Quando sostenibilità fa rima con prosperità
C’è una parola chiave che spiega molto del dibattito economico che terrà banco al Summit della Terra di Rio de Janeiro, vent’anni dopo la storica Conferenza che diede impulso alla riflessione internazionale sullo sviluppo sostenibile.
Disaccoppiare. Questa sembra essere, per alcuni economisti che si occupano di istanze ambientali, la soluzione centrale per risolvere i problemi causati dalla crescita incontrollata: ridurre l’impiego di risorse e di materie prime, mantenendo il livello attuale di produzione di beni e servizi. In questo modo, sarebbe possibile avvicinarsi all’obiettivo della “prosperità” senza incrementare le emissioni e senza intaccare il capitale naturale del Pianeta.
Di questo obiettivo parla il Rapporto 2012 del Worldwatch Institute State of the World, da pochi giorni in libreria nella versione italiana, e centrato sui temi in discussione alla Conferenza delle Nazioni Unite di Rio +20, che si svolgerà dal 20 al 22 giugno. Citando la ricerca dell’International Resource Panel, il volume lancia un allarme molto chiaro: se non vi sarà un deciso cambio di rotta, nel 2050 l’umanità utilizzerà 140 miliardi di tonnellate di minerali, combustibili fossili e biomasse, contro i 60 miliardi di oggi. E la media pro capite di consumo di risorse, per effetto dell’incremento demografico e dei consumi, è già passata dalle 5 tonnellate del 1900 alle 10 stimate nel 2000.
La riduzione del throughput materiale, l’efficienza nell’utilizzo delle risorse, le fonti rinnovabili sono quindi le strade principali, e più percorribili, per il decoupling. Ma per arrivarci, sostiene il Worldwatch Institute, è necessario compiere i primi passi di una riconversione del modello di sviluppo economico e industriale: intervenire, cioè, sulle strutture politiche, sociali e finanziarie eriorganizzare le priorità della governance internazionale.
Questo blog è stato pubblicato su il Fatto Quotidiano in data 11 giugno 2012