06
Ott

Accordo di Parigi: la ratifica UE porta all’entrata in vigore. E l’Italia?

L’Unione Europea, seguita da alcuni Stati Membri, ha depositato lo strumento di ratifica dell’Accordo presso il Segretariato UNFCCC, dando via al countdown per l’entrata in vigore, attesa per il 4 novembre. Nel frattempo, l’Italia si avvia anch’essa alla ratifica interna, nonostante l’insoddisfazione per un target comunitario ritenuto dal Governo poco equo: rimane tuttavia necessario un elevato livello di ambizione per le scelte nazionali.

Con l’approvazione della ratifica da parte del Parlamento Europeo, l’Accordo di Parigi potrà finalmente entrare in vigore: al momento del deposito degli strumenti di ratifica (avvenuto tra il 4 ed il 5 ottobre), infatti, sono state superate le soglie previste di almeno 55 “Paesi” (oggi 74) rappresentanti almeno il 55% delle emissioni globali (oggi al 58.82%).

A lungo si è discusso circa le modalità di ratifica da parte dell’UE: non era chiaro, infatti, se si sarebbero dovute attendere le ratifiche nazionali da parte di tutti gli Stati Membri prima di depositare lo strumento di ratifica comunitario (si ricorda che l’UE, in sede negoziale, agisce come un unico blocco ed è considerata come un solo “Paese”). Se da un punto di vista prettamente tecnico, infatti, non era necessaria una preventiva approvazione da parte dei 28 affinché l’UE potesse ratificare, dall’altro ragioni di opportunità politica hanno suggerito come strategia migliore avere una ratifica dell’UE prima che tutti i singoli Stati Membri ultimassero a livello nazionale le proprie procedure di ratifica. Infatti, aspettare le ratifiche nazionali degli Stati Membri avrebbe ritardato la ratifica Europea e la UE, che grande ruolo ha avuto nel guidare buona parte del processo negoziale UNFCCC verso l’Accordo di Parigi, avrebbe perso l’opportunità di mandare un chiaro segnale di supporto al trattato.

Si è atteso dunque quanto possibile, ma diversi Paesi si sono mossi in ritardo: fino a martedì solo Francia, Germania, Portogallo, Ungheria, Austria, Slovacchia e Malta avevano ratificato l’Accordo.

Con questa mossa l’UE rompe dunque gli indugi, al fine di garantire che la prima sessione della Conferenza delle Parti aderenti all’Accordo di Parigi (CMA1) possa svolgersi già in occasione della COP22 prevista a Marrakech dal 7 al 18 novembre: l’entrata in vigore avverrà infatti il 4 novembre, il trentesimo giorno successivo a quello in cui si è registrato il superamento delle soglie.

Singolare, tuttavia, la scelta (immaginiamo concordata da UE e UNFCCC) di elencare l’UE ed i 7 Stati Membri tra i depositari dello strumento di ratifica, bensì di considerare solo le emissioni di questi ultimi (e non quelle dell’intera Unione) nel contatore delle emissioni per l’entrata in vigore dell’Accordo; ciononostante, la soglia è stata ugualmente superata anche grazie alla concomitante ratifica da parte del Canada.

Appare opportuno, in ogni caso, sottolineare come una mancata ratifica da parte dell’UE sarebbe potuta essere particolarmente dannosa per l’Unione: sorvolando sulle questioni di immagine (trovarsi “alle spalle” di USA, Cina ed India), se l’Accordo fosse comunque entrato in vigore grazie alla ratifica di altri Paesi (mancava solo un 2.9% delle emissioni per il raggiungimento della soglia) l’UE si sarebbe trovata esclusa dalla prima seduta del CMA e non avrebbe pertanto avuto voce in capitolo in una sessione in cui presumibilmente verranno prese decisioni importanti circa le regole di attuazione. Il fine, in sostanza, sembra giustificare i mezzi.

Il caso dell’Italia

Nella giornata di martedì è giunta all’attenzione della cronaca il tema della ratifica dell’Accordo da parte dell’Italia: il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge di ratifica e di esecuzione prevedendo, tra l’altro, “la partecipazione alla prima capitalizzazione del Green Climate Fund con 150 milioni di euro” (50 milioni all’anno fino al 2018); la palla passa ora al Parlamento che dovrà approvare il testo.

Relativamente alle polemiche emerse su vari organi di stampa (ad esempio sul Fatto Quotidiano) circa il ruolo del nostro Paese nelle operazioni di ratifica nazionale ed europea, indicate da alcuni come frutto di una posizione volta ad ostacolare reali progressi, bisogna osservare quanto segue: se, da una parte, appare innegabile come vi sia un effettivo ritardo rispetto ad altri omologhi nelle operazioni interne di ratifica (così come – riteniamo – nella definizione di una politica energetica e climatica ambiziosa che dia finalmente qualche certezza in ambito strategico sulle concrete intenzioni dell’Italia da qui al 2030), dall’altra non è possibile ignorare il fatto che le Proposte della Commissione Europea (“Effort Sharing Regulation” e “LULUCF Regulation”) per la suddivisione, tra gli Stati Membri, dell’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra fissato per l’Unione Europea al 2030, appaiano effettivamente penalizzare l’Italia.

Come illustrato nell’analisi da parte di Climalteranti, infatti, il nostro Paese avrebbe un accesso estremamente ridotto ai meccanismi di flessibilità rispetto ad altri Stati Membri; inoltre, secondo l’attuale proposta l’Italia risulterebbe l’unico Paese con PIL al di sotto della media UE ad avere assegnato un target superiore della media UE, pur avendo già raggiunto l’obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2020 a differenza di altri paesi, come la Germania, che, sebbene ancora lontani dal raggiungimento dei loro obiettivi di riduzione, sono avvantaggiati dalla proposta della Commissione.

Come spesso accade, in sintesi, la questione è più complessa delle apparenze. Fare comunicazione corretta su questioni così complesse richiede una attenta valutazione dei documenti e una conoscenza approfondita dei processi di “policies” europee e internazionali.

di Federico Brocchieri, Sergio Castellari e Federico Antognazza

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