IL DILEMMA DELL’UOMO VERSO LA NATURA
Le azioni antropiche hanno un impatto importante all’interno di ciascun ecosistema. A volte le conseguenze possono essere indirette – come una tempesta tropicale resa più intensa dai cambiamenti climatici -, altre volte sono dirette, come le scelte politiche che portano alla decisione di abbattere un animale protetto come l’orso bruno.
La natura del Trentino Alto Adige ha purtroppo subito entrambe: proviamo a ripercorrere insieme questi fenomeni tragici e capire il legame che hanno con l’attività umana.
La tempesta Vaia
Tra il 27 e il 30 ottobre 2018 la tempesta Vaia, un evento atmosferico estremo di acqua e vento, ha sconvolto le foreste delle Alpi italiane nord-orientali (in particolare Lombardia, Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia). Anche se si parla di tempesta in realtà i venti hanno raggiunto la velocità tipica di un “uragano”, con circa 150 chilometri all’ora: una potenza paragonabile a quella di un ciclone extra tropicale.
Prima di finire nel mirino della tempesta Vaia, queste regioni avevano sofferto un lungo periodo di siccità e caldo anomalo. Le temperature, anche in quota, erano fuori scala: a mille metri di primo mattino erano ovunque oltre i dieci gradi, mentre nel pomeriggio superavano addirittura i 26. Lo zero termico era stabile oltre i 4.000 metri di quota.
A rendere questo evento così violento e devastante è stata una combinazione di fattori diversi. In una prima fase, tra il 27 e il 28 ottobre 2018, un intenso flusso di correnti di aria umida e calda provenienti da sud-ovest è andato a sbattere sull’Appennino settentrionale e sulle Prealpi, generando abbondanti precipitazioni e violenti temporali.
A partire dalla mattina di lunedì 29, poi, si è verificato un rinforzo dello Scirocco (quindi vento caldo che arriva da sud-est) che ha causato raffiche di vento estremamente violente, provocando dei danni di grossa portata. 42mila ettari di boschi schiantati, 10 milioni di metri cubi di alberi abbattuti, oltre 16 milioni di piante sradicate. Il danno economico stimato è di circa 3 miliardi di euro.
Per dare ancora una volta l’idea della potenza di questo ciclone, si sono verificate un totale di circa 245.000 scariche di fulmini e sono caduti oltre 600 mm di pioggia in solo 3 giorni (una quantità d’acqua che in media cade in sei mesi).
Ad aggravare la situazione di un ecosistema già devastato, negli anni successivi si è verificata anche la proliferazione del bostrico (Ips typographus), un insetto parassita dell’abete rosso che attacca le piante sofferenti, la cui diffusione è stata favorita proprio dalla distruzione provocata dalla tempesta Vaia. Dal 2022 a oggi si sono contati altri 10 milioni di metri cubi di piante morte e altrettante ne sono previste per il 2025-2026, periodo stimato per la fine dell’epidemia.
Il sottile equilibrio tra uomo e natura
Sull’Altopiano di Pradel, vicino al lago Molveno, in Trentino-Alto Adige, si può trovare un’enorme scultura di orso bruno realizzata dall’artista Martalar, nota anche come Orsa Vaia.
Il plantigrado di 8 metri di lunghezza e quasi 6 di altezza è stato realizzato con pezzi di legno intrecciati provenienti da larici abbattuti durante la tempesta Vaia, che ha colpito ferocemente queste zone. L’installazione vuole simboleggiare il sottile equilibrio nella convivenza dell’uomo con la natura ed è volto a sensibilizzare i diversi escursionisti sul peso degli impatti umani nei diversi ecosistemi.
Non lontano dal luogo in cui sorge la scultura, di recente l’orso è tornato a essere vittima di questa delicata convivenza: poche settimane fa è giunta infatti la triste notizia dell’abbattimento dell’orso M91, ucciso nella provincia autonoma di Trento. Si tratta del terzo abbattimento in un anno e il tragico episodio dovrebbe farci riflettere sulla reale efficacia e necessità di scelte così tragiche.
Non è un Paese per orsi: il difficile ripopolamento sulle Alpi
Negli anni Novanta la popolazione di plantigradi era praticamente estinta sulle Alpi centro-orientali. Le maggiori cause sono riconducibili alla caccia intensiva, insieme alla frammentazione e la perdita del loro habitat naturale dovute principalmente allo sviluppo stradale ed edilizio, ma anche all’estrazione minerale che insieme hanno ridotto drasticamente le aree forestali selvatiche.
Per questo motivo si diede vita al progetto Life Ursus che, tramite una serie di finanziamenti europei, permise di ripopolare l’area trasferendo in questa zona una decina di orsi provenienti dalla vicina Slovenia. In seguito alle prime nascite di nuovi orsi, venne redatto il Piano d’Azione interregionale per la conservazione dell’Orso bruno sulle Alpi centro-orientali (comunemente noto come PACOBACE). Tale piano fu redatto, sottoscritto e formalmente approvato da diversi enti territoriali e nazionali: Provincia Autonoma di Trento, Provincia Autonoma di Bolzano, Regioni Friuli-Venezia Giulia, Regione Lombardia, Regione Veneto, Ministero dell’Ambiente e ISPRA.
