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Lug

IL RUOLO DELLE BANCHE NELLA GREEN FINANCE

I cambiamenti climatici sono da tempo considerati – a buona ragione – un rischio per l’economia globale così come è concepita. L’ Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) nel suo report annuale, denuncia come gli sforzi dichiarati dai Paesi non siano sufficienti a mantenere l’innalzamento delle temperature al di sotto dei 1,5°C concordati durante l’Accordo di Parigi.
Questo trend comporterebbe l’aumento dei rischi legati a gravi impatti sull’ecosistema e sulle persone difficilmente reversibili. In questa ottica, anche lo scenario economico sarà, dunque, soggetto ad un incremento generalizzato dell’incertezza – più o meno presente, a secondo delle attività condotta – che dovrà essere considerata nella pianificazione strategica dei diversi attori che operano nel mercato globale.  

Dalla storica decisione di COP 21 con il già citato “Accordo di Parigi” si è delineata sempre più chiaramente anche la criticità strategica degli istituti di credito, come tramite per il raggiungimento degli obiettivi globali prefissati. Il loro supporto finanziario potrebbe essere strategico per la conversione sostenibile delle attività esistenti, e la creazione di nuovi progetti in ottica di uno sviluppo verde.
A questo riguardo, segnali speranzosi arrivano da uno dei settori chiave per l’economia (e a maggior impatto ambientale) come quello energetico, destinatario di un aumento di investimenti per le energie rinnovabili nel corso degli ultimi anni. 

Green Finance, cosa è e quanto è importante il suo impatto nella transizione sostenibile?

L’avvento di questo tipo di consapevolezza è stato ciò che ha definito la nascita e lo sviluppo di quella che viene comunemente chiamata green finance. Secondo il World Economic Forum, la finanza verde comprende “qualsiasi attività finanziaria strutturata – un prodotto o un servizio – che è stata creata per garantire un migliore risultato ambientale”. Comprende una serie di prestiti, meccanismi di debito e investimenti che vengono utilizzati per incoraggiare lo sviluppo di progetti verdi o ridurre al minimo l’impatto sul clima di progetti più regolari. O una combinazione di entrambi. Il suo obiettivo principale consiste nel facilitare il passaggio a un’economia sostenibile e a basse emissioni di carbonio, incanalando capitali e investimenti in progetti, imprese e tecnologie vantaggiose per l’ambiente. 

Tra i suoi strumenti principali possono essere citati


Green Bond: strumenti obbligazionari a sostegno di specifici progetti con benefici ambientali o climatici;
Social Bond: finanziamenti di programmi con riscontro sociale positivo;
Sustainability linked bond: a differenza dei green bond, i proventi ricevuti dall’emissione del titolo possono essere utilizzati per scopi generali e macroscopici, legati alle strategie SDG;
– Transition Bond: liquidità ottenuta che finanzia la transizione climatica dell’emittente.

Sebbene i cambiamenti climatici siano di anno in anno un problema sempre più urgente, il mondo finanziario non può esimersi dal tenere in considerazione i fattori di rischio fisici e di transizione, che potrebbero minare la propria stabilità, qualora sottovalutati. Tra i rischi fisici vengono considerate tutte le catastrofi naturali come inondazioni, incendi, siccità estrema che aumentano l’aleatorietà della gestione aziendale in situazioni normali. I rischi di transizione, invece, sono legati alla velocità di sviluppo dell’economia verde. I cambiamenti delle politiche climatiche, attraverso variazioni di regolamentazioni e tecnologie, possono produrre fenomeni di rivalutazione improvvisa ed imprevista degli asset nello stato patrimoniale dei bilanci. Questa dinamica porterebbe le banche a essere più esposte ai settori sensibili al clima, trovandosi possibilmente costrette ad operazioni straordinarie di vendita di attività giudicate troppo impattanti con possibili problemi di liquidità. Se, tuttavia, questo dovesse accadere si potrebbe generare incertezza diffusa e aumentare il rischio di mercato delle banche (e la diminuzione della loro importanza strategica nella transizione verde). 

La questione è evidentemente complessa. Se da una parte urge la necessità di perseguire una transizione sostenibile che richiede enormi quantità di capitale, dall’altra è richiesto il mantenimento di una stabilità economica e geo-politica in grado di non minare i mezzi degli stessi istituti e, in ultimo, impattare gli stessi cittadini. 
Il tempo, in questo gioco di equilibri, ha un ruolo primario. Per quanto urgente, infatti, la transizione difficilmente può essere una questione risolvibile velocemente. Lo dimostra il fatto che ci sia voluto dal 2010 al 2017 perché il valore di mercato dei principali produttori di carbone USA diminuisse del 95% indicando un trend significativo, anche se non definitivo dopo la pandemia COVID-19 e le recenti crisi geopolitiche.

