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Dic

Side Event – One Ocean, One Climate, One UN

di Francesca Guarnieri

Gli oceani ricoprono il 71% della superficie terrestre e sono indispensabili per il mantenimento della vita sulla terra. Insieme alle foreste, infatti, contribuiscono a garantire le riserve di ossigeno necessarie. Sono inoltre i regolatori del clima della Terra, rappresentando la pietra angolare del sistema climatico globale, e come tali non possono più essere abbandonati a se stessi.

L’Ocean Conveyor Belt è una grande corrente che connette tutti gli oceani tra loro, permettendo la circolazione delle acque e degli elementi in esse contenuti, compresi i fattori inquinanti. Questo oceano globale ha così assorbito più del 25% dell’anidride carbonica e ben il 93% dell’eccesso di calore generato dagli esseri umani dagli inizi dell’era indistriale. Il tasso di capacità di stoccaggio di Blue Carbon, ovvero il carbonio catturato dagli organismi viventi negli oceani e immagazzinato sotto forma di biomassa e di sedimenti, è paragonabile – e spesso superiore – a quello degli ecosistemi terrestri come le foreste tropicali. Tuttavia, quando gli ecosistemi costieri sono degradati o distrutti possono diventare fonti di CO2 a causa dell’ossidazione della biomassa contenuta nel suolo organico. La funzione di regolatore climatico degli oceani è ora minacciata dall’aumento esponenziale dei gas serra, ma non solo.

Esistono molteplici cause che concorrono ad inquinare i nostri mari. Alcune di esse sono più dirette e visibili, mentre altre risultano meno facili da individuare, talvolta sottovalutate e spesso nascoste volontariamente. Tra i principali fattori antropici d’inquinamento e devastazione dell’ecosistema marino vi sono gli scarichi fognari diretti (rifiuti urbani e industriali, oli combustibili e perdite accidentali d’idrocarburi, sostanze radioattive, fertilizzanti chimici e pesticidi usati in agricoltura), i disastri ecologici come il recente disastro nucleare di Fukushima, l’Ocean grabbing (ovvero lo sfruttamento delle risorse ittiche), le esplosioni sottomarine per l’estrazione mineraria e, infine, la negligenza e l’ignoranza dei singoli individui.

L’uomo ha da sempre utilizzato il mare come fosse una sorta di discarica naturale, non curandosi dell’impatto ambientale causato dai suoi scarti. Gettare i propri rifiuti in mare è facile, poiché essi spariscono nell’immensità degli oceani, lontani dal nostro sguardo. Fino ad un centinaio di anni fa non sembrava possibile provocare grossi danni agli ecosistemi marini, pensando che sarebbero sempre stati in grado di diluire e distruggere qualsiasi corpo estraneo, ma ora ne stiamo pagando le conseguenze a caro prezzo. Ormai le acque residuali urbane e gli scarichi industriali sono difficili da smaltire perfino per l’oceano: l’esplosione demografica, insieme alla concentrazione della popolazione dei paesi avanzati e dei paesi in via di sviluppo nei centri urbani, ha contribuito a cambiare la composizione delle acque reflue, cariche di sostanze chimiche e tossiche, tutt’altro che biodegradabili.

Le Nazioni Unite hanno sviluppato specifiche convenzioni per creare un coordinamento di forze internazionali, unite per affrontare le grandi sfide ambientali quali il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, lo stato dei mari e delle coste e la protezione dello strato dell’ozono, riconoscendone la crucialità e soprattutto l’urgenza d’intervento. Non sembra però altrettanto alta l’attenzione per i processi di desertificazione legata ai cambiamenti climatici, che non interessa soltanto le terre emerse, ma anche le profondità marine. La velocità con la quale i fondali perdono la loro attività biologica è allarmante. I fattori che più influenzano l’ecosistema degli abissi sono l’aumento della temperatura dell’acqua (+0,65°C dal 1950), il mutamento della circolazione delle correnti (la staticità degli oceani è aumentata del 4%), la diminuzione della concentrazione d’ossigeno e l’aumento dell’acidità (+30%).

UN-OCEANS insieme all’IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change) sta sviluppando nuove tecnologie per implementare sistemi di osservazione dell’innalzamento del livello dei mari, sistemi d’allarme per gli Tsunami e per monitorare la food security marina (il grado di tossine presenti nelle risorse ittiche). Durante il side event “One Ocean, One Climate, One UN: working together for a healthy and resilient ocean” (2 Dicembre 2015), è stata sottolineata l’importanza di osservare e monitorare costantemente gli oceani per mantenere e risanare gli ecosistemi marini, così da ridurre la vulnerabilità ai danni economici delle isole e dei paesi costieri e aumentarne la capacità di adattamento. UN-OCEANS mira a rafforzare il coordinamento e l’efficacia delle organizzazioni competenti del sistema delle Nazioni Unite e della International Seabed Authority, in conformità con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.  Essa agisce forndendo approcci integrati e strumenti per la resilienza, condividendo regolarmente le attività in corso al fine di individuare possibili aree di collaborazione e sinergia e facilitando lo scambio di informazioni tra le agenzie, tra cui la condivisione di esperienze, buone pratiche, strumenti e metodologie.

I fondi destinati alla conservazione ed al monitoraggio degli oceani sembrano però essere ancora troppo esigui. Infatti, durante il side event, sono state  più volte invocate unapianificazione spaziale marina consapevole e una Blue Economy (un’economia attenta agli oceani), per fermare il processo di degradazione dei mari.

Non possiamo però aspettarci che una Blue Economy o un Green Climate Fund aperto anche alla conservazione dei mari, permettano di risolvere questo problema, poichè i governi e le multinazionali traggono dei vantaggi talmente grandi da oscurare i drammi che vivono gli abitanti delle isole che rischiano di essere sommerse o di quelli che abitano le costiere che sono ciclicamente colpite da catastrofi naturali. Il petrolio, la produzione di plastica e lo sfruttamento delle risorse ittiche rappresentano dei guadagni enormi e quelli che dirigono questo gioco non possono permettersi di perderne il controllo.

Tocca quindi a noi. La nostra vita dipende proprio dal mare e abbiamo il dovere di preservarlo. Sta a noi decidere cosa consumare, come consumarlo e come smaltire i nostri rifiuti. Possiamo fermare l’inquinamento, anche se ci sembra un fenomeno così imponente, impegnandoci giorno dopo giorno a non inquinare, a informare le persone intorno a noi e facendo pressione sui nostri governi. Lo dobbiamo a noi stessi e alle generazioni future.

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