COP29, GIUSTIZIA CLIMATICA CERCASI
- La Global Campaign to Demand Climate Justice ritiene insoddisfacenti le risposte finora ottenute a COP29.
- Tra i timori, quello che ai Paesi in via di sviluppo vengano addossate le colpe dello stallo dei negoziati.
- L’Unione Eurepea è ritenuta sempre meno credibile, e le voci sulla proposta di fissare un obiettivo di finanza climatica di solo 200-300 miliardi non aiutano.
Ottenere risultati che soddisfino tutte le Parti e la società civile, in questa COP29, sembra sempre più difficle. E il timore della Campagna Globale per chiedere Giustizia Climatica – la Global Campaign to Demand Climate Justice – è che la colpa venga addossata ai Paesi in via di sviluppo. A poche ore da quella che da agenda dovrebbe essere la fine dei negoziati sul clima, la Global Campaign, che riunisce oltre 200 organizzazioni internazionali attive su clima e diritti umani, commenta così le ultime bozze in circolazione.
C’è la nuova bozza NCQG, ma non i numeri
A finire sotto accusa per prima, «la posizione incredibilmente ipocrita» degli Stati Uniti, il più grande emettitore storico, e tra i Paesi più ricchi al mondo. «Non hanno fornito neanche lontanamente la giusta quota di finanziamenti per il clima», ha denunciato Rachitaa Gupta, coordinatrice della campagna. A Washington si chiede per lo meno di «negoziare in buona fede e dare indicazioni sull’arrivo dei finanziamenti per consentire un progresso nei negoziati».
Ad aumentare l’indignazione anche il modo in cui i Paesi sviluppati stanno lavorando attivamente, denunciano gli attivisti, per minare i negoziati sul nuovo obiettivo collettivo quantificato. «Cercano di annacquare il linguaggio in modo che non vi siano né responsabilità né obblighi per loro, mobilitando il settore privato e cercando di convincere la Cina – ha spiegato Brandon Wu di ActionAid -. Gli Stati Uniti, con l’amministrazione Biden che sa che l’amministrazione Trump sta salendo al potere, non hanno nulla da perdere».
Entrando nel merito delle nuove righe con cui da Baku si vuole provare a lasciare il segno nella storia della lotta ai cambiamenti climatici, ciò che non va è che ci sono solo parole. E siamo alla “COP della finanza”: che senso ha?
«Siamo venuti per un numero, un nuovo obiettivo collettivo sulla finanza climatica. Mancano due giorni alla fine e non c’è ancora, è una chiara indicazione della totale mancanza di serietà da parte dei Paesi sviluppati. Mirano semplicemente a un obiettivo altisonante e insignificante» ha affermato giovedì mattina Wu.
Senza i fondi, impossibile l’addio ai combustibili fossili
Secondo Collin Rees di Oil Change International, «manca anche un’enorme quantità di ambizione sulla mitigazione e sull’abbandono dei combustibili fossili». Il suo intervento si è focalizzato su questo tema, e sottolinea che «gli allarmi globali in tal senso inviano un segnale davvero terribile agli altri Paesi su come interpretare il risultato di Dubai», in cui per la prima volta era stato messo nero su bianco l’impegno ad “allontanarsi” dai fossili. Quello che serve, afferma Rees, è «un impegno finanziario di alta qualità, pubblico, basato su sovvenzioni, puramente finanziario». È questo l’unico modo per consentire l’eliminazione graduale dei combustibili fossili in gran parte del mondo.
Rees ha chiesto anche «un risultato più forte in materia di mitigazione», ma ha osservato come non sia una gran sorpresa constatarne l’assenza,«vista la mancanza di azione a livello nazionale di molti di questi grandi inquinatori. Questa è pura ipocrisia. E non è una sorpresa nemmeno la mancanza di impegni finanziari concreti sul tavolo, ma sono fondamentali e lo sappiamo dall’inizio», ha commentato.
I giochetti made in UE
Nell’incontro organizzato dalla Global Campaign, spetta a Friends of the Earth il compito di commentare l’Unione Europea e le sue azioni concrete in materia di giustizia climatica, che secondo gli attivisti cozzano con le dichiarazioni in merito.
«Invece di assumersi la responsabilità che ha nei confronti del resto del mondo, l’UE vanifica i negoziati e si rifiuta di dare fondi. La sua posizione storica e attuale le conferisce un enorme debito nei confronti del Sud globale. Invece di pagare, spinge per ottenere fondi e prestiti privati», fanno notare. Basta a dirsi all’avanguardia, quindi, «perché oltre la metà dei fondi per il clima raccolti finora sono prestiti e altre voci non a scopo di lucro, che portano a un debito ancora maggiore per il Sud globale» ha aggiunto, definendo «decisamente sottodimensionati» i circa 200-300 miliardi di euro di cui si sta parlando qui a COP relativamente al suo contributo.
Articolo a cura di Marta Abbà, delegata di Italian Climate Network alla COP29 di Baku
Immagine di copertina: foto di Marta Abbà
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