Le banche e gli istituti finanziari cosa fanno realmente

In questo scenario la stessa Banca Centrale Europea – particolarmente attenta insieme all’UE al riscaldamento globale – consapevole delle dinamiche citate, ha preparato un piano strategico denominato “Piano per il clima e la natura” per il biennio 2024-2025. Questo documento è specificamente riservato allo studio della politica monetaria volta ad agevolare le scelte economiche degli istituti di credito in termini di investimenti verdi. La Commissione Europea ha stimato, infatti, che “la transizione richiederà ulteriori investimenti annuali di 620 miliardi di euro fino al 2030 affinché l’UE raggiunga il suo obiettivo di riduzione delle emissioni del 55%”. 

Nonostante la direzione sia chiara già da tempo, non sempre le scelte condotte dai protagonisti della finanza sono state sempre trasparenti e univoche. Secondo uno studio condotto dalla Bank for International Settlements (BIS) alcune banche che si dichiarano, nei loro report di sostenibilità, più positive e rassicuranti in relazione alla questione ambientale sono più propense a concedere prestiti alle imprese più inquinanti (brown lending), dimostrando un comportamento di facciata. L’ipotesi sottostante è che alcune banche possano beneficiare del free riding, aumentando – finché possibile – i prestiti alle imprese inquinanti ma anche storicamente più remunerative. Questo comportamento sembra trovare riscontro nel report “Banking on Climate Chaos” elaborato da una collaborazione di differenti ONG come Oil Change International, l’organizzazione ambientalista statunitense Rainforest Action Network, l’attivista per la sostenibilità e la finanza etica BankTrack, il gruppo di giustizia ambientale di base Indigenous Environmental Network e think tank di finanza sostenibile Reclaim Finance. Stando a quanto riportato, la scarsa chiarezza degli obiettivi di decarbonizzazione e degli sforzi della “Net zero Banking Alliance” sta conducendo ad un generale aumento degli investimenti nel settore fossile e sia caratterizzato da comportamenti maggiormente legati a pratiche di greenwashing

A queste accuse, non si è fatta attendere la risposta di uno degli imputati del report come la banca inglese Barclays, accusata di essere l’ottava banca al mondo per finanziamenti totali al settore fossile. Tra i punti sollevati in risposta al report compare l’assenza di una metodologia con cui sono riportati i risultati, attribuendo i valori dei finanziamenti ai differenti settori incriminati considerando i soli flussi di cassa, ma non al fine per cui i proventi sono utilizzati. A questo riguardo Barclays sottolinea più volte come le aziende operanti nel settore energetico sono, infatti, impegnate anche in attività di transizione che richiedono comunque molto capitale. Risulta, inoltre, che in un sondaggio condotto su molteplici investitori istituzionali quasi il 50% di loro affermi che i rischi climatici hanno già iniziato a materializzarsi, mentre solo una quota minoritaria pensa che gli effetti dei cambiamenti climatici arriveranno solo a distanza di qualche anno. A conferma di questo trend risulta dimostrato che le banche stiano applicando tassi di prestito più convenienti ad imprese con livelli di responsabilità sociale (CSR) sopra la media o con una chiara divulgazione delle loro emissioni di carbonio. 

Il tema della finanza verde all’interno del settore bancario risulta in definitiva  estremamente vivo e discusso. I parametri con cui gli investimenti sostenibili sono categorizzati all’interno dei vari settori, tuttavia, necessitano di una uniformità maggiore anche in relazione agli obiettivi proposti.
È comprensibile la difficoltà di perseguire una transizione radicale dell’economia as usual volendo mantenere intatti i benefici e la stabilità raggiunti tramite l’efficienza dei combustibili fossili.
Come ricorda però la cultura popolare la coperta è corta. Se da una parte preservare il nostro ecosistema vuole (e deve!) essere la priorità fondamentale, trovare il costo minimo per farlo (nell’antica logica do ut des) sarà certamente una delle sfide globali dei prossimi anni. 

Articolo a cura di Marco Pennacchi Griso, Volontario Italian Climate Network

References rilevanti:

2024042957167893.pdf (rassegnestampa.it)  > La finanza sostenibile

2024043057172753.pdf (rassegnestampa.it) > Investimenti ESG risultati

Do banks fuel climate change? – ScienceDirect > Il ruolo delle banche nella green finance

Mapping the Evolution of Green Finance Research and Development in Emerging Green Economies – ScienceDirect > Fatto che la Cina sia il Paese maggiormente interessato a finanza verde (intro)

Immagine di copertina: Freepick.com

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