23
Ott

IL GHIACCIAIO FELLARIA, TESTIMONE SILENZIOSO DELLA CRISI CLIMATICA

La montagna rappresenta forza e maestosità, con i suoi paesaggi imponenti e il suo ambiente impervio che sfida chiunque ad affrontare i propri limiti. Simbolo di potenza naturale, la sua presenza sembra immutabile e dominante

Eppure, dietro questa grandiosità si cela una fragilità crescente. La crisi climatica sta accelerando il deterioramento di luoghi un tempo incontaminati, come il Ghiacciaio Fellaria in Valmalenco, che ho visitato di recente lungo il sentiero glaciologico Marson.

Questo luogo è considerato da molti “la piccola Islanda” per via della peculiarità del ghiacciaio dove la fusione della lingua orientale ha generato un lago dal colore verde acqua, punteggiato da diversi iceberg che altro non sono che parti di ghiaccio staccati dalla lingua. 
Lungo il tragitto è possibile trovare diversi cartelli che raccontano la storia del ghiacciaio, la morfologia e la geologia del territorio. Le diverse stazioni segnalano inoltre la ritirata del ghiaccio nel corso degli anni, con l’intento di sensibilizzare e rendere le persone più consapevoli del rapido cambiamento ben visibile a non molti anni di distanza. 

Questo ghiacciaio è il terzo per estensione della Lombardia, tuttavia dal 1850 al 2024 è passato da 28 km² a 13 km², perdendo circa il 46% della sua superficie.

Alla riduzione in estensione si aggiunge la perdita di volume glaciale in termini di spessore: tra il 2022 e il 2023 la lingua orientale ha registrato una perdita annuale tra i 5 e gli 8 metri di spessore. Invece il suo grande lago pro-glaciale negli anni si è ampliato fino a raggiungere nel 2024 un’estensione di 222.000 metri quadri (per avere un’idea di dimensione possiamo paragonarlo a 30 campi da calcio). 

Mentre ho sostato nella zona per circa un’ora i rumori delle spaccature nel ghiaccio erano percepibili e spaventosi, una porzione si è staccata davanti ai miei occhi provocando delle onde all’interno del lago. Se fino a qualche anno fa la crisi climatica e gli effetti del riscaldamento globale potevano apparirci come qualcosa di lontano e distaccato, ora le conseguenze sono davanti ai nostri occhi e possiamo percepirne gli aspetti drammatici in prima persona.

La crisi climatica è qui: scarto tra conoscenza e credenza

Molte persone non riescono ancora a cogliere il legame diretto tra le azioni dell’uomo e i cambiamenti climatici. Eppure, per chi frequenta questi luoghi le conseguenze della crisi climatica sono sempre più evidenti, mentre le notizie drammatiche di eventi estremi sono ormai all’ordine del giorno in tutto il mondo.

La capacità dell’uomo di fare ha superato quella di comprendere, e alcune trappole del pensiero – detti anche bias cognitivi – ci portano ad agire anche in modo incoerente con i nostri valori. Spesso inoltre le azioni ecologicamente “virtuose” vengono percepite come una rinuncia, un atto altruistico, e questo ci impedisce spesso di essere pienamente in linea con i risultati che vorremmo ottenere. 

Parafrasando le parole di Slavoj Žižek nel suo libro Vivere alla fine dei tempi, per affrontare questa minaccia la nostra ideologia collettiva sta di fatto usando meccanismi di dissimulazione e autoillusione che includono la volontà diretta di non sapere. 

Una volta accaduta e discussa, la catastrofe tende a essere “rinormalizzata”, vista come parte del normale corso degli eventi. Il riscaldamento globale, infatti, viene spesso vissuto come un “fatto inevitabile”, come se non potessimo influire sul suo andamento.

Secondo Žižek, lo scarto che rende possibile questi paradossi è quello tra conoscenza e credenza: sappiamo che la catastrofe (ecologica) è possibile, perfino probabile, ma non crediamo che accadrà veramente. 

I cambiamenti climatici non sono più solo un argomento di discussione per climatologi e scienziati, ma un dato di fatto che ognuno di noi oggi comincia a sperimentare nella propria vita quotidiana. Gli avvicendamenti di questi fenomeni estremi stanno tuttavia diventando sempre più frequenti e tangibili, e questo forse potrebbe portare a una maggiore consapevolezza del problema. 

