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COP28, LE CITTÀ COME AVAMPOSTO NELLA SFIDA ALLA CRISI CLIMATICA

  • I sindaci delle città chiedono una sedia al tavolo delle decisioni climatiche di COP28: senza le città non c’è transizione.
  • Le risposte alla crisi climatica devono essere elaborate con un approccio multi-livello, intersettoriale e democratico.
  • La resilienza urbana non è un obiettivo in sé, ma un processo di co-creazione.

Il ruolo fondamentale delle città nel contrastare l’impatto del cambiamento climatico era stato evidenziato già nell’Accordo di Parigi ma solo quest’anno, per la prima volta, nel programma ufficiale di COP28 viene inserito un confronto tra sindaci, organismi internazionali e la presidenza emiratina.
“Lo sviluppo delle nostre città ha più bisogno di corridoi verdi che di Grand Boulevards”. Dice Claudia Lopez, sindaca uscente di Bogotà, alle banche multilaterali per lo sviluppo, incoraggiandole a creare nuove regole e condizioni affinché i fondi possano fluire direttamente verso i governi locali per renderli socialmente, politicamente ed economicamente responsabili ed essere quindi la forza motrice di questa trasformazione. “Dateci i soldi, noi abbiamo le soluzioni”. 

Le città sono il cuore dell’agenda climatica: attualmente oltre il 50% della popolazione vive in aree urbane, e questa cifra raggiungerà il 70% entro il 2050. I centri urbani si trovano così davanti ad una doppia sfida: la crescente pressione demografica e i rischi di un incalzante cambiamento climatico. Eppure, al momento solo 2 terzi degli NDC (gli obiettivi climatici nazionali) presentano programmi con strategie urbane significative, e meno di 20 citano chiari investimenti mirati alle città. D’altra parte, anche la finanza climatica rimane un grande nodo: solo il 21% dei finanziamenti globali è destinato all’adattamento e alla resilienza urbana e appena il 10% raggiunge le amministrazioni locali.

La decentralizzazione era apparsa come la ricetta giusta per il successo già nel discorso introduttivo del Segretario Generale ONU Guterres: “Dobbiamo assicurare una sedia per i leader locali ai tavoli di aggiornamento degli NDC e impegnarci per il phase out del fossile: triplicando le energie rinnovabili, raddoppiando l’efficienza energetica, portando energia pulita a tutti entro il 2030”

Ma quando si discute di azioni climatiche su scala locale, l’energia (con relative emissioni) non è l’unico focus. I primi cittadini sono portavoce anche di altri obiettivi a breve e lungo termine: una gestione dei rifiuti più efficace, il miglioramento della qualità dell’aria, la creazione e l’ampliamento del verde urbano, la transizione verso un sistema di mobilità e trasporti sostenibili, la creazione di nuovi posti di lavoro green

Quanto alle soluzioni, è chiaro che non esiste una ricetta universale: le sfide legate al cambiamento climatico sono abbastanza simili a livello globale, ma le modalità in cui si manifestano possono essere molto diverse. Questo implica che le soluzioni vengano contestualizzate, pur nel mantenimento di un approccio replicabile e scalabile

A questo proposito, si è sentito molto parlare della necessità di coalizioni multilivello per l’azione climatica. Il presidente della COP28 Sultan Al Jaber ha lanciato, in partnership con Bloomberg Philanthropies, il programma CHAMP (Coalition for High Ambition Multilevel Partnership) evidenziando l’importanza di allineare azioni climatiche a scala locale, regionale e nazionale. “Sono qui per consegnare la risposta più ambiziosa al Global Stocktake, per favore fate anche voi ciò che potete”, ha detto il Presidente.  

Durante il secondo incontro ministeriale su Urbanizzazioni e Clima (il primo è avvenuto l’anno scorso alla COP27 di Sharm el-Sheikh), è emersa anche l’importanza di un approccio intersettoriale per garantire una relazione di fiducia tra politica, incentivi, settore pubblico-privato, mondo accademico e società civile, al fine di produrre un quadro multilaterale di risposte immediate ed eque ai rischi climatici.

La popolazione più vulnerabile agli effetti dei cambiamenti climatici è spesso quella più distante dai processi decisionali e dalle fonti d’informazione sul tema. Per questo motivo il processo di rendere le città più resilienti deve essere democratizzato. Questo significa, da un lato, produrre dei masterplan capaci di lavorare con l’informalità urbana, e dall’altro che l’approccio multilaterale deve garantire una partecipazione autentica della popolazione locale. Il coinvolgimento della comunità passa anche attraverso una corretta comunicazione dei risultati delle azioni per il clima: “La transizione non avverrà senza trasparenza e fiducia nel sistema”, afferma Ani Dasgupta, presidente del World Resource Institute ad un side event nel Resilience Hub. 

Bisogna considerare infine che, in città con una forte componente di informalità, gran parte della popolazione ha scarso (o nessun) accesso ai servizi basici come acqua ed energia. Quando ci sono questioni di sopravvivenza da affrontare, gli obiettivi di sostenibilità vanno in fondo all’elenco delle priorità dei decisori politici. Per questo motivo, secondo Gareth Morgan, Direttore Esecutivo di Future Planning and Resilience della città di Cape Town, la resilienza non dev’essere considerata come un obiettivo in sé, ma un modo per garantire la sopravvivenza

La resilienza è un processo trasformativo da affrontare con un approccio olistico, sradicando allo stesso tempo la povertà energetica e l’insicurezza, migliorando l’abitabilità e garantendo la salute fisica e mentale. Costruire città resilienti consente di implementare infrastrutture fisiche e tecnologiche capaci di coinvolgere fattori sociali, istituzionali e governativi che hanno un ruolo chiave nella sua gestione e performance: infatti, la resilienza è un processo di co-creazione

Articolo a cura di Caterina Vetrugno, volontaria di Italian Climate Network.

Immagine di copertina: foto di Geoffrey Arduini via Unsplash

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