cop28 finanza climatica
03
Dic

COP28, SUL TAVOLO IL FUTURO DELLA FINANZA CLIMATICA

  • I negoziati della COP28 sono decisivi nel processo verso l’istituzione del nuovo obiettivo di finanza climatica post-2025, che avverrà l’anno prossimo a COP29.
  • Come per il Global Stocktake, ci sono diverse opzioni sul tavolo che riflettono le posizioni divergenti dei Paesi.
  • Tra i punti più contenziosi: la base dei contribuenti e sotto-target per Loss&Damage.
  • La posizione dell’UE appare sensibile alle necessità dei Paesi in via di sviluppo: Bruxelles potrebbe avere un ruolo di mediazione tra i due “estremi” del Nord e Sud del Mondo.

Il sostegno finanziario ai Paesi in via di sviluppo e, ancor di più, a quelli meno sviluppati, è un aspetto centrale dell’Accordo di Parigi, legato in modo imprescindibile alle misure di mitigazione che, senza un aiuto esterno, non possono essere portate avanti in Paesi con minori risorse a disposizione. Pertanto, uno dei filoni di lavoro centrali in questa COP28 è quello del nuovo obiettivo di finanza climatica da portare avanti dopo2025, che susseguirà all’attuale target di 100 miliardi all’anno fissato per il periodo 2020-2025. COP28 è un momento decisivo in questo processo, dal momento che il nuovo obiettivo dovrà essere stabilito nel 2024 a COP29.

Nonostante l’inadeguatezza del precedente obiettivo di 100 miliardi, che era stato deciso arbitrariamente, i Paesi più ricchi non hanno ancora tenuto fede all’impegno di stanziare l’intera somma. È dunque indispensabile che il nuovo obiettivo non ripeta gli stessi errori del precedente: 

  • dev’essere adeguato, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo (basato principalmente su sovvenzioni o prestiti agevolati per la mitigazione);
  • dev’essere trasparente, con una reportistica attendibile che ne garantisca l’addizionalità, per esempio rispetto agli impegni riguardanti gli aiuti pubblici allo sviluppo;
  • eve contribuire davvero a far avanzare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Come ha affermato Simon Stiell, Segretario Esecutivo dell’UNFCCC, solo un nuovo obiettivo di finanza adeguato può garantire che i prossimi NDC (previsti per il 2025) siano sufficientemente ambiziosi da permettere di colmare il divario che ci separa dagli obiettivi di Parigi

Non solo. Se risponderà davvero alle esigenze dei Paesi in via di sviluppo, il nuovo obiettivo potrà ripristinare la fiducia dei Paesi più vulnerabili nell’intero processo UNFCCC

Già dai primi giorni di COP28, è evidente che vi è unanimità sull’urgenza di stabilire un nuovo obiettivo il prima possibile, e di conseguenza sulla necessità di passare dalla fase tecnica a quella negoziale per avere abbastanza tempo daqui a COP29, evitando di ripetere gli errori del processo sul primo Global Stocktake, la cui fase tecnica è stata percepita come eccessivamente lunga da diverse Parti, rimandando di fatto tutte le decisioni negoziali a Dubai. Purtroppo, il consenso unanime è limitato solo a questo punto, dato che i Paesi sembrano in disaccordo praticamente su tutto il resto: l’aspetto qualitativo e quantitativo, le tempistiche, le fonti di finanziamento, i contribuenti. E, come per le divergenze sul Global Stocktake, anche queste saranno difficili da appianare.

La “base dei contribuenti”, ovvero quali Paesi debbano contribuire ai finanziamenti, è uno dei punti più spinosi. Anche qui, i Paesi industrializzati e in particolare gli Stati Uniti chiedono che altri Paesi vengano inseriti nella lista di chi dovtà fornire questo supporto finanziario: la storica divisione tra Paesi sviluppati/in via di sviluppo della Convenzione non riflette più la realtà attuale dei fatti, con Paesi emergenti come la Cina che hanno chiaramente un ruolo molto più significativo nell’attuale livello di emissioni. Di conseguenza, dovrebbero anch’essi contribuire a sostenere finanziariamente i Paesi più vulnerabili. 

D’altra parte, la decisione di espandere questa lista non può essere arbitraria. Ad esempio, uno studio del think tank Overseas Development Institute (ODI) ha rilevato che alcuni Paesi dovrebbero essere tra i primi a essere inclusi in un’eventuale lista espansa, in quanto superano sia in reddito pro capite che in emissioni pro capite molti Paesi Annex II (quelli obbligati a fornire sostegno finanziario): tra questi non vi è la Cina, ma ci sono ad esempio gli Emirati Arabi Uniti, il Qatar, il Kuwait e Israele. Il risultato varierebbe in base ai parametri usati, ma la risposta dovrebbe comunque essere frutto di analisi oggettive e non di strategie geopolitiche

Un altro tema insidioso è legato all’inclusione di sotto-obiettivi di finanza per la mitigazione, l’adattamento e ipoteticamente anche per il Loss and Damage, ovvero le Perdite e i Danni. In particolare, l’inserimento di quest’ultimo è osteggiato da diversi Paesi industrializzati, probabilmente dal momento che aprirebbe “un vaso di Pandora” che preferirebbero restasse chiuso. Alcuni Paesi, come la Francia, hanno proposto di accorpare questo tipo di finanza in quella per l’adattamento, soluzione ovviamente inaccettabile per la società civile: le perdite e i danni causati dagli impatti dei cambiamenti climatici devono necessariamente essere finanziamenti successivi all’evento catastrofico (ex post), al contrario di quelli dell’adattamento che sono destinati alla prevenzione (ex ante).

Nonostante questi segnali non promettenti, ci sono anche dei passi avanti. In particolare, la posizione dell’Unione Europea è molto più sensibile alle esigenze dei Paesi vulnerabili (rispetto agli USA ad esempio). Ciò è emerso anche durante un incontro bilaterale dei Capi delegazione dell’UE alla COP28 con Climate Action Network (CAN) Europe, a cui Italian Climate Network ha partecipato: come affermato in altri interventi alla COP, l’Unione Europea ha ribadito di riconoscere l’importanza dei finanziamenti pubblici, sebbene li ritenga comunque insufficienti per raggiungere le somme necessarie. La posizione di Bruxelles, sulla finanza così come sul Global Stocktake, sembra essere molto più morbida rispetto a quella degli USA, e questo lascia spazio alla speranza di vederle svolgere un ruolo di mediazione. 
Soprattutto, stabilire il nuovo obiettivo di finanza climatica è un’urgenza, e c’è il timore che le lunghe discussioni sulle diverse opzioni finiscano per ritardare il processo e mettere a rischio il conseguimento degli obiettivi di Parigi. Per i Paesi più vulnerabili come i Piccoli Stati insulari, invece, la posta in gioco è ben più alta: sul piatto c’è la loro stessa sopravvivenza.

Articolo a cura di Teresa Giuffrè, delegata di Italian Climate Network a COP28.

Foto di copertina: Teresa Giuffrè

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