SB52: passi avanti nella revisione del programma Doha, ma vedrà mai applicazione?
di Teresa Giuffrè
Questo articolo fa parte del Bollettino ICN dai Negoziati Intermedi 2021 (UNFCCC SB52)
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A chiusura di questi negoziati intermedi sulla revisione del Doha work programme, le caratteristiche del programma rivisto sembrano finalmente prendere forma verso i prossimi anni. Le sessioni del 10 e 12 giugno hanno visto anche la partecipazione della società civile, che ha fatto sentire la propria voce in merito alla direzione che il nuovo programma dovrebbe prendere.
La nota conclusiva pubblicata dai co-facilitatori sembra includere tutte le linee guida suggerite in queste tre settimane per delineare il nuovo programma. L’obiettivo è riproporre i punti di forza di quello appena concluso e superarne le lacune. Su gran parte degli elementi sembra esserci un consenso, sebbene permangano dei nodi che dovranno essere districati a Glasgow.
In primis, paesi e società civile chiedono all’unisono un nuovo programma più inclusivo, che si basi sui diritti umani e che accolga il contributo dei gruppi più vulnerabili, delle popolazioni indigene e delle donne. Come ribadito dalla Women & Gender Constituency (WGC), “nessuno deve essere lasciato indietro”. La constituency ha accolto con favore il taglio preso dalla revisione del programma, con un focus sull’uguaglianza di genere che – come ha ricordato – è uno dei princìpi guida del Doha work programme. M qauesti princìpi vanno tradotti in azione: la stessa WGC ha proposto ad esempio di promuovere l’iscrizione ai corsi di studio STEM (materie scientifico-tecnologiche) e i ruoli di leadership tra le persone di genere femminile.
Un’altra aggiunta apprezzata è quella dell’equità intergenerazionale, come ha sottolineato il Gruppo africano. In questo modo il nuovo programma si avvicina di più al linguaggio dell’Accordo di Parigi, che vede tra i suoi princìpi proprio l’equità intergenerazionale (per il cui inserimento nell’Accordo, tra l’altro, si è battuta ICN alla COP21).
Uno degli obiettivi della revisione, infatti, è legare il nuovo programma agli altri elementi dell’Accordo di Parigi (che non esistevano ovviamente ai tempi della COP18 di Doha), ad esempio il Lima work programme con il suo Gender Action Plan, il Durban forum sul capacity building, la Local Communities and Indigenous Peoples Platform, il Mechanism for Loss and Damage, come suggerito dagli USA e dal Cile.
La volontà sembra essere, soprattutto, quella di creare una road map dettagliata e un approccio programmatico. Quando si tratta di tradurre questa volontà in azioni concrete, tuttavia, il consenso viene meno: restano infatti aperte delle questioni che riguardano proprio la road map. In particolare, il Gruppo arabo e il Gruppo dei paesi meno sviluppati (LDC) si sono dichiarati contrari alla proposta di stanziare parte dei budget nazionali all’implementazione del programma ACE, punto non previsto dal mandato originale, e alla stesura di “rapporti sulla trasparenza”, ribadendo che ulteriori attività di monitoraggio devono rimanere volontarie. Questo secondo punto è stato perfino rimosso dalla versione finale del documento (pubblicata il 16 giugno), che adesso include nel monitoraggio esclusivamente “attività a discrezione dei paesi da mettere in pratica in base alla situazione, le priorità e le necessità nazionali specifiche”.
Un’altra questione da chiarire è quella delle tempistiche: la maggioranza delle Parti ha suggerito di prevedere obiettivi a lungo termine (di 10 anni) e altri più a breve termine (di 5 anni) per favorire una verifica continua e scoraggiare la procrastinazione, ma altre si sono dichiarate dubbiose, come l’Indonesia e il gruppo G77 e Cina.
L’efficacia dell’implementazione, inoltre, dipende in gran parte dalle risorse finanziarie messe a disposizione del programma: lo hanno ricordato gli LDC, che hanno chiesto un rafforzamento del Financial Mechanism della Convenzione.
In conclusione, come si è assistito per altre sessioni di questa SB52, i negoziati intermedi hanno permesso di progredire solo fino a un certo punto. Ma era inevitabile che il dibattito sulle questioni controverse sarebbe stato rimandato alla COP: solo in presenza si potrà discutere informalmente e sperare di raggiungere un accordo. Tuttavia, al di là del grosso problema della mancanza di fondi, sembra un’impresa ardua trovare un compromesso sui dettagli davvero rilevanti da cui dipende l’efficacia dell’intero programma. Ciò è dovuto in larga parte alla posizione di alcuni paesi che, più o meno in buona fede, ritengono di non meritare lo stesso scrutinio dei “colpevoli” storici delle emissioni.