COP29, GIUSTA TRANSIZIONE: NEGOZIATI IN STALLO E TENSIONI TRA NORD E SUD
- La COP29 a Baku lavora su negoziati sulla giusta transizione, con forti divergenze tra Nord e Sud.
- Paesi in via di sviluppo chiedono un impegno finanziario per una transizione equa, ma i paesi ricchi tentennano.
- Le tensioni aumentano con la proposta di includere i risultati del primo Global Stocktake nel programma di lavoro, contestato dal G77.
La COP29 in corso a Baku sta affrontando un negoziato inaspettatamente complesso: la discussione sul programma di lavoro sulla giusta transizione (JTWP).
Istituito alla COP27 e operativo dalla COP28, il programma mira a sviluppare strategie per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, che fissa l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C e promuovere uno sviluppo sostenibile. Tuttavia, i negoziati sulla giusta transizione si sono rivelati estremamente difficili, con forti divergenze tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo emerse già dal primo dialogo a Bonn, senza che si arrivasse a un accordo conclusivo.
Sulla giusta transizione dibattiti accesi fin dalla prima settimana di COP29
La prima settimana della COP29 ha visto dibattiti intensi e un’ampia partecipazione delle parti interessate. Molti delegati hanno evidenziato l’importanza di definire una giusta transizione universale che dovrebbe includere aspetti cruciali come i diritti umani, la finanza climatica, il capacity building e il trasferimento tecnologico. Tuttavia, la bozza iniziale di testo proposta dai co-facilitatori, ha sollevato preoccupazioni. Il G77 e la Cina, in particolare, hanno criticato il fatto che il testo non facesse riferimento esplicito a questi temi, ritenendolo insufficiente per garantire una transizione equa, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo dove i costi della transizione potrebbero essere enormi senza un adeguato supporto finanziario.
Un altro tema che ha sollevato preoccupazioni è stato il principio di responsabilità comuni ma differenziate (CBDR), una delle fondamenta dell’Accordo di Parigi, che il G77+Cina ha chiesto di inserire nel programma per garantire che i Paesi sviluppati si assumano la responsabilità di sostenere la transizione nei Paesi più poveri. Gli Stati Uniti, tuttavia, si sono opposti fermamente a qualsiasi riferimento esplicito alla finanza climatica, sostenendo che il dialogo dovrebbe concentrarsi esclusivamente sulle questioni relative alla forza lavoro all’interno dei confini nazionali, senza estendersi al piano globale o prevedere obblighi finanziari diretti.
Nella seconda settimana divergenze ancora più nette e negoziati a porte chiuse
Con l’inizio della seconda settimana, i negoziati sulla Giusta Transizione si sono spostati a porte chiuse, una decisione che ha alimentato crescente frustrazione, in particolare nei Paesi in via di sviluppo. I rappresentanti del G77 e della Cina hanno chiesto ripetutamente più tempo per coordinare una posizione comune e per avere un adeguato spazio per analizzare le proposte. La sensazione che i Paesi sviluppati stessero cercando di escludere i Paesi in via di sviluppo dai negoziati ha contribuito a un aumento delle tensioni.
In particolare, il G77 e la Cina hanno criticato la proposta dei co-facilitatori per la sua mancanza di equilibrio e per non aver incluso le loro priorità, come il sostegno finanziario per le economie vulnerabili. Secondo i Paesi in via di sviluppo, l’assenza di impegni finanziari chiari nel testo provvisorio rischia di svuotare di significato il programma di lavoro. Senza un’adeguata allocazione di risorse, infatti, qualsiasi promessa di una transizione giusta rischia di rimanere solo sulla carta. Ancora una volta, insomma, è evidente che il tema cruciale della COP di quest’anno, la finanza climatica, sta tenendo in stallo tutti gli altri tavoli negoziali.
Punti critici: finanziamento, ambiti di applicazione, le misure commerciali e il ruolo del Global Stocktake
Tra i punti di maggiore controversia, emerge dunque ancora una volta il tema del finanziamento. La bozza di decisione circolata il 22 novembre non include alcun impegno finanziario concreto, ma si limita a prendere atto delle implicazioni di budget del segretariato, suscitando forti critiche da parte del G77, costituito da Paesi in via di sviluppo, che ha chiesto l’istituzione di un fondo dedicato a supportare i Paesi nella loro transizione. Questo punto è stato fortemente difeso da Brasile, India, e Indonesia, che hanno sottolineato come la giusta transizione non possa essere realizzata senza un adeguato sostegno finanziario e che il sostegno non debba trasformarsi in debito, il quale toglierebbe ulteriori fondi alla transizione, come citato nel paragrafo 22.
L’altro tema caldo riguarda l’ambito di applicazione del programma. Gli Stati Uniti e altri Paesi sviluppati sostengono un approccio nazionale, limitato alla forza lavoro e alle politiche interne, basato principalmente sulla mitigazione. Il G77 ha invece ribadito la necessità di un programma che contempli anche la dimensione internazionale della giusta transizione, un approccio quindi più olistico, che consideri anche adattamento, tema del prossimo dialogo, la resistenza climatica e il tema delle perdite e danni. Paesi come l’India e il Sudafrica hanno insistito sull’inclusione di misure che considerino la giustizia climatica come un obiettivo globale, sottolineando che le disuguaglianze tra i Paesi ricchi e quelli poveri sono troppo profonde per ignorare il ruolo della cooperazione internazionale. Inoltre, questi Paesi hanno ribadito l’importanza dell’eradicazione della povertà, che viene prima della lotta al cambiamento climatico.
