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Giu

SB52: tra mercati di emissioni e tutela dei Diritti Umani

di Chiara Soletti e Giulia Persico

Questo articolo fa parte del Bollettino ICN dai Negoziati Intermedi 2021 (UNFCCC SB52)
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(foto: John Englart, Flickr)

Se l’Accordo di Parigi, entrato in vigore il 4 novembre 2016, può essere considerato come la “costituzione” dell’azione climatica, nei negoziati successivi sono stati discussi i regolamenti che stabiliranno come mettere l’accordo in pratica: un ruolo importante lo giocano le discussioni in merito alla controversa implementazione dell’articolo 6 dell’Accordo sulle azioni e meccanismi cooperativi tra Stati su mitigazione e adattamento, nodo ad oggi ancora ampiamente irrisolto verso una piena operatività dell’Accordo.

Rispetto a questo vuoto decisionale (gran parte degli altri temi è stata invece coperta dall’approvazione del libro delle regole, il Paris Rule Book, durante la COP24) è fondamentale che nella cooperazione per la riduzione delle emissioni vengano introdotte salvaguardie sociali ed ambientali per garantire che questi nascenti meccanismi non violino i diritti umani e salvaguardino gli ecosistemi.

Durante la prima settimana di negoziati intermedi del 2021 sono tuttavia riemerse problematicità già viste a Madrid, in primis proprio la mancanza di adeguate salvaguardie sociali e ambientali. Riteniamo preoccupante che questo punto non sia previsto nell’agenda dei lavori sull’articolo 6, confermando timori già espressi dalla società civile: sembra che per le Parti l’integrazione di principi legati ai diritti umani all’interno del Paris Rule Book non sia ancora vista come una priorità e parte imprescindibile dell’azione climatica.

Diversi paesi hanno comunque fatto riferimento alla necessità di includere principi dei diritti umani negli strumenti e di porre maggiore attenzione più equa e giusta cooperazione solidale tra Stati. La Svizzera, per esempio, in rappresentanza dell’Environmental Integrity Group (EIG), si è detta preoccupata per la mancanza nel testo dell’articolo 6 di riferimenti ai diritti umani e ai diritti delle popolazioni indigene. Il concetto è stato ripreso anche dalla Norvegia. Il Costa Rica, in rappresentanza dei Independent Alliance of Latin America and the Caribbean, ha espresso la necessità di implementare l’articolo nel contesto di robuste salvaguardie per assicurare i diritti, specialmente per le popolazioni e le comunità indigene; sulla stessa posizione anche l’Australia e il Messico. L’Alliance of Small Island States (AOSIS) ha affermato, in merito, la necessità di integrità ambientale, trasparenza, infrastrutture per il tracciamento. Unione Europea e Canada hanno quindi ribadito a loro volta l’importanza di includere riferimenti ai diritti umani nei testi futuri, vista l’assenza in quelli di Madrid da cui sono ripartiti questi intermedi.

Questi posizionamenti sono sicuramente positivi, ma rappresentano purtroppo la visione di una parte minoritaria del consesso. Se appare evidente che la questione non è stata completamente ignorata, nemmeno in questo negoziato intermedio si registra tuttavia uno slancio verso azioni concrete e rilevanti. Gli stessi attori che durante la COP di Madrid si erano espressi in favore dell’inserimento di principi dei diritti umani nell’implementazione dell’articolo 6 ancora oggi rivendicano la stessa necessità nelle stanze virtuali del negoziato intermedio, per ora senza risultati.

Come ICN monitoreremo le prossime fasi del negoziato per capire se ci saranno progressi su questa spinosa questione, nella speranza che il tema non venga completamente rinviato – nuovamente – verso la prossima COP di Glasgow.

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