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Giu

SB52: quei “100 miliardi all’anno” mai visti

di Jacopo Bencini, Policy Advisor

Questo articolo fa parte del Bollettino ICN dai Negoziati Intermedi 2021 (UNFCCC SB52)
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(foto: Getty Images)

La seconda settimana di negoziati intermedi sul clima si chiude dopo una serie di lunghe sessioni notturne (per noi italiani) caratterizzate in molti casi, da una ripetizione delle proprie posizioni da parte dei negoziatori rispetto alla maggior parte degli argomenti all’ordine del giorno, con pochi significativi passi in avanti. In particolare, la discussione appare sostanzialmente congelata su quelli che saranno i temi principali di COP26 e che riguardano il funzionamento stesso dell’Accordo di Parigi dal 2020 in poi (le parti non ancora definite da Katowice 2018 in poi).  Dalla centralissima questione sulla durata temporale degli NDC a quella sul trasferimento dei vecchi crediti Kyoto – sulle quali, dopo ore di negoziati, si è fermi su quanto emerso nella prima settimana (lo abbiamo raccontato qui).

Il malcontento di molti paesi in via di sviluppo rispetto al format online del negoziato ha continuato a salire. Disconnessioni improvvise dal sistema, salti di rete nelle capitali, interventi con audio disturbato e, spesso, impossibilità di registrare con precisione quanto detto dai delegati degli altri paesi hanno portato a proteste formali in molte sessioni, in particolare da parte di stati insulari, paesi del gruppo Least Developed Countries ma anche paesi come Brasile, India, Sud Africa e Cina. Nel susseguirsi di reclami più o meno formali e più o meno dettati da vera necessità, molte sessioni sono state rallentate, oltre che dalla qualità della connessione, dal tentativo di alcuni moderatori di condurre le sessioni in maniera più snella condividendo a schermo bozze di testi per l’esame dei delegati, testi che tuttavia non erano ancora stati approvati unanimemente.

Seconda settimana caratterizzata anche da una discussione – stavolta più accesa del solito – sul tema della finanza climatica. Lunedì 7 giugno si è infatti tenuto un workshop sul tema, seconda parte di un più ampio programma di confronto e negoziato riesumato lo scorso 27 novembre 2020 (sempre online), il Long-Term Finance Work Programme (LTF).

Il programma LTF fu lanciato nel 2011 durante COP17 con lo scopo di fornire ai delegati nazionali un forum di lavoro operativo verso la realizzazione dell’obiettivo, già stabilito nel 2009 a Copenaghen, di raggiungere un flusso costante di aiuti finanziari su mitigazione e adattamento dai paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo che potesse raggiungere i 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020. Nel 2015 a Parigi, i delegati decisero di estendere la scadenza per il raggiungimento dell’obiettivo al 2025; nel 2016, con l’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi, l’allora Segretario di Stato statunitense John Kerry portò gli Stati Uniti nell’Accordo con la solenne promessa di raggiungere l’obiettivo in tempi brevi.

Con la vittoria elettorale di Donald Trump nel tardo 2016 e la scomparsa, per quattro anni, degli Stati Uniti d’America dal dibattito climatico globale, l’obiettivo dei 100 miliardi all’anno ha perso uno dei suoi sostenitori principali e, ad oggi, non è mai stato raggiunto. Una ricerca dello Stockholm Environment Institute evidenzia infatti come, nonostante una crescita positiva della quantità di aiuti finanziari nell’ultimo decennio, si sia arrivati a circa 80 miliardi di dollari all’anno solo nel 2018 e con un forte sbilanciamento sulla mitigazione rispetto all’adattamento. Ancora molto lontani quindi dall’obiettivo di 100 miliardi. Ma come si conteggiano questi aiuti, questi trasferimenti?

Il tema della modalità di conteggio è il vero nocciolo della questione. Se da un lato trasferimenti diretti, a fondi internazionali oppure a banche di sviluppo multilaterali possono essere abbastanza semplici da quantificare, molti dubbi rimangono in merito ai contributi (grants) a fondo perduto o rendicontazione su singoli progetti e rispetto ai prestiti. La cifra complessivamente prestata può essere conteggiata come “trasferimento”, se questa dovrà poi essere restituita, magari con interessi? Come evitare doppi conteggi e giochi di valuta che potrebbero “gonfiare” la reportistica? Non ultimo, come sottolineato dal delegato dell’Uganda, sarà importante fare chiarezza in merito alla definizione stessa di finanza climatica, intesa come mobilitazione di nuove risorse (come ricordato con forza dall’India) e quindi come un filone di investimento e distribuzione diverso e separato dagli aiuti pubblici allo sviluppo.

Se da un lato i paesi non stanno trovando un accordo su definizione e reportistica, dall’altro ce ne sono alcuni che vedono questo programma di lavoro come obsoleto e superato dai tempi. L’Unione Europea, nel workshop del 7 giugno, ha infatti proposto di non prolungare ulteriormente i lavori del programma LTF, suscitando l’indignazione della maggior parte dei paesi in via di sviluppo. Come già accaduto molte volte in passato su questo tema, in assenza di consenso tra le parti il tema verrà rimandato – per l’ennesima volta – alla prossima sessione formale, quindi alla COP26 di novembre.

Questo della finanza globale è solo uno dei temi attualmente discussi nei negoziati intermedi e verso la terza ed ultima settimana che sta per iniziare e che auspichiamo possa portare almeno dei minimi passi avanti sulle definizioni e sulle modalità di lavoro. È necessario agevolare il compito dei negoziatori di COP26 che già ad oggi, a più di quattro mesi dall’inizio dei lavori, hanno una quantità enorme di questioni irrisolte.

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