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Loss&Damage: il risarcimento finanziario dei danni dovuti ai cambiamenti climatici

di Anna Laura Rassu

Uno degli argomenti centrali di questa venticinquesima Conferenza delle Parti in corso a Madrid riguarda senza dubbio la finanza climatica. Il fulcro è quel meccanismo che viene chiamato “Loss & Damage”, noto anche come “Meccanismo Internazionale di Varsavia” (WIM) ovvero una modalità di risarcimento finanziario dei danni dovuti ad eventi meteorologici estremi subiti dai paesi più vulnerabili

Una sorta di “assicurazione” per aiutare gli Stati meno industrializzati e al momento attuale più colpiti dall’emergenza climatica, per assisterli nella prevenzione e nella ricostruzione.

Si tratta di un tema legato a doppio filo con quello dei diritti umani, e come quest’ultimo sta affrontando sempre più difficoltà ad essere trattato adeguatamente in sede negoziale.

Nel 2015, durante l’assemblea generale delle Nazioni Unite, è avvenuta la fondazione del Sendai Framework for Disaster Risk Reduction, una sorta di piano volontario e non vincolante creato con l’intenzione di coprire un arco di 15 anni. All’interno dell’accordo di Sendai si specifica come la prevenzione e nella gestione dei rischi sia demandata alle singole nazioni, ma come la responsabilità dei danni sia da spartirsi con altri soggetti, stati ed enti privati compresi. Si tratta appunto di un accordo non vincolante e su base volontaria, ed è probabilmente da considerarsi una delle maggiori fonti di finanziamento che possano rientrare nel meccanismo Loss & Damage.

I fondi si sono dimostrati però finora nettamente insufficienti. Stando all’opinione della Federazione Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa è enorme la carenza di fondi sia per la riduzione dei rischi, sia per la risposta agli eventi catastrofici.

Per fare alcuni esempi di eventi che si sono verificati negli anni passati  successivi alla fondazione del Sendai, basti pensare agli uragani che hanno colpito alcuni stati insulari nelle Canarie e nel Sud del Pacifico.

Nel 2018 il solo uragano Marie ha causato perdite e danni per il 226% del pil della Repubblica Dominica. Il paese ha ricevuto un aiuto da parte della Carribean Catastrophe Risk Insurance Facility (un fondo assicurativo umanitario) e da parte della World Bank, ma il 70% del costo della ricostruzione è comunque ricaduto sulle spalle degli stessi cittadini dominicani.

Nel 2015 il Ciclone Pam, che ha devastato la Repubblica di Vanuatu, ha causato danni per 600 milioni (64% del pil).  Il paese ha ricevuto approssimativamente 50 milioni in assistenza umanitaria e 1.9 milioni sotto forma di assicurazione. Anche in questo caso la maggior parte dei costi sono ricaduti sulla popolazione, prevalentemente composta da pescatori e contadini. 

Nel 2016 il ciclone Winston si è abbattuto sulle Fiji, e nonostante fondi bilaterali provenienti dalle Nazioni Unite 1,2 miliardi su un totale di 1,4 di dollari di danni (30%del pil annuale) hanno gravato sul bilancio del governo nazionale.

Nel 2019  il 40% dei fondi umanitari delle Nazioni Unite è stato destinato a 2 regioni: Yemen e Siria, emergenze che sappiamo, purtroppo, non cesseranno a breve. Dal momento che è la stessa emergenza climatica un elemento che influisce sullo scatenarsi di conflitti e tensioni geopolitiche questo tipo di emergenze non faranno che intensificarsi, e quindi la convinzione che sufficienti fondi possano rientrare nel pool finanziario dedicato al meccanismo Loss & Damage è una mera illusione.

Il 10 dicembre, in ambito negoziale è stato richiesto un maggiore impegno su questo fronte, prevalentemente da parte degli stati più vulnerabili.

Il Presidente Taneti Maamau di Kiribati, ha cercato un supporto collettivo per far sì che l’accesso semplificato alla finanza climatica e meccanismo L&D siano compresi nel PAWP  (Paris agreement work Program). Il primo ministro Kausea Natano di Tuvalu ha ugualmente richiesto un impegno crescente, il primo ministro delle Fiji Frank Banimarama ha enfatizzato sull’obiettivo di raggiungere un fondo di 100 miliardi di dollari, e sulla possibilità di aprire una possibilità riguardo al meccanismo L&D all’interno del Green Climate Fund (istituito dall’UNFCCC per aiutare i paesi meno sviluppati nelle pratiche di adattamento e mitigazione)

Anche da parte di alcuni leader europei ci sono stati appelli in questo senso, il Segretario di Stato finlandese, Terhi Lehtonen, unita al Vicepresidente Frans Timmermans della Commissione Europea, hanno parlato della speranza che l’Unione Europea si impegni per un rinnovamento del Meccanismo di Varsavia.

La maggior parte dei paesi più abbienti ha adottato tattiche che potremmo definire “offuscanti” cercando il più possibile di evitare l’argomento. In particolare gli Stati Uniti, che sembrano volersi assicurare che da parte loro non ci sarà nessun impegno. 

Ci si augura che altri paesi occidentali (come unione Europea, Canada, Nuova Zelanda) si distacchino dalla linea statunitense e che  si possa creare una fonte finanziaria anche da soggetti privati “grandi inquinatori”, creando ad esempio una “climate damage tax” per le industrie di combustibili fossili, e considerando anche il settore marittimo e l’aviazione.

Una mancanza di accordo e di fondi sarà una violazione dei diritti umani verso le popolazioni più vulnerabili. E i paesi più responsabili del cambiamento climatico dimostreranno che le loro preoccupazioni sono solo “lacrime di coccodrillo”.

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