E se il futuro del clima si decidesse sul lettino dello psicoanalista?
Riportiamo un blog di Elisabetta Corrà:
Robert McNamara, segretario della Difesa Usa durante gran parte della guerra delVietnam, scrisse: “Oggi possiamo comprendere quelle catastrofi per ciò che furono: essenzialmente il risultato di un difetto di immaginazione”. Teniamo un attimo in stand by le parole di McNamara e spostiamoci sul blog www.climalteranti.it su cui qualche giorno fa è stato pubblicato un post dal titolo “percezione dei cambiamenti climatici, questione di scienza o di psicologia?”. Il post, che fa riferimento ad un articolo di Adam Corner uscito sulla rivista Nature Climate Change, ha suscitato tra i lettori un dibattito infuocato.
La ricerca in questione ha mostrato che non esiste una continuità logica tra la quantità di conoscenze scientifiche possedute da un individuo e la sua percezione dei rischi indotti dal riscaldamento del Pianeta. Anzi, una buona cultura scientifica può addirittura avere un “effetto polarizzante”, funzionare cioè da rinforzo tanto per chi accetta che per chi ancora confuta le scienze del clima.
Nonostante gli allarmi dell’Accademia, siamo cioè ancora di fronte ad una massiccia azione dirimozione dalla coscienza collettiva, tanto a livello sociale quanto a livello politico, del pericolo reale che corriamo continuando a sottovalutare i segnali di stress climatico del Pianeta. La questione andrebbe posta in un altro modo: se la solidità delle proiezioni scientifiche non è sufficiente a metterci in allarme, benché si viva in una società che si affida all’obiettività scientifica con fede religiosa (pensiamo alla nostra fiducia nella diagnostica medica), non è che la mancanza di senso di urgenza per un mondo a + 6 °C dipende da un fattore psicologico? O, per essere più chiari: dal potere inconscio della rimozione?
Questo è tra l’altro uno dei temi del Debunking HandBook, il manuale sulle più comuni “bufale climatiche” scaricabile dal sito www.italiaclima.org e www.freebookambiente.it.
Ecco allora che la frase di McNamara – “mancanza di immaginazione” – torna utile a impostare il problema in modo più nuovo, e più dirompente. Spiegare la crisi climatica, farla entrare nell’agenda della politica e delle famiglie implica uno sforzo culturale molto forte, da parte di tutti gli attori in campo: scienziati, comunicatori, attivisti. Per indurre partecipazione empatica ai destini dell’atmosfera e della biosfera occorre più fantasia, più racconto. E soprattutto: più psicoanalisi.
Questo articolo è stato pubblicato il 5 novembre 2012 sul blog di ICN sul Fatto Quotidiano