Secondo WWF Italia, nella zona del Trentino si starebbe proseguendo con una linea politica antiscientifica sulla gestione degli orsi, che negli ultimi anni avrebbe portato ad una strategia che non tiene conto degli aspetti biologici e sociali legati alla presenza (naturale) dell’animale.
Sempre secondo WWF e altri autorevoli osservatori la Provincia Autonoma di Trento, infatti, sembrerebbe dimostrare difficoltà o una non volontà nel gestire il ritorno dei grandi carnivori. L’orso è una specie protetta a livello nazionale ed europeo e le diverse politiche europee ci dicono che la convivenza è possibile.
A nostro avviso un approccio corretto dovrebbe basarsi sulla prevenzione e l’informazione. Nessuna quota di abbattimento può avere maggiore efficacia di investimenti mirati in tal senso, come dimostrato da numerosi contesti internazionali. Investire più risorse in questa direzione porterebbe a una diminuzione del conflitto, anche a fronte di un trend demografico positivo della popolazione di orso, garantendo in questo modo sia la conservazione di una specie ancora minacciata, sia un abbassamento del livello di conflittualità con le popolazioni locali.
Gli studi europei: biofilia versus biofobia
In tutta Europa la percentuale di natura selvatica è scesa a livelli allarmanti, soprattutto negli ultimi dieci anni.
Mentre sono stati discussi largamente gli aspetti naturali delle attività di rewilding, come il ripristino dei processi ecologici, la connettività dei paesaggi e la reintroduzione di popolazioni di grandi carnivori, gli aspetti sociali hanno sempre ricevuto meno attenzione. Tuttavia, sempre più dati mostrano che l’esperienza nella natura selvatica può contribuire al benessere emotivo, sociale e psicologico delle persone. È importante quindi comprendere il rapporto tra gli esseri umani e la natura, in un mondo sempre più sovrappopolato e in continua trasformazione.
I grandi carnivori, come gli orsi, sono componenti essenziali all’interno degli ecosistemi, e il loro ripopolamento è cruciale per la riuscita di pratiche di rewilding, ovvero di ripristino ecologico.
Molte persone guardano a questi animali con sentimenti positivi in quanto simboli della selvaticità, ma altre li percepiscono come problematici o pericolosi. Questo dualismo riflette due approcci psicologici dicotomici che si possono avere verso la natura: la biofilia, cioè amore per essa, o di contro la biofobia, ovvero paura nei suoi confronti.
Ma possono anche rispecchiare due diversi punti di vista, come l’ecocentrismo, ovvero la valorizzazione della natura per se stessa, e l’antropocentrismo, che mira invece a valorizzare la natura per i benefici materiali o fisici che possono portare all’uomo.
Per questo motivo i grandi carnivori possono suscitare sentimenti contrastanti: positivi, come interesse e gioia, ma anche negativi, come disgusto o paura.
La paura gioca un ruolo chiave nell’atteggiamento verso questi animali selvatici e la volontà di appoggiare o meno politiche di conservazione di queste specie.
La loro recente ripopolazione sta inoltre esacerbando il dibattito di questo conflitto in tutta Europa, dove la questione si sta polarizzando maggiormente intorno ai danni economici e il rischio della sicurezza della popolazione, tralasciando totalmente invece i benefici che possono portare.
Capire la complessità nella percezione delle persone è la base per la buona riuscita di attività che mirino alla conservazione delle specie protette.
Per un’ecologia oltre l’umano
Il sistema naturale è il sistema più alto che detta le regole ma è suscettibile di cambiamento in base alle attività di tutti i componenti, come quelle umane. Il suo obiettivo è la conservazione della biodiversità e può andare in conflitto con gli obiettivi del sistema sociale.
Le conseguenze però si stanno ritorcendo contro di noi, e gli eventi climatici estremi sono la prima conseguenza diretta di questo disallineamento.
È necessario riconsiderare l’uomo all’interno di un sistema complesso dove ogni componente è strettamente legato agli altri. Inoltre, è comprovato che la conservazione della biodiversità aiuta a mitigare gli effetti della crisi climatica.
Come suggerisce Eduardo Kohn nel suo libro Come pensano le foreste, l’ecologia deve essere ripensata come la scienza della relazione reciproca di tutti gli esseri viventi. L’ecosistema, quindi, non è solo equilibrio biologico ma è un’ecologia dei diversi sé, esseri umani e non. Non siamo solo dipendenti dagli altri esseri viventi dal punto di vista energetico, fisiologico ed evolutivo, ma come dice l’antropologo “il nostro pensiero dipende dal pensiero di tarassachi, faggi, formiche, cani, pesci, balene o porcini con la stessa intensità con cui il nostro metabolismo dipende dalla vita delle vite di cui ci nutriamo”.
Articolo a cura di Lorena Piccinini, volontaria di Italian Climate Network.