In più, si è aggiunto il tema delle misure commerciali unilaterali. I Paesi in via di sviluppo temono che politiche come i dazi sul carbonio possano ostacolare il loro sviluppo sostenibile, citando l’articolo 3 della Convenzione Quadro che vieta restrizioni ingiustificate al commercio internazionale. Chiedono che il programma di lavoro sulla giusta transizione affronti esplicitamente l’impatto negativo di tali misure.
D’altro canto i Paesi sviluppati, come gli Stati Uniti e l’Unione Europea, ritengono che questo non sia il contesto per discutere di tali questioni e preferiscono trattarle in altri contesti negoziali come il Global Stocktake, tema che alla COP29 sta attraversando molti tavoli negoziali e che inizialmente sembrava potesse essere inserito in agenda come punto a parte. Per quanto si riconosca la necessità di un sistema economico internazionale equo, le divergenze persistono, e rischiano di rallentare il progresso verso una giusta transizione globale. Questo tema, che era rimasto sospeso nella bozza conclusiva dei negoziati intermedi di Bonn 2024 al paragrafo 14, non viene più citato nell’ultima bozza che sta circolando in queste ultime ore di COP29, il che rappresenta una vittoria dei Paesi ricchi.
Infine, un altro tema di dibattito riguarda il possibile collegamento del programma di lavoro al Global Stocktake (GST), il processo che permette di fare il punto sui progressi verso gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (paragrafo 16 della bozza). Alcuni Paesi, tra cui la Francia e la Germania, sostengono che i risultati del GST potrebbero essere utilizzati per informare il programma di lavoro sulla giusta transizione: la Cina e il G77 hanno invece sollevato dubbi, temendo che ciò possa diluire il mandato del lavoro sulla giusta transizione e trasformarlo in una mera appendice del processo di revisione globale.
L’ultimo incontro si è tenuto giovedì sera alle 22.30, e diversi Paesi hanno avanzato richieste di modifiche sostanziali al testoi. Per esempio l’Arabia Saudita ha chiesto una maggiore enfasi sul principio di responsabilità comuni ma differenziate, mentre l’Etiopia ha sottolineato la necessità di includere esplicitamente il tema dell’accesso all’energia.
Queste richieste si sono scontrate con la resistenza di alcuni Paesi sviluppati, come gli Stati Uniti e il Canada, che si sono opposti all’aggiunta di nuovo testo, sostenendo che avrebbe sbilanciato l’accordo. Il dibattito ha messo in luce un profondo senso di sfiducia tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. I Paesi del Sud del mondo hanno espresso la sensazione di non essere ascoltati e di essere esclusi da un processo decisionale che li riguarda direttamente.
Un punto di convergenza, però, è rappresentato dalla considerazione di tutti i settori lavorativi, compresi quelli informali e l’economia della cura: il tema ha ottenuto un ampio sostegno, così come l’idea che il dialogo sociale sia fondamentale per garantire che la transizione sia inclusiva e giusta.
Inseriamo qui i due paragrafi più importanti, grande risultato del negoziato di COP29.
14. Sottolinea la natura multisettoriale e multidimensionale delle giuste transizioni e la conseguente necessità di approcci alle transizioni giuste che coinvolgano il settore privato, comprese le micro, piccole e medie imprese, che contribuiscano alla creazione di posti di lavoro verdi e dignitosi e facilitino l’accesso all’energia a prezzi accessibili attraverso l’aumento della capacità di energia rinnovabile e riconosce che tali approcci includano significative opportunità socio economiche associate alla transizione dai combustibili fossili nei sistemi energetici;
15. Sottolinea che per realizzare transizioni giuste sono necessari approcci multi-stakeholder, incentrati sulle persone, dal basso verso l’alto, che coinvolgano l’intera società, e riconosce l’importanza dei sistemi educativi e dello sviluppo delle competenze, anche attraverso l’aggiornamento e la riqualificazione, dei diritti del lavoro e dei sistemi di protezione sociale, e della considerazione del settore informale, dell’economia della cura, dei disoccupati e dei futuri lavoratori per garantire una transizione giusta della forza lavoro;
Un altro risultato incoraggiante è l’inclusione dei diritti dei lavoratori, elencati nel paragrafo 11: “lavoratori colpiti da una giusta transizione, lavoratori informali, persone in situazioni di vulnerabilità, popolazioni indigene, comunità locali, migranti e sfollati interni, bambini, giovani e persone con disabilità”.
E adesso?
Il negoziato sulla giusta transizione non è ancora concluso. Dalla bozza di decisione proposta sembra che quasi tutte le questioni siano state risolte, ma risulta ancora aperta la discussione per decidere se inserire o meno i risultati del Global Stocktake all’interno del programma di lavoro.Le tensioni tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo continuano a segnare il passo dei negoziati, e la strada per una soluzione globale appare ancora incerta. Attendiamo quindi di vedere come andranno i prossimi dialoghi, le cui date restano ancora da definire.
Articolo a cura di Anna Pelicci, capodelegazione di Italian Climate Network a COP29
Immagine di copertina: UN Climate Change – Kamran Guliyev
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