Lo stato dei ghiacciai delle Alpi

Nell’ultimo secolo, nelle Alpi la temperatura media dell’aria è aumentata di circa 2 gradi, il doppio rispetto alla crescita media globale registrata, che è di circa 1.1°C. Si stima che dal 1850 a oggi le aree glaciali nelle Alpi si siano ridotte di circa la metà

I ghiacciai italiani purtroppo non fanno eccezione e, data la loro posizione geografica rivolta a sud, la tendenza al regresso è maggiore rispetto a quelli posti nella parte settentrionale. 

 Gli ambienti montani al di sopra dei 2.500 metri stanno subendo in modo particolarmente rapido i cambiamenti climatici. La criosfera è di fatto la zona più sensibile a queste alterazioni tanto da essere considerata la “sentinella” del cambiamento climatico. 

Come dichiara l’IPCC, negli ultimi decenni i ghiacciai, il permafrost e la copertura nevosa hanno subito un considerevole declino, alterando l’intensità, la posizione e la frequenza di calamità naturali. La ritirata dei ghiacciai e il disgelo del permafrost hanno ridotto la stabilità dei pendii di alta montagna e moltiplicato la quantità e l’estensione dei laghi glaciali, modificando anche il deflusso dei fiumi.  

A livello globale, per i ghiacciai e le calotte globali si stima che, in assenza di politiche e azioni per la riduzione delle emissioni di gas serra (scenario RCP 8.5), la riduzione della loro massa sarà mediamente del -36% al 2100 rispetto al 2015, contribuendo all’innalzamento del livello del mare, nello stesso periodo, di circa 200 mm. Nelle regioni dove sono presenti ghiacciai più piccoli come le Alpi europee, gli scenari indicano invece una scomparsa quasi totale (perdita in massa superiore all’80%) entro la fine del secolo.

Rischi e conseguenze della fusione

Le conseguenze di questa rapida fusione si ripercuoteranno non solo sulla natura e sul Pianeta, in grado di ritrovare sempre il suo equilibrio, ma soprattutto sulla società e sulle persone.

In futuro ulteriori cambiamenti nella criosfera terrestre potranno influenzare la disponibilità di risorse idriche e il loro uso, la qualità delle acque, la sicurezza alimentare e i mezzi di sostentamento nella regione artica. Le conseguenti calamità naturali, come inondazioni, valanghe, frane e destabilizzazione del suolo, contribuiranno a incidere negativamente su infrastrutture, beni culturali, turistici e ricreativi. In particolare, la qualità dell’acqua potrà essere minacciata dalla mobilizzazione di contaminanti, come il mercurio, rilasciati dalla fusione dei ghiacciai e del permafrost. Senza contare che questi impatti saranno distribuiti in modo diseguale tra le popolazioni. Uno studio recente, inoltre, ha mostrato che la fusione dei ghiacciai ha conseguenze significative anche da un punto di vista storico e antropologico: ne abbiamo parlato qui.

Una riduzione urgente e ambiziosa delle emissioni di gas a effetto serra, abbinata ad azioni coordinate di adattamento, è necessaria per rendere possibile una maggiore resilienza climatica e il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. 

Buone notizie

La scienza ci dice che non è ancora troppo tardi per invertire la rotta; limitando l’aumento della temperatura media globale entro gli 1,5 gradi, in linea con l’accordo di Parigi (scenario RCP 2.6), circa il 30-40% della massa dei ghiacciai presenti sulle Alpi nel 2015 rimarrà fino alla fine del secolo.  In altre zone del pianeta le proiezioni mostrano che la massa dei ghiacciai rimarrà addirittura superiore.

I ghiacciai di tutto il mondo contengono quasi il 70 per cento di tutta l’acqua dolce presente sul Pianeta, da loro dipendono intere comunità, habitat, ecosistemi, e parte del nostro futuro. Monitorare il loro stato di salute è fondamentale per avere più consapevolezza della crisi in atto e fare di tutto per limitare, almeno in parte, la perdita di queste immense e preziose masse di ghiaccio.

Articolo e foto di Lorena Piccinini, volontaria di Italian Climate Network

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