17
Ago

Ambiente e investimenti: breve excursus storico-normativo

Il diritto ambientale internazionale ha avuto il suo primo riconoscimento nel 1972, anno della Conferenza ONU sull’ambiente umano di Stoccolma, durante la quale fu stabilita la necessità di azioni immediate a tutela dell’ambiente. Da quel momento la protezione dell’ambiente è divenuta, nelle intenzioni delle Nazioni Unite, priorità di capitale importanza in quanto presupposto per il benessere dei popoli e per il progresso del mondo intero. Una priorità che obbliga tutti, cittadini, imprese ed istituzioni, ad assumersi le proprie responsabilità. Successivamente si sono tenuti numerosi altri summit che hanno riguardato proprio questo tema, spesso dagli esiti poco, o per nulla, soddisfacenti.

All’interno di questo panorama per rispondere alla crescente attenzione nei riguardi dell’ambiente nel corso degli anni sono stati istituiti molti organismi internazionali, tra i quali spiccano l’United Nations Environement Programme (UNEP), l’United Nations Development Programme (UNDP), la FAO, l’International Union for Conservation of Nature (IUCN), l’International Panel on Climate Change (IPCC), volti allo studio e alla realizzazione di programmi concreti per monitorare e migliorare la situazione del nostro Pianeta.

Ciononostante, fino agli anni ’80, le politiche internazionali in tema ambientale erano per lo più  volte a riparare i danni causati dalle attività umane piuttosto che a prevenirli. Soltanto a partire dagli anni ‘90, grazie anche all’avvento dello strumento delle Conferenze degli Stati Parte (COPs), si è fatta strada una logica precauzionale volta all’eliminazione di qualsiasi tipo di evento che a priori potesse scatenare un disastro ambientale. Pertanto sono stati introdotti numerosi meccanismi riparatori, obblighi e tutele stringenti e altri strumenti come il Protocollo di Kyoto e il nuovo Accordo di Parigi, per porre limiti all’inquinamento atmosferico e al riscaldamento globale.

Il diritto ambientale è nato recentemente e pertanto che non ha ancora avuto modo di svilupparsi compiutamente e di creare delle fondamenta regolamentari e normative per garantire all’ambiente una protezione adeguata. Il processo di regolamentazione ambientale e la totalità del suo corpus normativo sono caratterizzati dal fatto stesso di essere principalmente strumenti ad hoc, frammentari e frammentati. Tale situazione deriva dalla mancanza sia di un potere legislativo centrale che di un insieme coerente di disposizioni normative internazionali. Pertanto rimane viva la reale necessità di creare un quadro per il coordinamento delle norme esistenti e per lo sviluppo di nuove regole.

Un altro dato importante da sottolineare è il fatto che durante le Conferenze sull’ambiente, da quella di Stoccolma del 1972 fino alla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, la partecipazione era “riservata” principalmente agli Stati industrializzati i quali plasmavano il contenuto degli accordi in base alle loro esigenze sociali ed economiche. I Paesi emergenti, inizialmente, avevano un ruolo essenzialmente di spettatori ratificando accordi che non gli erano propri. Mentre solo di recente hanno potuto partecipare attivamente a tali summit ponendo sul tavolo delle trattative le loro condizioni. In effetti nella situazione attuale sono proprio questi gli Stati che dovrebbero essere maggiormente vincolati dai trattati per il rispetto della protezione dell’ambiente essendo i principali soggetti inquinanti.

Un’altra criticità che può essere riscontrata in tale ambito è rappresentata dal fatto che, fino all’introduzione del principio di precauzione, i danni ambientali venivano affrontati soltanto molto dopo il loro verificarsi. Non è infatti una prassi frequente eliminare qualsiasi tipo di attività che possa procurare nocumento al nostro Pianeta. Solitamente sia i privati che le istituzioni si occupano di riparare e risanare i danni provocati ad un ecosistema o ad una porzione di territorio molto tempo dopo che sono stati causati. Questo è il risultato di un apparato poco efficace: le autorità governative sono sottoposte a procedure burocratiche lente e farraginose per cui ai soggetti che inquinano viene richiesta la bonifica del sito quando ormai lo stesso è troppo compromesso, comportando perciò costi molto elevati. Inoltre, a causa della mancata o non corretta applicazione del principio di precauzione, spesso chi danneggia l’ambiente rimane impunito, non garantendo così un’adeguata protezione di tale bene essenziale.

Malgrado ciò non sono stati vani i tentativi fatti per tutelare l’ambiente. Risultati soddisfacenti sono comunque stati raggiunti ad esempio con il Protocollo di Kyoto, che ha posto dei limiti alle emissioni di gas serra. In tal modo è stato riconosciuto l’ambiente come bene essenziale da tutelare e per fare questo sono stati coinvolti tutti gli Stati a livello globale, sono stati creati numerosi organismi che hanno come obiettivo l’attuazione e l’implementazione delle normative ambientali, infine sono stati introdotti strumenti come l’emission trading, l’environmental finance e il public-private partnership (PPPs) che, nonostante le numerose critiche, hanno portato a successi tangibili.

