cop29
20
Nov

L’AFRICA VUOLE ANDARE AVANTI, L’EUROPA PUÒ ALLEARSI OPPURE OSTACOLARLA

  • La transizione energetica dell’Africa passa per l’uso che il resto del mondo fa delle sue risorse.
  • Alla COP29 si è discusso di se e come ri-orientare gli investimenti per non replicare modelli “colonialistici” già noti.
  • Oltre a partenariati e collaborazioni, si è anticipata la necessità di un concreto e credibile trasferimento tecnologico.

Deve rispondere alla crisi climatica perché è tra i primi a sentirne gli effetti: difficile essere negazionisti credibili, in Africa. E deve garantire accesso all’energia ai suoi abitanti: 600 milioni non lo hanno. L’equazione che dovrebbe guidare la transizione energetica nel continente deve tener conto di entrambi gli elementi, se si desidera un risultato con un + davanti. Per l’Africa, oltre che per l’Europa.

Durante la COP29 ci sono anche incontri che provano a far quadrare i conti e, anche se sembrano coinvolgere solo una o due aree del mondo, non sono parziali ma fondamentali. Basta partecipare, infatti, per trovarsi a prendere atto di come in questa partita giochiamo tutte e tutti. E la prima voce che va ascoltata per capire come vincerla, a lungo termine, è quella dell’Africa stessa, anche solo perché «se l’Africa decide che nessuno toccherà le nostre risorse, siamo tutti condannati», ha ricordato Karabo Mokgonyana, Renewable Energy Campaigner di Power Shift Africa. 

La transizione energetica mondiale di un continente 

Offrendo a chi vuole sbrogliarla con lei, il bandolo della matassa, Mokgonyana ha proseguito nell’ottica di promuovere partnership, per raggiungere strategie di finanziamento equo. «L’attuale debito dei Paesi africani non permette loro di indebitarsi ulteriormente per promuovere una qualsiasi transizione energetica: li blocca e li imprigiona nelle industrie dei combustibili fossili, perché sono sistemi già presenti».
«Servono finanziamenti per i sistemi di energia rinnovabile – ha avvertito -, destinati solo alla componente pulita». E servono dall’esterno, da chi ne fa già parecchi in altri settori o in altri filoni energetici. Per ora ha spiegato che solo il 2% di quelli sulle rinnovabili degli investimenti arriva nel continente. «Come possono facilitare la giusta transizione? Molti Paesi restano così perché sono costretti a pagarsela affidandosi a progetti che accrescono il loro debito. Siamo intrappolati» ha ribadito. 

La chiamata per facilitare una giusta transizione del continente africano che Mokgonyana ha fatto dalla COP29 è ferma e chiara, e rivolta a diverse parti a livello globale, «perché tante sono quelle che svolgono un ruolo particolare in questa evoluzione, necessaria a tutti». 

Invece di considerare l’Africa «solo come destinatario e mendicante», è fondamentale permettere che ricopra il ruolo principale in una conversazione in cui per ora prevalgono le voci di Stati Uniti e Cina. «Loro hanno potere di mercato, ma le risorse sono nostre: dobbiamo iniziare a parlare di questo tema con rispetto reciproco – ha affermato – finora abbiamo assistito solo a un aumento del colonialismo e non vogliamo che si replichino i modelli che abbiamo visto in relazione alle industrie dei combustibili fossili».

Prima di concludere, una “precisazione”, un dettaglio che non è un dettaglio, ma la chiave per non rivivere dinamiche già troppo note da già troppo tempo. «La crisi climatica colpisce le persone, i progetti di transizione dovranno essere quindi essere guidati localmente, per adeguarli alle esigenze delle diverse comunità indigene, da coinvolgere in prima persona». 

Lungimiranza, proiettando la transizione UE fuori dall’UE

Se Mokgonyana ha portato tutti coi piedi per terra, nel presente, facendone una questione di percentuali di fondi e risorse, Vance Culbert, Senior Policy Advisor del IISD Energy Programme, ha ampliato il ragionamento spingendolo verso il futuro. 

«La transizione energetica dell’Africa sarà molto lunga e l’indebitamento la blocca, per cui progetti ad alto costo e che prevedono nuovi obiettivi a lungo termine, non penso siano la strada da percorrere – ha spiegato -: dobbiamo riorientare il pensiero sull’energia, considerando i requisiti nazionali e gli obiettivi climatici a lungo termine che dobbiamo raggiungere collettivamente, come continente». E come Pianeta. Perché la sua transizione non può avvenire senza che tutti coloro che stanno usando le risorse africane partecipino. 

Culbert ha fatto i conti: «Secondo i modelli dell’Agenzia Internazionale dell’Energia il mondo dovrebbe raggiungere il picco di utilizzo del gas entro il 2030, compreso uno dei percorsi più conservativi delle proiezioni del modello, chiamato percorso STEPS. Nel frattempo, la capacità di GNL si sta espandendo a livello globale. Prevediamo un aumento della capacità fino al 40% entro il 2030 – ha affermato – Questo significa che ci sarà un crollo economico nei mercati del gas. Abbiamo un’espansione della produzione e un aumento dell’offerta e uno dei principali investitori nell’espansione della capacità è costituito dalle nostre società europee. Ma il modo in cui questi investimenti vengono effettuati spesso avvantaggia solo loro stesse e non i Paesi africani coinvolti». 

Mentre i protagonisti della COP29 sui grandi tavoli lottano contro il tempo, su tavoli apparentemente più piccoli si giocano partite che decideranno il futuro energetico anche europeo. Anche italiano. 

Appunti per un nuovo tandem energetico Africa – Europa

Se mai volessimo rivedere questi trattati, come dovremmo farlo?
Alla luce di almeno due evidenze numeriche.

  • Per attirare i capitali, spesso vengono concordate condizioni di investimento molto sfavorevoli, in cui la maggior parte dei Paesi accetta che la maggior parte delle entrate iniziali di questi progetti ripaghino i capitali delle società. Solo tra 10, 15 o 20 anni, probabilmente, questi Paesi otterranno entrate significative, quando i mercati del gas saranno molto diversi e ci sarà il rischio che questi progetti non siano affatto redditizi.
  • I programmi di efficienza energetica dell’UE potrebbero vedere una riduzione del 40% nell’uso del gas naturale. Esaminando i mercati che andrebbero a impattare, ci si chiede cosa succederà se le scommesse sui progetti avviati in Africa non andranno a buon fine, così come sono stati costruiti. La risposta è: debiti a lungo termine, anche per i Paesi africani che spesso partecipano a questi programmi di investimento e ne ricaverebbero un aumento del debito nazionale. 

Il passo ancora oltre, ma che l’intero tavolo non rinuncia ad anticipare già ora: ci dovrà essere un equo trasferimento tecnologico. Serve pensarci da subito, perché quando avremo partenariati e collaborazioni, sarà importante lavorare insieme e collaborare per garantire l’utilizzo dell’energia verde, ma in modo che le dinamiche di potere siano davvero equilibrate. E, oltre che nei fondi, serve equilibrio anche nell’accesso alle tecnologie e alla formazione. 

Articolo a cura di Marta Abbà, delegata di Italian Climate Network alla COP29 di Baku.

Immagine di copertina: foto UN Climate Change – Kiara Worth

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