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Giu

L’uomo che salvò la Terra. Intervista Maurice Strong

 

Maurice Strong fa parte di quella schiera di uomini formidabili che hanno saputo trasformare il mondo con quieto lavoro ed operosità, lontano dalle cronache e dalla fama. Strong può essere però considerato a pieno titolo l’architetto che ha fondato governance ambientale delle Nazioni Unite. Inizialmente imprenditore nel mondo del petrolio (in Alberta, Canada), nel 1971 commissionò un rapporto sullo stato del pianeta che divenne la base della Conferenza di Stoccolma del 1972, il primo meeting in assoluto sull’ambiente all’ONU. Da questo incontro vide la luce l’UNEP, l’agenzia Onu per l’Ambiente, di cui strong fu il primo Direttore e nel 1992 organizzò e presiedette il Summit della Terra di Rio. Emanuele Bompan lo ha intervistato in esclusiva per lo speciale su Rio+20.

 «All’epoca il summit di Rio ebbe molta attenzione, e questa attenzione spinse le nazioni a prendere decisioni importanti, riflesse nel Documento generale e nella famosa Agenda 21. Abbiamo gettato un ponte per una transizione sostenibile, inaugurato i negoziati sul clima, abbiamo posto le basi della convenzione sulla biodiversità. Si è deciso veramente molto. Il problema fu tuttavia che i governi presero decisioni importanti, segnando un evento storico, ma in seguito hanno implementato solo una porzione di quello che fu deciso. Decisioni storiche, ma implementate male». Quali furono gli ostacoli principali?«Sopratutto gli accordi sul negoziato per il clima. E poi una questione strutturale, un problema che sussisteva già durante il primo incontro a Stoccolma del 1972: il ruolo dei paesi in via di sviluppo e le loro preoccupazioni ad essere inclusi e a partecipare appieno nel processo. Avevano bisogno di meccanismi che offrissero nuovo supporto finanziario e avevano bisogno di accesso alle tecnologie più recenti. Al Summit di Rio i paesi OCSE offrirono di supportare i pVS con lo 0,7%/1% del PIL. Un risultato mai raggiunto ovviamente. La struttura c’era: l’Agenda21 aveva indicazioni specifiche. Il problema è stato sopratutto la volontà politica».

