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COP21 – Side Event

di Mattia Battagion

Poco più di 200 anni fa, proprio a Parigi, nasceva Victor Hugo. Sua è una frase che mi è tornata in mente durante lo svolgimento di un side event riguardante il lavoro e l’educazione in relazione ai cambiamenti climatici: “chi apre la porta di una scuola, chiude una prigione”.

L’educazione è alla base dell’essere umano come essere sociale perché riguarda tanto i nostri pensieri quanto le nostre azioni, presenti e future. Educando i più giovani si può certamente cambiare il futuro, a partire dal contrasto al cambiamento climatico, fenomeno già attuale che a sua volta presenta profonde implicazioni con altri grandi problemi del nostro tempo: il Presidente Hollande ha recentemente riconosciuto la responsabilità del riscaldamento globale nella nascita di conflitti, mentre la US Academy of Science si è spinta oltre dimostrando scientificamente come il cambiamento climatico, causando periodi di siccità mai visti prima, abbia effettivamente alimentato il conflitto e la crisi politica in Siria.

Ciononostante, soprattutto fra l’opinione pubblica si guarda ancora ai cambiamenti climatici ed ai giovani come – rispettivamente – ad una minaccia e ad una realtà che meriteranno attenzione solo in futuro. Ma come giustamente sottolinea Guy Ryder, Direttore Generale dell’ILO (International Labour Organization, l’organizzazione internazionale del lavoro), “è sbagliato pensare che i giovani siano il futuro: lo trovo un modo per rimandare i problemi come quello, imponente, della disoccupazione. I giovani sono e devono essere considerati come presente, in modo sempre più attivo. Se si cerca di coinvolgerli nel cambiamento perché si pensa che loro siano attori fondamentali, allora è giusto che essi partecipino fin da subito a questo processo”.

Il numero di persone disoccupate al mondo è effettivamente ad un livello preoccupante: oltre 200 milioni, e l’aspetto veramente spaventoso è che 75 milioni di essi siano giovani, che dunque rappresentano la categoria più colpita in questa crisi globale. Dati alla mano, non è dunque difficile intuire come non si tratti di un problema riguardante solo il clima.

Anche in un contesto come quello delle conferenze ONU sul clima, le negoziazioni cercano un accordo per lasciare alle generazioni giovani e future un clima sostenibile, è emblematico osservare come i principali destinatari di queste politiche abbiano un ruolo prettamente marginale nel processo, sebbene alcuni paesi lungimiranti abbiano deciso già da anni d’inserire dei giovani rappresentanti nelle rispettive delegazioni governative.

Ma cosa vuol dire, in generale ed in termini concreti, educare e dare spazio ai giovani? E come raggiungere questo obiettivo?

Durante l’evento più volte si è affermata l’idea che i Governi dei paesi debbano costituire fondi e fornire investimenti alle imprese con l’obiettivo di includere i giovani nei processi decisionali e di problem-solving. E se questo sarebbe un primo segnale importante, altrettanto necessario sarebbe assegnare loro ruoli e responsabilità, sfruttando le caratteristiche specifiche di questa fascia di età: creatività, dinamismo e spirito di innovazione, tutti aspetti di cui imprese ed organizzazioni potrebbero beneficiare.

Nell’ambito ambientale, una delle proposte è di cominciare a raccontare le esperienze dirette, sul campo, di giovani che stanno già svolgendo progetti per combattere il cambiamento climatico. Un maggiore coinvolgimento dei media, inoltre, sarebbe essenziale in quanto consentirebbe alle storie riguardanti l’ambiente e i problemi legati ad esso di entrare nella quotidianità delle persone, rendendole più consapevoli.

E se l’informazione ha un ruolo chiave in questa partita, ancor prima è fondamentale una forte educazione ambientale a livello scolastico. “Quando la popolazione giovane” – sostiene Serge Bunda, portavoce di UNFPE (Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione) – “viene educata e formata, è molto più probabile raggiungere velocemente soluzioni innovative relative ai problemi riguardanti i cambiamenti climatici e lo sviluppo, soprattutto nelle industrie altamente specializzate”.

 

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