggiato a Bruxelles, e con una cifra tra 14,8 ed i 19,2 miliardi di dollari all’anno sotto il più ambizioso obiettivo 1000-1300 proposto dai Paesi in via di sviluppo. L’aggiustamento per RNL pro-capite, quindi per capacità contributiva stimata, alleggerisce leggermente il compito all’Italia, portando la contribuzione a una cifra tra 2,9 e 4,4 miliardi nell’opzione 200-300 e tra 14,5 e 18,9 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 1000-1300.

Se invece restringiamo il campo dei donatori ai soli Paesi sviluppati, come per il precedente obiettivo finanziario, considerando solo la responsabilità storica rispetto al gruppo pari a 2,9% per l’Italia, il nostro Paese dovrebbe versare tra i 5,8 e gli 8,7 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 200-300, e tra 29,0 e 37,8 miliardi all’anno nell’opzione 1000-1300. Aggiustando queste stime per la capacità contributiva stimata, l’Italia dovrebbe invece contribuire con una cifra tra 3,5 e 5,2 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 200-300 e tra 17,4 e 22,6 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 1000-1300.

Per dare un’idea delle dimensioni rispetto all’impegno attuale, nel quinquennio 2022-2026 l’Italia si è impegnata a contribuire alla finanza climatica con 4,4 miliardi di euro tramite il Fondo Italiano per il Clima (appunto, su cinque anni), oltre ai 100 milioni promessi sul Fondo per Perdite e Danni (una tantum); 300 milioni di euro dei 4,4 miliardi sul quinquennio vanno a finanziare il contributo italiano al Green Climate Fund.

Utile qui tentare un confronto con quanto – applicando la stessa metodologia – dovrebbero invece impegnarsi a versare gli Stati Uniti e la Cina, nel caso in cui quest’ultima venisse inserita nella lista dei donatori, in risposta alle pressioni europee verso un allargamento della platea dei contribuenti ai nuovi grandi emettitori con importanti capacità finanziarie.

Quanto dovrebbero contribuire gli Stati Uniti

Gli Stati Uniti d’America, primo Paese per emissioni cumulate a livello storico, su un’analisi a livello globale dovrebbero impegnare tra i 49,7 ed i 74,5 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 200-300 e tra 248,3 e 322,8 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 1000-1300.
L’aggiustamento per capacità contributiva stimata fa lievitare sostanzialmente il contributo atteso dagli Stati Uniti, portandolo a una cifra tra 102,5 e 153,7 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 200-300 e tra 512,3 e 666,0 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 1000-1300, un valore comparabile – di nuovo, per darci una dimensione – a quanto investito dallo stesso Governo di Washington con l’Inflaction Reduction Act (IRA) nel 2022.

Anche in questo caso, volendo analizzare i soli donatori obbligati fino ad oggi e le loro responsabilità storiche, troviamo valori diversi. Gli Stati Uniti, con il loro circa 50% delle emissioni storiche tra i Paesi sviluppati, in questo caso dovrebbero impegnarsi a mobilitare tra 97,7 e 146,5 miliardi di dollari nell’opzione 200-300, e tra 488,4 e 634,9 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 1000-1300. Aggiustando anche in questo caso i valori alla capacità contributiva stimata si ottengono tra 122,8 e 184,2 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 200-300 e tra 613,9 e 798,1 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 1000-1300.

Quanto dovrebbe contribuire la Cina

Abbiamo provato ad applicare la stessa metodologia per stimare un eventuale contributo cinese sulla base delle responsabilità storiche globali (e non solo attuali, che la vedono oggi primo Paese per emissioni) e, di nuovo, del reddito nazionale lordo su popolazione.
Dai nostri calcoli emerge che Pechino dovrebbe impegnare una cifra tra 31,3 e 47,0 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 200-300 e tra 156,7 e 203,7 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 1000-1300. Tale contributo, riparametrato alla capacità contributiva stimata, porta la Cina a dover contribuire idealmente con una cifra tra 10,8 e 16,2 miliardi annui nell’opzione 200-300 e tra 54,0 e 70,1 miliardi annui nell’opzione 1000-1300. Nel caso cinese, nonostante le rilevanti emissioni storiche, il contesto di economia emergente con una popolazione elevata allevia il carico sul governo di Pechino, sempre nell’ipotesi che questa possa essere una metodologia accettata dalle Parti.

