giusta transizione
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Giu

LA GIUSTA TRANSIZIONE, DA PARIGI A BELÉM

La giusta transizione è uno dei principali filoni negoziali su cui si sta lavorando a Bonn, ai negoziati intermedi verso la COP30. Ma da dove viene? E a che punto siamo?

Il concetto di giusta transizione nasce nel 1980 dalla lotta del movimento delle unioni sindacali statunitensi per proteggere i lavoratori dagli impatti di nuove regolamentazioni sull’inquinamento dell’aria e dell’acqua. Grazie a una loro efficace attività di advocacy, la giusta transizione è arrivata anche ai tavoli negoziali UNFCCC, ricevendo nel tempo sempre più attenzione, fino a diventare parte integrante dell’Accordo di Parigi. Il testo di COP21 inserisce il concetto di giusta transizione (just transition) nel preambolo attraverso la dicitura “tenendo in considerazione l’imperativo di una giusta transizione della forza lavoro e della creazione di lavori dignitosi e di qualità, in accordo con le priorità nazionali”. 

Analizziamo le varie parti:

  • giusta transizione della forza lavoro”: il tema della giusta transizione viene qui circostanziato alla sola forza lavoro, i cui bisogni e preoccupazioni dovrebbero essere presi in considerazione. Il testo non definisce quali siano i due estremi da cui e verso cui si effettua la transizione, né quale sia la transizione in atto. 
  • “…e della creazione di lavori dignitosi e di qualità”: la giusta transizione deve fornire ai lavoratori possibilità di scegliere lavori dignitosi e di qualità nel caso in cui dovessero abbandonare quelli di partenza.
  • “…in accordo con le priorità nazionali”: d da un lato si evidenzia che non esiste una transizione “one size fits all” e che ogni stato deve avere un ampio margine di discrezione nel determinare la propria, dall’altro, si esclude implicitamente un approccio transnazionale. Secondo questa considerazione la giusta transizione devia, quindi, dai concetti di giustizia nel sistema UNFCCC, basati su equità e sulle responsabilità comuni ma differenziate (CBDR-RC), ma applica considerazioni della giustizia a specifici gruppi sociali all’interno degli stati.

Il significato di giusta transizione e delle sue implicazioni sotto l’Accordo di Parigi è cambiato nelle COP successive. Il Patto per il clima di Glasgow, raggiunto a COP26 nel 2021, per la prima volta ha svincolato il concetto di giusta transizione dal riferimento diretto ai lavoratori. In particolare, il paragrafo 20 chiama le parti ad “accelerare la transizione verso sistemi energetici a basse emissioni […] fornendo supporto ai più poveri e più vulnerabili, in linea con le circostanze nazionali e riconoscendo il bisogno di supporto verso una giusta transizione”. In questa decisione, la giusta transizione diventa quella supporta i poveri e i più vulnerabili, in linea con le circostanze nazionali. Inoltre, il paragrafo 52 “riconosce la necessità di assicurare giuste transizioni che promuovano lo sviluppo sostenibile e l’eradicazione della povertà, e la creazione di lavori dignitosi e di qualità, includendo attraverso la realizzazione di flussi finanziari consistenti con uno sviluppo a basse emissioni climalteranti e resiliente, lo sviluppo e il trasferimento di tecnologie e il supporto ai paesi in via di sviluppo”.
Il linguaggio utilizzato espande l’ambito della giusta transizione all’interno della giustizia climatica, basandosi sulla considerazione che le comunità già povere ed escluse dai benefici dell’economia globale soffrono gli impatti maggiori del cambiamento climatico, pur non essendone responsabili. Tra le misure di giusta transizione viene incluso l’orientamento del supporto tecnico e finanziario verso Paesi in via di sviluppo, collegandosi ai concetti di equità e di CBDR e determinando la responsabilità dei Paesi sviluppati verso quelli in via di sviluppo anche in questo frangente. 

Per riassumere, il Patto per il clima di Glasgow introduce i seguenti argomenti:

  • la transizione va verso sistemi energetici a basse emissioni;
  • la giusta transizione promuove lo sviluppo sostenibile, l’eradicazione della povertà e la creazione di lavori dignitosi e di qualità;
  • la giusta transizione fornisce supporto ai più poveri e più vulnerabili;
  • i Paesi sviluppati devono fornire supporto a quelli in via di sviluppo per la realizzazione di giuste transizioni;
  • le giuste transizioni devono avvenire in linea con le circostanze nazionali.

Un anno dopo, alla COP27, nello Sharm el-Sheikh Implementation Plan la Parti decidono, al paragrafo 6, “di implementare transizioni ambiziose, giuste, eque e inclusive verso uno sviluppo a basse emissioni e resiliente, in linea con i principi e gli obiettivi della Convenzione, del Protocollo di Kyoto e dell’Accordo di Parigi”. Inoltre, il paragrafo 29 afferma che “le transizione giuste ed eque riguardano traiettorie che includono la dimensione energetica, socioeconomica, della forza lavoro ed altre, tutte basate sulle priorità nazionali e devono include sistemi di protezione sociale così per mitigare i potenziali impatti associati con la transizione”. La decisione permette, quindi, di ampliare la contestualizzazione delle misure di giusta transizione e di dimostrare la centralità della protezione sociale per distribuire i potenziali danni della transizione. Il concetto di giusta transizione viene inoltre ulteriormente legato con l’equità.
La stessa decisione afferma poi che le giuste transizioni “debbano essere fondate sul dialogo efficace e significativo e sulla partecipazione di tutti gli stakeholders”. 

Nella decisione di COP27, quindi, la transizione:

  • va verso uno sviluppo a basse emissioni e resiliente, in linea con i principi dell’Accordo di Parigi;
  • se giusta ed equa, riguarda traiettorie che includono la dimensione energetica, socioeconomica, della forza lavoro ed altre;
  • è basata su priorità nazionali;
  • deve includere sistemi di protezione sociale;
  • deve essere fondata sul dialogo efficace e significativo e sulla partecipazione di tutti gli stakeholders.

Nel 2023 a COP28 di Dubai viene creato un programma di lavoro specifico sulla giusta transizione, il UAE Just Transition Work Programme, il cui obiettivo è quello di “discutere traiettorie che permettano di raggiungere gli obiettivi delineati dall’articolo 2.1 dell’Accordo di Parigi, nel contesto dell’articolo 2.2”.
La giusta transizione viene quindi presentata come il principio attraverso cui raggiungere gli obiettivi di Parigi, in linea con il principio di equità e di responsabilità comune ma differenziati e rispettive capacità. Inoltre, il testo richiama le decisioni delle COP precedenti, tra cui la definizione di Sharm el-Sheikh secondo cui la giusta transizione si inserisce nell’ottica dello sviluppo sostenibile e dell’eliminazione della povertà, e nella creazione di lavori dignitosi e di qualità.
Viene riconosciuto l’obbligo dei Paesi sviluppati di fornire supporto a quelli in via di sviluppo, anche tenendo in considerazione loro speciali bisogni e circostanze, ma si riconosce anche che le giuste transizioni riguardano tutti gli stati.

Nel 2024 la COP29 di Baku non ha portato all’adozione di una decisione sul tema della giusta transizione e ora, ai negoziati intermedi di Bonn, stiamo monitorando i lavori per vedere come il tema evolverà verso la COP30.

Articolo a cura di Claudia Concaro, delegata di Italian Climate Network ai negoziati di Bonn.

Immagine di copertina: foto di Claudia Concaro

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