A Rio+20 si parlerà di riforma della governance ONU per l’ambiente. «Il nuovo Rio viene in un momento storico in cui il movimento ambientale e le questioni ambientali sono adombrate dalla crisi economica : questo significa che lo scenario politico ed economico non sarà propositivo come fu nel 1992. Questo è un vero problema» . Come possiamo riportare vitalità nel movimento abientalista e convogliare il supporto necessario per le questioni ambientali , oggi non certo priorità per i cittadini come lo erano nel 1992, e fare in modo che l’Onu prenda le redini? «A marzo sono andato al meeting generale per discutere come organizzare i lavori di Rio+20. Ammetto che rimane ancora molto da sistemare » Cosa c’è sul tavolo? «Riformare il ruolo dell’UNEP, creare una agenda per la green economy ma sopratutto rimane la questione : come possono accedere alle risorse economiche e tecnologiche i paesi in via di sviluppo? Sarà una sfida per Rio+20 trovare questi fondi. È ovvio che non possiamo risolvere tutti i problemi in un incontro solo che dura una settimana. Rio deve servire per dare avvio ad un processo in divenire che prosegue anche quando i riflettori si saranno allontanati dal summit. Deve essere un processo continuo che deve avviare un movimento di cittadini allargato e diffuso. In ultima istanza il potere risiede nelle mani delle persone. Se riusciamo a coinvolgere – e per questo il lavoro della stampa è fondamentale – e far capire un numero rilevante di cittadini che il loro futuro dipenderà dalle decisioni che sono prese per l’ambiente a Rio+20 e dalla loro implementazioni, allora si che avremo risultati. Solo con un movimento dal basso dove i governi saranno obbligati a prendere decisioni importanti e ad implementarli. Questa è la mia vera speranza per Rio+20 ridare linfa al movimento ambientalista ed allargarlo a tutto il mondo. Non sono parole sterili. Senza la forza della cittadinanza i governi difficilmente implementeranno quanto sarà deciso a giugno» . Non c’è un’attenzione particolare del pubblico verso Rio. «Spero che quando sarà il momento l’attenzione mediatica salirà. Questo può essere un problema, non solo in Italia. Prendiamo gli USA: la maggior parte dei repubblicani non crede nelle questioni ambientali e non crede nel cambiamento climatico. Paradossalmente la Cina, dove io oggi risiedo, è molto più attenta e dedicata alla questione. Sta facendo più di molti altri paesi . La questione è che lo squilibrio della rapida crescita economica sta rendendo vani molti dei progressi di questo colosso. Che progresso è se la gente si arricchisce ma poi l’aria è irrespirabile? Oggi la Cina ha degli standard sulle emissioni di Co2 superiori agli Usa o all’Europa, duramente applicati. Però le automobili in circolazione sono un numero sproporzionato. In ogni caso: questo è un vero momento fondamentale della storia umana. Per il clima, i cambiamenti ambientali ma sopratutto questa è la più grande minaccia alla sicurezza della nostra civiltà e dobbiamo affrontarla con serietà». Le non ha mai smesso. Si muove in tutto il mondo, tiene conferenze, presiede a negoziati.«Io ho deciso di non fermarmi, anche se sono un uomo anziano, ho 83 anni! I credo che per i nostri figli e nipoti la sicurezza del mondo e della società – e la nostra felicità – si basa su uno modello di sviluppo sostenibile. Quello attuale non lo è». Chi bisogna coinvolgere?«Nel 1992 un gruppo di business people nel loro report per il Summit della Terra “Cambio di direzione” affermavano che il sistema economico non era viabile: andava cambiato. Questi non erano un gruppo di ambientalisti ma CEO delle più importanti multinazionali. Oggi si deve tornare a questo pensiero e ad agrire in questo senso. Come possiamo rivitalizzare l’interesso del pubblico e delle grandi compagnie, stimolando la green economy?» Cosa attenderci dopo il 22 di giugno quando si chiuderà Rio+20?«Verra siglata una road map, una serie di indicazioni per rilanciare processi di sviluppo green. Quello che servirà sopratutto deve essere un motore per percorrere questa strada, non basta sapere solo la direzione sulla mappa!» La riforma UNEP avrà successo?«Attualmente è stato proposto che l’agenzia Onu per l’ambiente diventi un’organizzazione globale con un mandato preciso come l’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità). La proposta attuale è debole, date le risorse economiche e il tipo di mandato. Deve essere rafforzato ma è sull’agenda e c’è accordo che deve essere rafforzata. Non deve diventare un’agenzia specializzata, di settore. L’ambiente è una questione sistemica che interessa più saperi e più livelli, che mette in relazione economia,salute Quindi deve diventare un’agenzia centrale capace di agire sulle policy delle varie agenzie onu di settore. Si riuscirà a riformare anche Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale? Quando ero a capo dell’UNEP a quel tempo avevo un Environment Coordinate Board (tavolo di coordinamento ambientale, nda) dove erano presenti, di persona il direttore dell’FMI e della Banca mondiale. Pensi che Robert Strange McNamara (Presidente della Banca Mondiale dal 1968 al 1981, nda) e Pierre-Paul Schweitzer (managing Director del FMI dal 1963 al 1973) venivano ai meeting con tutti i capi delle altre agenzie Onu. Oggi quasi nessuna agenzia specializzata vuole seguire la coordinazione dell’UNEP, un grande passo indietro che non è mai più stato re-implementato. Quindi è necessario ripristinare un ufficio di alto livello per l’ambiente. Purtroppo, le devo confidare, anche oggi ci sono resistenze. Ma mi raccomando continui a fare il suo lavoro, la conoscenza e divulgazione della questione è fondamentale. Per tutti noi.

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