Scenario ipotetico 1: Ripartizione tra Annex II con Cina

Abbiamo tentato di immaginare un mondo parallelo, in cui la Repubblica Popolare Cinese viene aggiunta o affiancata alla lista dei Paesi sviluppati e con obbligo di contribuzione (Annex II), riparametrando quindi le sue responsabilità storiche non al resto del mondo ma internamente al gruppo Annex II. In questo caso, la Cina, responsabile per il 24% delle emissioni storiche del mondo sviluppato (“+Cina”), dovrebbe contribuire per una cifra tra 47,1 e 70,7 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 200-300, e tra 235,6 e 306,3 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 1000-1300.
Tenendo in considerazione la capacità contributiva stimata, la Cina potrebbe contribuire con una cifra inferiore, tra 12,1 e 18,2 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 200-300 e tra 60,7 e 79,0 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 1000-1300. In tale scenario, il contributo dell’Italia si riduce più significativamente considerando solo la sua responsabilità storica (ad esempio nell’opzione 1000-1300, si passa dai 29,0-37,8 ai 22,2-28,9 miliardi annui) e meno se si tiene in considerazione la capacità contributiva stimata (sempre per l’opzione 1000-1300, da 17,4-22,6 a 16,3-22,2 miliardi annui).

Scenario ipotetico 2: Ripartizione tra Annex II senza Stati Uniti

E se gli Stati Uniti uscissero dall’Accordo di Parigi? Qualcun altro in teoria dovrebbe colmare il gap, perché è vero che le emissioni le produce qualcuno, ma una volta in atmosfera diventano subito un problema di tutte e di tutti. In caso di un abbandono, sempre più probabile, dell’Accordo di Parigi da parte del governo di Washington, il nostro Paese si troverebbe a dover contribuire (sempre in teoria), con una platea dei contribuenti non allargata oltre l’Annex II, per una cifra stimata tra 11,4 e 17,0 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 200-300 e tra 56,8 e 73,9 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 1000-1300, cifre che aggiustate per la capacità contributiva stimata portano a un contributo tra 9,0 e 13,5 miliardi di dollari annui nell’opzione 200-300 e tra 45,0 e 58,5 miliardi di dollari all’anno nell’opzione 1000-1300

Questa ipotetica ripartizione delle responsabilità finanziarie tra i Paesi sviluppati in assenza del principale contributore, porterebbe il nostro Paese a dover contribuire per circa il doppio rispetto allo scenario in cui gli Stati Uniti rimangono, e proattivamente, nell’Accordo di Parigi. Il solo caso italiano rende bene quindi l’idea dell’impatto potenziale dell’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo.

Scenario ipotetico 3. Ripartizione tra Annex II senza Stati Uniti, con Cina

Segnaliamo infine che, nel caso in cui gli Stati Uniti uscissero dall’Accordo di Parigi e la Cina – e solo la Cina – rientrasse nel novero dei contribuenti, il contributo italiano si ridurrebbe leggermente tenendo in considerazione la capacità contributiva stimata (passando da 45,0-58,5 nell’opzione 1000-1300 a 38,6-50,1 miliardi di dollari annui), a causa della ridotta capacità finanziaria pro-capite stimata della Repubblica Popolare Cinese rispetto ai Paesi Annex II, in quanto economia emergente con elevata popolazione.
In questo caso, il contributo italiano sarebbe comunque, molto più elevato di quanto stimato nello scenario in cui gli Stati Uniti rimangono nell’Accordo e si considerano solo gli attuali contribuenti. 

Fonti:

  • Friedlingstein P. et al., Global Carbon Budget 2024, Earth Syst. Sci. Data Discuss. [preprint], https://doi.org/10.5194/essd-2024-519, in review, 2024.
  • GNI per capita Atlas methodology, World Development Indicators database, World Bank, 2024.

A cura di

Claudia Concaro, Delegata ICN a COP29 esperta su Finanza

Anna Pelicci, Capa Delegazione ICN a COP29

[Nota finale: questo articolo anticipa la pubblicazione di un omonimo Brief a cura delle stesse autrici per Italian Climate Network]

Immagine di copertina: foto UN Climate Change – Kamran Guliyev

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