I CAMBIAMENTI CLIMATICI INTERCONNETTONO LE INGIUSTIZIE
- Alla People’s Plenary hanno partecipato le persone inascoltate: se si contano, sono la maggioranza.
- Unendo la voce e le motivazioni, hanno ribadito di volere azioni di finanza climatica entro questa COP29.
Il sottotitolo della People’s Plenary sembra un collage di slogan: pay up, stand up. Finance climate action, no genocide (pagate, alzatevi. Finanziate l’azione climatica, non il genocidio), ma è quanto di più esaustivo su ciò che sta accadendo alla COP29 e nel mondo.
Giovedì a Baku abbiamo seguito la riunione plenaria della società civile, quella più arrabbiata, quella che più non vuole lasciare Baku senza un successo: «da COP a COP per noi non sono mesi di attesa, ma giorni di lotta tra la vita e la morte».
Parola alle persone, alla maggioranza
Per due settimane all’anno, alle COP sul clima sfilano delegazioni e leader provenienti da tutto il mondo. C’è poco spazio per le persone comuni, sui palchi più importanti. Finora alla COP29 le persone comuni si sono riunite per filoni tematici o aree geografiche, sempre a gruppetti, confinate nei “side events” o, in alcuni casi, conquistando una sala stampa, piccola e meno introvabile. Ma certo non cercata da chi sta in altre stanze e negozia.
La People’s Plenary offre invece uno spazio per far sentire la propria voce senza essere invitate sul palco da altri, e per farlo insieme: queste voci, finora sparse, si sono trovate per urlare lo slogan del sottotitolo, per mostrare con la semplice presenza nello stesso spazio, nello stesso momento, che «noi siamo il Sud Globale, siamo la maggioranza globale». Una maggioranza con cui forse è arrivato il momento di fare i conti sedendosi, letteralmente, allo stesso tavolo.
La rete delle ingiustizie
Vengono dalla Palestina e dal Libano, dal Sudan e dal Kenya, dal Medio Oriente, con i suoi importanti investitori in combustibili fossili e le sue libertà negate. Una persona disabile, due rappresentanti dei bambini, un attivista contro la guerra. Gli interventi si susseguono ordinati, ma si annodano l’uno con l’altro nella loro diversità, tessendo una rete di ingiustizie resistente, perché più che mai connessa.
«Non si può parlare di giustizia in modo frammentato, non ha mai avuto senso ed è sempre più evidente: dietro a tutti questi drammi ci sono sempre gli stessi, e lo stesso sistema che anche qui a COP29 si vuole difendere. La crisi climatica interconnette tutte le ingiustizie e tutte le aree del mondo in cui avvengono».
Si guarda già a COP30, ma a Baku non è ancora finita
Ciascuna persona chiamata a parlare, spiegando ciò che sta vivendo e ciò per cui che sta lottando, sembra attivare parti anche distanti di un circuito empatico fortemente interconnesso. Riesce a parlare a tanti altri, che hanno diverse sofferenze, diverse origini, diverse necessità, ma sono sempre persone.
La People’s Plenary non regala notizie e sostanzialmente non dice nulla di nuovo. Ma ha la capacità preziosa di unire, offre a chi partecipa la possibilità di contarsi, unisce istanze e ingiustizie, e soprattutto unisce la grinta di chi è davvero, a conti fatti, la maggioranza del pianeta. COP dopo COP, continuando a non ascoltare questa maggioranza, ci si chiede dove andremo a finire tutti, minoranza compresa.
Il finale è dedicato al Brasile, alla COP30: ci si ripropone di arrivare a quell’appuntamento ancora più organizzati. E numerosi. Ma adesso siamo in Azerbaigian, e qui non è ancora finita.
Articolo a cura di Marta Abbà, delegata di Italian Climate Network alla COP29 di Baku
Immagine di copertina: foto di Marta Abbà
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