Di origine precedente rispetto al diritto internazionale dell’ambiente, il diritto degli investimenti ricopre anch’esso un ramo essenziale in un contesto internazionale nel quale molto di quello che accade si basa su rapporti economico-commerciali, di libero scambio e di mercato. Inoltre,  a differenza di quello ambientale, sebbene frammentato in una serie di rapporti bilaterali, sin dalla sua nascita è stato supportato da un quadro normativo-regolamentare completo: sono migliaia i trattati o gli accordi che hanno la finalità di tutelare gli investimenti e molte istituzioni sono state create appositamente per tale scopo. Le organizzazioni governative e le autorità statali si sono preoccupate di formare un sistema normativo che potesse garantire la libera circolazione di beni e servizi e assicurare agli investitori concrete tutele in modo da creare un terreno fertile per attrarre capitali stranieri nel proprio territorio e sviluppare così il proprio sistema economico.

Pertanto, supportati da un ottimo apparato normativo e espressione di un grande interesse a livello internazionale, gli investimenti sono sempre stati tutelati. Ciononostante nella pratica si riscontra uno sbilanciamento tra la protezione dell’investitore e quella dello Stato ospite. Gran parte degli strumenti giuridici sono generalmente applicati per tutelare l’investitore piuttosto che lo Stato. Non è difficile immaginare, dunque, che tale situazione possa entrare in conflitto con gli obblighi assunti dallo Stato in merito alla tutela di interessi pubblici. Infatt,i spesso il Paese ospitante si ritrova privo dei suoi poteri di sovranità e vincolato alle esigenze economiche dell’investitore nel momento in cui deve adottare normative che garantiscono il rispetto di beni primari come la salute o l’ambiente.  A questo si aggiungono le difficoltà nei rapporti tra gli investimenti e l’ambiente che si diramano anche all’interno di un profilo prettamente giuridico come quello dei conflitti normativi e di legittimità.

Questo perchè nel diritto internazionale generale non esiste una vera e propria gerarchia delle fonti anche se ci sono comunque delle regole pratiche da seguire per dare la priorità ad una disciplina piuttosto che ad un’altra. Il diritto degli investimenti deriva solitamente dal diritto internazionale e ciò comporta che, nella pratica, assuma un ruolo prioritario rispetto al diritto dell’ambiente. Quest’ultimo, a suo discapito, fonda le sue basi nella legislazione nazionale oppure può venire richiesta l’emanazione di una normativa ambientale dal diritto internazionale. Ciò automaticamente implica che l’ambiente venga nella maggioranza dei casi sottomesso alle normative che tutelano gli investimenti, anche se non ci sono delle regole scritte che lo prevedano. Secondariamente, lo sbilanciamento nell’applicazione di tali normative deriva dal fatto che generalmente la disciplina degli investimenti viene considerata come speciale rispetto a quella dell’ambiente, la quale invece è classificata come generale ed astratta. Pertanto, in caso di utilizzo del criterio della lex specialis per risolvere un’antinomia normativa, gli investimenti avrebbero ancora una volta la meglio sull’ambiente.

Tale contrasto si palesa quando l’impresa straniera contesta la condotta governativa facendo valere la violazione del trattato di investimento in conseguenza dell’adozione, da parte dello Stato ospite, di misure ambientali interne o dell’implementazione di accordi internazionali in materia ambientale. Spesso, infatti, è l’investitore che cita in giudizio uno Stato per ottenere un risarcimento dei danni per la mancata produttività del suo investimento a causa dell’adozione di misure intente a tutelare di più gli interessi dell’ambiente che quelli economici e difficilmente accade il contrario. Pertanto è responsabilità degli arbitri di operare un bilanciamento tra interessi di natura contrapposta. Tuttavia quest’ultimo è reso complesso dalla settoriale regolamentazione degli investimenti stranieri che, troppo spesso, sottovaluta i profili ambientali dell’investimento a favore di un’eccessiva protezione del soggetto privato.

Nel corso degli anni lo sviluppo delle due normative (ambiente e investimenti) ha comportato che si generassero conflitti tra le due ma anche sinergie. Infatti si possono individuare tre i motivi cruciali che hanno portato l’ambiente a entrare nel quadro degli investimenti: il ruolo del settore privato, passato da marginale a centrale, nella lotta al cambiamento climatico e nel dar luogo a progetti concreti per la protezione dell’ambiente in un momento nel quale gli Stati non potevano investire molto in tal senso; l’aumento degli interessi ambientali nei trattati di investimento; l’avvento dell’ambiente nelle controversie in materia di investimenti.

Tuttavia, sia gli investimenti che l’ambiente dovrebbero essere considerati interessi primari in quanto entrambi abbracciano settori particolarmente importanti per lo sviluppo sociale ed economico. Non dovrebbero pertanto essere posti su piani differenti o avere diversa importanza. Per far si che le imprese tutelino l’ambiente, gli operatori del diritto hanno dovuto renderlo “appetibile”: hanno dovuto creare dei meccanismi per i quali essere “environment friendly” sia economicamente vantaggioso. Appare dunque ovvia la necessità di appianare i conflitti che si sono venuti a creare tra queste due discipline attraverso una compiuta regolamentazione normativa e una pratica corretta ed equa in modo tale far convivere le istanze di tutela degli investimenti e dell’ambiente.

di Violetta Vivarelli

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