COP29, CHE INIZIO DIFFICILE
Lunedì a Baku, in Azerbaigian, hanno preso ufficialmente il via i negoziati sul clima. A COP29 il tema centrale di quest’anno è la finanza climatica, verso la definizione di un nuovo obiettivo finanziario globale per il clima, come anticipato in questo articolo.
La sessione di apertura del negoziato era prevista per lunedì mattina alle 11, con l’approvazione dell’agenda dei lavori in plenaria per COP29 e a seguire l’approvazione delle sotto-agende per i Paesi che fanno parte del Protocollo di Kyoto e dell’Accordo di Parigi. (CMP 19 e CMA6). Alla presenza di Sultan Ahmed Al Jaber, Presidente della COP28, Mukhtar Babayev, Presidente della COP29, e Simon Stiell, Segretario Esecutivo dell’UNFCCC, i negoziati sembravano pronti a partire. Tuttavia, si è subito capito che sarebbero invece partiti con il piede sbagliato.
Nonostante le intense trattative di domenica, che si sono protratte fino alle 4 del mattino con l’obiettivo di preparare un’agenda pronta per l’approvazione e dare rapidamente avvio ai negoziati, i Paesi non sono riusciti a trovare un accordo su come e se discutere alcuni punti, di cui tre particolarmente spinosi. La plenaria si è quindi aperta, sì, lunedì mattina alle 11, ma è poi stata interrotta e rimandata più e più volte nel corso della giornata: i lavori sono finalmente ripresi solo alle 20 ora di Baku, dopo molte ore di discussioni a porte chiuse.
Il primo nodo era quello sull Global Stocktake, l’inventario quinquennale dell’impegno climatico globale sotto l’Accordo di Parigi che si è tenuto per la prima volta lo scorso anno a COP28, a Dubai (ne abbiamo parlato estensivamente qui). In sostanza, il Global Stocktake rappresenta una “verifica” degli impegni assunti collettivamente dai Paesi sotto l’Accordo di Parigi per contrastare il cambiamento climatico. Il testo conclusivo trattava finanza climatica, adattamento e mitigazione, ma era rimasto aperto il dibattito su come questi risultati dovessero essere poi integrati nei negoziati e come incentivare, a partire da quell’inventario, una maggiore cooperazione internazionale.
I Paesi in via di sviluppo del gruppo LMDC (Like Minded Developing Countries) proponevano di inserire il tema sotto l’ombrello della finanza, a sottolineare come il problema degli ultimi anni fosse di natura, se vogliamo, redistributiva; altri attori, tra cui l’UE e la Svizzera, sostenevano che in questo modo si sarebbero persi di vista altri aspetti importanti, come per esempio l’allontanamento dai combustibili fossili, grande risultato del testo finale di COP28.
La discussione è stata infine chiusa inserendo il negoziato sul Global Stocktake in agenda sotto il punto della “finanza climatica”, ma con una nota a piè pagina che ribadisce gli altri importanti risultati raggiunti finora.
Il secondo punto critico riguardava l’impatto di alcune proposte di meccanismi commerciali definiti “unilaterali”, in particolare il CBAM europeo (Carbon Border Adjustment Mechanism), una misura a detta di molti protezionistica che potrebbe incidere sul commercio internazionale con i Paesi partner commerciali dell’Europa a oggi non provvisti di una tassa sul carbonio o di un sistema ETS. Questa misura fa parte del pacchetto Green Deal dell’Unione Europea ed è stato scritto per prevenire la possibile perdita di competitività delle industrie europee nella transizione ecologica, che a causa del più alto costo di produzione nel mercato di carbonio europeo ETS potrebbero preferire trasferirsi all’estero per poter continuare a emettere senza dover pagare crediti o sanzioni, oppure per non sfavorire le industrie che si stanno impegnando nella transizione, al contrario di altre industrie estere. Alcuni Paesi in via di sviluppo, guidati dalla Cina, ritengono che tali meccanismi possano penalizzare le economie emergenti. Il CBAM, che mira a ridurre le emissioni in settori industriali ad alto impatto, potrebbe infatti frenare le importazioni verso l’Europa in settori come il cemento e l’acciaio, con ripercussioni su partner commerciali come Cina, Indonesia, Vietnam e altri.
