cop29
19
Nov

REDD+, DALLE FORESTE UN ESEMPIO PER IL MONDO. INDIGENI A PARTE

  • Il programma UNFCCC affronta i cambiamenti climatici valorizzando le risorse naturali con studiati incentivi finanziari.
  • Ghana, Indonesia e Guyana dipingono il REDD+ come strumento di emancipazione verso una gestione virtuosa e sostenibile.
  • Emergono casi di violazione dei diritti delle popolazioni che queste foreste le abitano e non vengono coinvolte nei progetti per la conservazione.

I report prodotti sono funzionali agli NDC (National Determined Contributions) e favoriscono le valutazioni tecniche, la loro stesura innesca processi virtuosi di monitoraggio e salvaguardia delle risorse e incoraggia la crescita delle capacità di singoli e team, diffondendo una maggiore consapevolezza a livello nazionale. I programmi REDD+ «mostrano la via da percorrere», secondo Donald Cooper, Direttore per la Trasparenza della UNFCCC, sono «l’esempio di come si implementa un processo e dimostrano che, quando serve che qualcosa funzioni, lo si può far funzionare». Sta parlando di foreste, ufficialmente, ma nel primo giorno della seconda settimana di una COP29 che ancora gira attorno a sé stessa, risuonano dirette a tutti coloro che vi stanno partecipando. Fuori dalle foreste, dentro ai corridoi della struttura azera che ne richiama vagamente il colore e ospita in un ambiente sigillato migliaia di persone provenienti da ogni parte del mondo. 

REDD+, una selva di piante, crediti di carbonio e persone 

REDD+ sta per Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation, riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado forestale. Il “+” ne vorrebbe estendere i benefici e il raggio di azione, includendo la conservazione, la gestione sostenibile delle foreste e l’aumento degli stock di carbonio nelle foreste. Fa parte del pacchetto di soluzioni internazionali proposte per affrontare i cambiamenti climatici nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e si basa sul concetto del loro riconoscimento. Ne vuole sottolineare l’importanza del ruolo nella lotta ai cambiamenti climatici e, per farlo in modo convincente, promette incentivi finanziari ai Paesi in via di sviluppo che dimostrano di proteggere realmente le foreste, ottenendo una provata riduzione delle emissioni. 

Aprendo un incontro dedicato a questa iniziativa alla COP29 di Baku – con un panel composto da tre “casi studio virtuosi”, una “socia” della FAO e tre esperti REDD+ che hanno fatto da tutor a chi ha partecipato al programma – Cooper ha lasciato poco spazio alla discussione, imprimendo da subito al confronto un tono celebrativo.

Tre foreste esemplari  

«Un esempio di leadership di tutto il mondo», questa iniziativa ha un solo difetto, secondo Cooper: i Paesi che vi partecipano sono troppo timidi e si prendono poco spazio per comunicare i propri successi e i passi avanti al resto del mondo. E allora via alle danze: il resto del meeting serale è un passaparola di testimonianze dirette, lato Paese operante e lato esperto di supporto. Per il Ghana, Thomas Yaw Gyambrah, Direttore della Commissione Forestale della Direzione Cambiamenti Climatici, ha raccontato di come REDD+ abbia permesso di rendere più omogenea e consapevole la gestione delle loro risorse. 

Nella “sua” Guyana, secondo Nikolaus Oudkerk, Coordinatore del Dipartimento per i Cambiamenti Climatici, «sono stati fatti molti passi avanti da tanti punti di vista, grazie a un processo pensato per essere adeguato ad ogni contesto locale in modo concreto ed efficace». E poi interviene l’Indonesia, per voce di Nur Masripatin, Senior Advisor del Ministro dell’Ambiente e delle Foreste, che ha posto l’accento sui benefici in termini di formazione e consapevolezza. Se non di una più vicina indipendenza nel gestire le proprie risorse, anche in chiave di NDC e di mercato dei crediti di carbonio.

Parola agli esperti di foreste altrui 

Dopo le lodi ai REDD+ da parte di Amy Duchelle, funzionario forestale senior, responsabile del team Foreste e Clima, Divisione forestale della FAO, sono arrivati gli interventi degli esperti. Gli esperti in foreste, ma soprattutto nell’introduzione di programmi forestali in territorio altrui.
Ha aperto Maggie Charnley, Capa dell’Unità forestale internazionale del Regno Unito, annunciando 3 “nuovi” milioni di sterline a sostegno dei progetti REDD+ e raccontando quanto ha ricevuto sia umanamente che personalmente da quelli in cui è stata impegnata in prima persona. Su questo aspetto è intervenuta anche María José Sanz Sánchez, esperta REDD+ del roster di esperti UNFCCC, sottolineando come beneficio anche il passaggio di competenze per poter trasformare le foreste in driver negli NCD e, più in generale, nelle strategie di sviluppo del Paese protagonista. 

Luis Panichelli, terzo esperto REDD+ chiamato a intervenire, poco si è distinto dalla voce dei colleghi, ribadendo i benefit offerti in valuta “consapevolezza” e ha descritto i progetti così avviati come un trampolino verso una gestione autonoma delle risorse forestali virtuosa ed economicamente sostenibile.

Manca una sedia al tavolo, e una gamba al progetto 

Tre “Paesi di foreste”, tre “Paesi di esperti”, due fautori del progetto. Al tavolo, già lungo, avrebbe dovuto esserci un’altra sedia. Molte, in realtà, ma almeno una rappresentativa di tutti i popoli indigeni che abitano le foreste trasformate in risorse con REDD+. Chissà se a loro ne è arrivata una parte e come, in che valuta, e a che prezzo.
Negli spazi blindati color foresta della COP29, nessuno risponde e pochi probabilmente se lo domandano, ma basta una semplice ricerca online per aprire una crepa nell’affresco con cui la UNFCCC lo ha mostrato durante la Conferenza.

Un recente rapporto di Human Rights Watch (HRW) ha denunciato gravi violazioni dei diritti umani contro le comunità indigene Chong associate al progetto di credito del carbonio Cardamon REDD+ della Cambogia meridionale. Sviluppata congiuntamente dal Ministero cambogiano dell’Ambiente e dall’Alleanza per la Fauna Selvatica, un’organizzazione per la conservazione delle foreste e della fauna selvatica, questa specifica iniziativa sembra aver nascosto “diffusi maltrattamenti” e aver avallato attività per oltre due anni prima di consultare le comunità indigene, violando così il loro diritto al consenso libero, preventivo e informato, principio riconosciuto dal diritto internazionale dei diritti umani nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni. 

Nello stesso documento sono citati anche casi di sfratto da parte delle forze dell’ordine locali e di arresti di appartenenti a popolazioni indigene, come anche l’assenza di un accordo di condivisione dei benefici tra gli sviluppatori del progetto e il popolo Chong e la mancanza di trasparenza intorno ad essi. Continuando a scorrere studi e documenti sulla relazione tra REDD+ e diritti umani, si trovano racconti contrastanti, ma una società civile allineata su pareri per lo meno diffidenti, se non accusatori, verso chi ha disegnato e chi celebra questo tipo di programmi, augurandone la diffusione massiccia in nome della mitigazione globale e dello sviluppo locale. Mancano forse ancora i dati e le prove per poter affermare con certezza da che parte sta la verità. Può capitare, ma la mancanza di questa sedia in più è stata una scelta.

Articolo a cura di Marta Abbà, delegata di Italian Climate Network alla COP29 di Baku

Immagine di copertina: foto di UN Climate Change – Kamran Guliyev

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