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Giu

Clima: nessun passo avanti dopo tre settimane di negoziati online

di Jacopo Bencini, Policy Advisor

Questo articolo fa parte del Bollettino ICN dai Negoziati Intermedi 2021 (UNFCCC SB52)
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(foto: Eco-business)

Nella mattinata di giovedì 17 giugno si sono chiusi i primi negoziati intermedi sul clima completamente online. I delegati dei quasi duecento paesi aderenti alla convenzione quadro delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici (UNFCCC) avevano l’arduo compito di spingere in avanti l’agenda dopo un anno e mezzo di stop forzato, verso la COP26 di Glasgow, a novembre, già rimandata di un anno. Il format di questi negoziati, tre settimane invece delle classiche due e su diversi fusi orari, era stato pensato per garantire la massima partecipazione da tutte le aree del mondo, pur nella consapevolezza generale che questa sessione negoziale non avrebbe portato a decisioni definitive su nessun punto all’ordine del giorno. Così, infatti, era stato deciso nei mesi precedenti, su richiesta di quei paesi che temevano blitz negoziali non mediabili tramite colloqui informali “davanti ad un caffè” o, più realisticamente, difficoltà di partecipazione dovute alla cattiva connessione internet.

L’assenza di momenti informali tra i delegati e i problemi di connessione di alcuni hanno effettivamente contribuito a rallentare ancora di più i lavori, che già dalla prima settimana presagivano un sostanziale stallo sulle posizioni di Madrid 2019.

Su quasi nessuno dei temi principali, infatti, il negoziato ha portato a bozze più definite verso quelle che dovranno essere le decisioni di COP26.

Nessun accordo si è intravisto tra i paesi in merito alla durata degli impegni nazionali (NDC), con tutte le opzioni rimaste ancora sul tavolo: durata a cinque anni e conseguente monitoraggio immediato, come richiesto dai paesi in via di sviluppo, oppure durata a dieci anni, come proposto dai meno ambiziosi, oppure cinque anni più cinque, oppure formule con monitoraggi intermedi per tappe. All’orizzonte resta lo spettro di una strada piatta che molti paesi industrializzati potrebbero voler percorrere, proponendo riduzioni di emissioni tanto lontane nel tempo (in termini di obiettivi) da poter continuare a produrre secondo gli standard attuali ancora per diversi anni. Nessun sostanziale passo in avanti è stato fatto nella definizione dei meccanismi di mercato e non di mercato sotto l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi. Stallo anche sulle questioni legate alla trasparenza e reportistica, con il riproporsi delle consolidate dinamiche tra chi, avendone le possibilità finanziarie e tecniche, propone complessi sistemi di rendicontazione e chi, dall’altra parte, invoca quei trasferimenti di finanze e tecnologia che potrebbero fornire anche a chi è più indietro capacità altrimenti impossibili da reperire a livello nazionale.

Tutto questo in un contesto, quello della convezione ONU sul clima, nel quale si continua a dividere il mondo tra paesi sviluppati e in via di sviluppo secondo criteri del 1990, dove a Cina, Corea del Sud, Brasile, Sud Africa, India, Singapore, Kuwait vengono ancora applicati criteri e regole facilitate, per paesi “poveri” e per definizione meno responsabili della concentrazione di gas serra nell’atmosfera. Uno scontro (conosciuto ma quasi carsico perché mai citato esplicitamente nelle sedute) che porta ad un perenne lento procedere delle sessioni negoziali in un mondo che intanto cambia e si riscalda a sempre maggiore velocità.

In conclusione: le bozze di Madrid torneranno sul tavolo della COP26 sostanzialmente inalterate dopo due anni.

La politica, intanto, si muove fuori dai negoziati, con il ritorno degli Stati Uniti nel processo multilaterale e la spinta, positiva, di Joe Biden impressa in aprile durante il vertice dei leader sul clima, con nuovi impegni tutto sommato migliorativi della situazione ed il recente G7, dall’esito sicuramente meno incisivo. Che COP26 non sarà una passeggiata sembra indicarlo lo stesso Segretariato UNFCCC (il cui core budget per il prossimo biennio, pur minimo rispetto alla sfida, potrebbe venire aumentato del 4,4% rispetto al precedente) che ha già annunciato che la prossima Conferenza sul Clima inizierà un giorno prima del previsto, il 30 ottobre, per agevolare il processo negoziale (si legga: per recuperare l’ulteriore tempo perso verso compromessi che a questo punto potrebbero difficilmente essere raggiunti nelle due settimane scozzesi).

I mesi precedenti ai negoziati intermedi sembravano puntare verso quel salto di qualità necessario, che ci aspettiamo come cittadini e come società civile” ha dichiarato Serena Giacomin, Presidente di Italian Climate Network . “L’obiettivo stabilito a Parigi nel 2015 è ad oggi ancora troppo lontano e non possiamo perdere ulteriore tempo. Auspichiamo, dopo lo stallo di queste tre settimane di negoziati, che i delegati dei paesi vogliano proseguire con giusta determinazione e possano velocemente recuperare durante le prossime preCOP e COP26. Dobbiamo iniziare il 2022 in linea con quanto richiesto dalla scienza e mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi”.

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