JUST TRANSITION: COME DEFINIRE CIÒ CHE È GIUSTO?
- La transizione giusta, o just transition, può avere significati diversi in base alle condizioni socio-economiche e politiche di ogni Paese.
- Nella bozza di testo del work programme per la just transition manca la menzione ai diritti umani, delle donne, dei giovani e dei popoli indigeni.
- La transizione giusta riguarda le strategie di mitigazione, ma anche l’adattamento e la resilienza dei gruppi più vulnerabili ai cambiamenti climatici.
L’interpretazione del concetto di just transition, transizione giusta, è diversa da persona a persona, in base al luogo di provenienza o alla comunità di appartenenza. La giusta transizione deve raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi senza lasciare indietro nessuno, soprattutto i Paesi più vulnerabili e i gruppi più fragili, come donne, giovani e popoli indigeni, perché tutte e tutti possano beneficiarne.
Dalla prima tavola rotonda ministeriale annuale sul tema, che si è svolta alla COP28 di Dubai domenica 3 dicembre, è emersa la necessità di una nuova definizione di just transition che sia universale e accettabile da tutti.
A fronte di un certo numero di traiettorie che si possono seguire verso un’economia a emissioni nette zero, la transizione giusta richiede di individuare la rotta che permetta di raggiungere uno sviluppo sostenibile di tutti i Paesi.
La transizione non riguarda solo la mitigazione, su cui spesso ci si concentra, ma anche l’adattamento e la resilienza agli impatti dei cambiamenti climatici. Questi sono il primo esempio di ingiustizia climatica, poiché gli impatti sono ben visibili nei Paesi in via di sviluppo che sono però gli ultimi ad aver contribuito alla crisi climatica in corso.
Nelle discussioni sulla transizione giusta emerge spesso il tema dei finanziamenti dai Paesi sviluppati verso i Paesi in via di sviluppo per rendere effettiva questa transizione, ma più di una volta i Paesi in via di sviluppo hanno evidenziato la difficoltà ad avere accesso a questi finanziamenti e la disuguaglianza nella distribuzione degli stessi tra i Paesi.
In questi primi giorni di COP28 è cominciato il negoziato sul work programme per la just transition, punto 9 nell’agenda del subsidiary body for implementation (SBI) e punto 8 nell’agenda del subsidiary body for scientific and technological advice (SBSTA).
Il work programme è stato stabilito dalla decisione 1 della CMA4 dell’anno scorso. In particolare dovrebbe individuare uno scenario che permetta di rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (ovvero limitare l’aumento di temperatura a +1.5°C rispetto al periodo pre-industriale) tenendo in considerazione il principio dell’equità e delle responsabilità comuni ma differenziate tra i Paesi. Era stato chiesto a SBI e SBSTA di preparare una bozza di testo da discutere a COP28.
Il work programme è un’opportunità per far entrare la just transition negli NDC entro il 2025, ovvero negli obiettivi climatici che si porranno le diverse nazioni. Al momento, secondo un’analisi dell’UNFCCC, solo il 57% dei Paesi si è posto impegni relativi alla just transition negli NDC, su un totale di 68 considerati corrispondenti al 76% delle emissioni globali.
Il lavoro sulla bozza di testo dovrà terminare martedì 5 dicembre 2023 e sono previsti 5 meeting informali. Il primo si è tenuto venerdì 1 dicembre. Il secondo si è tenuto sabato 2 dicembre in mattinata, ma è stato quasi subito sospeso. Tra le motivazioni:
- a causa della lunga coda per accedere alla venue, i negoziatori del gruppo G77-Cina non hanno avuto tempo di leggere e discutere la bozza e i commenti pervenuti.
- la sala, di dimensioni limitate, non era in grado di accogliere tutti i negoziatori delle Parti.
Per questo motivo il meeting è stato spostato a domenica 3 dicembre alle ore 11 (ora di Dubai). Ancora una volta, tra i negoziatori e gli osservatori si è alzata la polemica circa le dimensioni della sala scelta e l’impossibilità di garantire a tutti la partecipazione al meeting. Come sta accadendo in molte sessioni informali a questa COP28, alcuni Paesi non avevano delegati a rappresentarli dentro le sale, e tutti gli osservatori sono rimasti fuori. Data l’importanza del tema per tutti i Paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo, e per la società civile, in particolare tra i rappresentanti dei gruppi più vulnerabili, è importante che alle sessioni sulla just transition ci sia rappresentanza di tutti gli stakeholders. Su suggerimento delle constituency, i co-facilitatori hanno quindi deciso di rimandare ulteriormente l’incontro a mezzogiorno e spostarsi nella sala plenaria, che in breve tempo si è riempita completamente.
Il testo negoziale discusso nei prossimi giorni dovrà definire i compiti del work programme. I punti sono:
- Tematiche: rotta da seguire verso gli obiettivi dell’accordo di Parigi, creazione di posti di lavoro, eradicazione della povertà, sviluppo sostenibile, coinvolgimento degli stakeholders,…
- Timeline di lavoro: termine al 2026, al 2027 o oltre.
- Struttura del WP: con un contact group gestito da SBI e SBSTA oppure un dialogo portato avanti da due co-chairs, provenienti uno da un Paese in via di sviluppo e uno da un Paese sviluppato.
- Collegamenti con altre linee di lavoro della convenzione e dell’accordo di Parigi: come il Sharm el-Sheikh mitigation ambition and implementation work programme, i punti in agenda di SBI e SBSTA, le tavole rotonde ministeriali sulla just transition
- Preparazione di report per riportare i risultati del dialogo.
Dalle Parti è stata subito fatta presente la difficoltà di garantire dei risultati per il 5 dicembre: il tema è prioritario per l’accordo e per i Paesi, e può indirizzare le decisioni future a livello nazionale. Richiede quindi una discussione approfondita, ma d’altra parte è urgente e necessario avere dei risultati in breve tempo.
Il gruppo G77-Cina ha sottolineato di non sentirsi rappresentato dal testo, aspetto evidenziato anche dai Paesi meno sviluppati, dai Paesi Africani e dagli stati delle piccole isole.
Uno dei temi più rilevanti è stato la totale assenza della menzione dei diritti umani nel testo, in particolare dei diritti delle donne, dei giovani, dei popoli indigeni e dei gruppi più vulnerabili. Questo aspetto è stato sollevato da molti delegati – Messico, Nuova Zelanda, Canada, Norvegia, Australia, Turchia, Papua Nuova Guinea, Unione Europea, Colombia -, e ribadito dalle constituency degli osservatori: WGC, Youngo, Tungo, Engo, popoli indigeni.
Altri aspetti non menzionati nel testo che hanno portato avanti le Parti sono stati la finanza climatica, il capacity building e il trasferimento tecnologico verso i Paesi in via di sviluppo, così come alla cooperazione internazionale.
Il gruppo G77-Cina continua a ribadire la necessità di riportare nel testo, affinché venga riconosciuto, il principio di responsabilità comuni ma differenziate, che deve essere la base per la finanza climatica.
Articolo a cura di Francesca Casale, delegata di Italian Climate Network a COP28.
Immagine di copertina: Francesca Casale.