Clima e caffé: la risposta di Lavazza
Cambiamento climatico e piantagioni di caffè: la risposta di Lavazza
Espresso, americano, macchiato, corretto. Ogni giorno siamo abituati a bere almeno una tazza di caffè preparata nel modo che più preferiamo. Ma questa abitudine quotidiana potrebbe diventare non più così usuale e semplice. La pianta del caffè ha bisogno di un clima particolare, in cui la temperatura oscilli tra i 18 e i 22°C e le piogge non siano troppo forti, ed è per questo che le grandi piantagioni si trovano in paesi come Etiopia, Uganda, Messico e Vietnam. Il cambiamento climatico, con l’innalzamento delle temperature e piogge più frequenti ed intense, ne sta però compromettendo il mercato, con effetti negativi che si potranno avere (e in parte si stanno già verificando) su produttività, qualità e prezzo dei chicchi di caffè.
Nel side event organizzato nel padiglione italiano alla COP22 di Marrakech, Lavazza – rappresentata da Mario Cerutti, Green Coffee & Corporate relations Partner – , in collaborazione con Francesco Bertolini dell’Università Bocconi, ha illustrato i suoi progetti e le azioni che sta implementando in risposta a tali problematiche.
In un settore in cui più del 75% della produzione mondiale è in mano a coltivatori locali, risulta fondamentale una stretta e diretta collaborazione tra le parti, per far sì che i produttori diventino sempre più sostenibili e per dare loro strumenti adatti ad affrontare gli effetti del cambiamento climatico. Questo è ciò che fa Lavazza nelle sue piantagioni, lavorando in sinergia con i diversi attori (produttori, ong, istituzioni) e assumendo spesso il ruolo di facilitatore all’interno dei suoi progetti.
Tra questi, “Coffee and Climate” è un progetto internazionale nato circa 5 anni fa, con l’obiettivo di consolidare e diffondere best practice di adattamento nelle varie regioni del mondo. I coltivatori locali sono coinvolti in prima persona nelle attività, e una piattaforma online è disponibile per tutti gli stakeholder: lì è possibile registrarsi e raccontare la propria esperienza, permettendo così la diffusione su scala globale di conoscenze e pratiche di successo.
Oltre a Lavazza, altri grandi nomi internazionali del mondo della produzione del caffè hanno contribuito alla creazione e allo sviluppo del progetto, come Joh Johannson, Gustav Paulig, Tchibo e Neumann Kaffee Gruppe.
Secondo il Climate Institute, le aree di produzione del caffè rischiano di scomparire per il 50% del totale entro il 2050, costringendo i coltivatori a spostare la loro produzione su territori riservati ora ad altri usi. Per questo, serve un’azione mirata in grado di aumentare consapevolezza e capacità di risposta alla minaccia del cambiamento climatico.
le aree di produzione del caffè rischiano di scomparire per il 50% del totale entro il 2050
Capacity building e collaborazione tra i diversi stakeholder sono elementi alla base dell’attività di Lavazza, ma anche le chiavi fondamentali per l’azione climatica che gli attori non statali devono portare avanti in questo e in tutti gli altri settori. In questo quadro, la Global Climate Action Agenda – lanciata sempre nella giornata di ieri a Marrakech – rappresenta lo strumento in mano agli attori non statali per raggiungere gli obiettivi previsti dall’Accordo di Parigi, insieme ai governi e alle istituzioni.
di Federica Pastore