LE FORESTE DEL MONDO SONO ARRABBIATE, E UNITE VERSO COP30
- La Global Forest Coalition presenta la Dichiarazione di Baku e prepara quella di Belém, dove si svolgerà la COP30 sul clima nel 2025.
- Chiesta una svolta decisiva verso la giustizia climatica e l’inclusione delle comunità locali nelle decisioni e nelle soluzioni.
- I mercati del carbonio al centro del mirino: COP dopo COP, è sempre peggio.
Non sono solo i cambiamenti climatici ma anche l’imbarazzante carenza dei sistemi giuridici e delle politiche a condannare a morte le foreste di tutto il globo. E la Convenzione Quadro dell’ONU sui Cambiamenti Climatici non fa eccezione: secondo la Global Forest Coalition (GFC) «sta dimenticando di essere un’agenzia delle Nazioni Unite: non riesce a fermare la deforestazione e ha completamente abbandonato i cittadini. Intanto, i singoli governi riconoscono sì il valore delle foreste distrutte, ma trattandole semplicemente come pozzi per alimentare i mercati del carbonio, senza tener conto della biodiversità che custodiscono».
La Dichiarazione delle Foreste di Baku
Durante la COP29, è fondamentale far notare tutto, anche se da una delle stanze “piccole” e non da quelle che ospitano le plenarie o secretano le altisonanti discussioni, perché il 2024 è stato un anno critico. Ma può diventare quello di svolta.
In Amazzonia gli incendi hanno distrutto aree forestali più grandi di interi Paesi, in Russia più di 10.000 incendi boschivi hanno bruciato oltre 7,7 milioni di ettari… A meno di tre giorni dalla fine ufficiale dell’appuntamento di Baku, non c’è tempo per continuare l’elenco, ma a fotografare in modo efficace la situazione ci pensa la Dichiarazione della foresta di Baku dell’Asia centrale e del Caucaso. Disponibile sul sito della GFC, il documento sottolinea l’urgente necessità di un’azione climatica efficace che dia priorità ai diritti delle popolazioni indigene e alla protezione delle foreste.
A chi sta ai tavoli di COP29, la Global Forest Coalition chiede di concentrarsi su giustizia, sostenibilità ed equità:
- includendo le popolazioni locali nel processo decisionale sul clima,
- fermando false soluzioni come i meccanismi REDD+ e i mercati del carbonio,
- finanziando soluzioni basate sulla comunità e sui diritti,
- rafforzando la protezione delle foreste nelle strategie climatiche nazionali.
Svolgendosi a Baku, la COP29 potrebbe avere un occhio di riguardo per le foreste dell’Asia centrale e del Caucaso – per esempio riconoscendo il ruolo degli ecosistemi per la stabilizzazione del clima e la regolazione del trasferimento di umidità continentale, ma anche sviluppando accordi a livello continentale sulla conservazione delle cinture forestali e conferendo uno status speciale di regolazione del clima alle cinture forestali boreali eurasiatica e nordamericana.
Verso la COP30: la COP delle foreste, nelle foreste
Tenendo duramente ferma la propria posizione a Baku, la GFC non dimentica l’appuntamento del prossimo anno in Brasile: si sta già preparando e si mostra determinata ad affrontarlo con idee chiare e comunanza di valori e obiettivi. Ha creato infatti un gruppo di esperti ad hoc per concentrarsi su COP30 sintetizzando le istanze di tutti i suoi 136 membri di 78 Paesi diversi. Un’impresa coraggiosa che condurrà la coalizione alla stesura della “Dichiarazione di Belém” per la protezione dell’Amazzonia e di altri tipi di foreste in America Latina.
Quanto alla partecipazione delle foreste alla COP che si svolge in mezzo «a una di loro», la GFC ha già iniziato a chiedere che si creino le condizioni necessarie a garantire una partecipazione attiva delle comunità locali e dei monimenti sociali, con l’inclusione di soluzioni che provengano da loro.
«La violenza del carbonio viene perpetrata in ogni pozzo di petrolio, soprattutto nel Sud del mondo, per i crediti di carbonio, carbonio blu e carbonio verde: qualsiasi tipo. Non possiamo andare in Amazzonia e iniziare ad applicare le stesse dinamiche», ha spiegato Souparna Lahiri, Climate campaigner and advisor della GFC. «È giunto il momento di costruire davvero il terreno per garantire che le voci delle vittime siano ascoltate. E la COP30 è uno spazio molto interessante. Grazie al nuovo comitato per l’investigazione, faremo sì che nessuno possa dire: ‘Non è colpa mia’».
Articolo 6.4, sempre peggio
Definendo la discussione su NCQG un fallimento, la GFC si è focalizzata in particolare sull’articolo 6.4 dell’Accordo di Parigi: «qui lo hanno peggiorato, per molte ragioni».
«I Paesi in via di sviluppo che desiderano avere questi meccanismi e l’opportunità di ricevere finanziamenti per il clima o trasferimento tecnologico, sono fuori da questo circolo. Le regole diventano troppo difficili per partecipare e ottenere finanziamenti», afferma Maureen Santos di FASE Brazil. «Allo stesso tempo, il 6.4 continua a ufficializzare i mercati volontari del carbonio, permettendo che resti attivo un processo non ben regolamentato e creando un regolamento ufficiale all’interno dell’NFCCC che spinge questo mercato verso la foresta». Nella discussione sull’articolo 6.4, come in altri indirizzi che si stanno prendendo in questi giorni, secondo la GFC si continua a considerare le comunità locali e indigene come un servizio. Il timore è che, per l’ennesima volta, si finisca per «addossare maggiori responsabilità sul Sud globale, che dovrà ridurre le emissioni, invece che per il Nord globale che dovrebbe davvero fare il suo lavoro»
Articolo a cura di Marta Abbà, delegata di Italian Climate Network alla COP29 di Baku