Al termine della giornata di negoziati, questo punto è stato infine rimosso dall’agenda dei lavori Una concessione all’Unione Europea, quasi a fare da contraltare al punto precedente.
Infine, ultimo ma non per importanza, l’Articolo 6.4 dell’Accordo di Parigi, che mira a creare un nuovo meccanismo sotto egida delle Nazioni Unite per lo scambio di crediti di carbonio, superando il vecchio Clean Development Mechanism risalente agli anni di Kyoto. Questo permetterebbe ai Paesi di ‘comprare’ e ‘vendere’ crediti per tonnellate di CO2 ridotta o sequestrata, con particolare rilevanza per i settori difficili da decarbonizzare, incentivando le azioni di riduzione delle emissioni verso lo zero netto al 2050.
Tuttavia non sono ancora state definite regole precise per questo meccanismo, il che genera forti divisioni tra le parti. A COP27 era stato incaricato un gruppo di tecnici, nominati dai Paesi, di elaborare delle linee guida, ma a COP28 dopo due settimane di trattative sulle raccomandazioni proposte il consenso era ancora lontano. L’incarico di elaborare e sviluppare ulteriormente raccomandazioni da sottoporre all’esame e all’adozione della Conferenza delle Parti è stato quindi rinnovato.
Quest’anno, il gruppo di esperti (Article 6.4 Supervisory Body) non ha proposto l’adozione della struttura da loro elaborata, ma la presa d’atto di una struttura già approvata in autonomia in ottobre senza il consenso esplicito dei Paesi, presentando quindi un “pacchetto” già chiuso per mero endorsement da parte della COP (nel pacchetto ci sono metodologie per autorizzare crediti da progetti di rimozione e l’obbligatorio Strumento per lo Sviluppo Sostenibile, una sorta di lista dei prerequisiti necessari per l’avvio di ogni progetto rispetto all’Agenda 2030 dell’ONU). Un approccio inusuale, quello dell’approvazione in via tecnica, che se da un lato velocizza un processo bloccato da anni, dall’altro potrebbe creare un precedente negoziale e politico importante e che non ha mancato, come ci aspettavamo, di suscitare reazioni.
Ieri il nodo si è sciolto – con non poche perplessità e timori da parte della società civile – con le Parti che hanno infine preso nota dell’adozione delle metodologie per lo sviluppo del meccanismo dell’art.6.4 da parte del gruppo di esperti ONU, mentre il Presidente della COP Babayev in plenaria ha dichiarato che “accoglieva caldamente” il lavoro del gruppo. Il testo della decisione di lunedì prosegue inoltre ribadendo che la Conferenza della Parti fornirà ulteriori indicazioni (guidance), se necessario, anche se non ci sono dettagli a riguardo di come questo dovrebbe o potrebbe avvenire. Una porta lasciata parzialmente aperta, insomma, a fronte però di una chiusura di fatto della vicenda, con gli standard e le metodologie fattualmente adottati e ora operativi.
Un inizio di COP complesso, tormentato su più livelli, indice dell’attuale contesto internazionale. A giugno, durante i negoziati intermedi, la Presidenza azerbaigiana della COP aveva annunciato che a Baku avrebbe chiuso i negoziati sia sulla finanza che sull’Articolo 6, e nella prima giornata – pur con mille complicazioni – sembra essere arrivata quasi a metà strada. Ma i prossimi giorni saranno lunghi, e in pochi scommettono su un obiettivo finanziario ambizioso.
Articolo a cura di Martina Compagnucci e Anna Pelicci, delegate di Italian Climate Network alla COP29 di Baku.
Immagine di copertina: UN Climate Change
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