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IL CLIMA CORRE, IL NEGOZIATO È FERMO

Nella tarda serata di giovedì 13 giugno 2024 sono terminati i negoziati intermedi UNFCCC SB60 di Bonn, che precedono e preparano la prossima COP29 di Baku, in Azerbaigian. Questi negoziati sul clima sono risultati fin dal primo giorno troppo densi e molto spigolosi, complice un’agenda fitta di temi forse troppo politicizzati e centrali per essere affrontati in questa sede, solitamente più tecnica.

Purtroppo, dobbiamo prendere atto della mancanza di passi avanti sostanziali su tutti i principali temi del 2024. Pensiamo in particolare al negoziato sul nuovo obiettivo quantitativo globale di finanza climatica post-2025, che stando alle aspettative dovrebbe rappresentare il principale risultato della COP di fine anno, e a quello sulla mitigazione, tema assente da anni dalle COP se non fosse per la creazione, due anni fa in Egitto, di un Programma di lavoro sul tema che però fatica ancora molto a trovare una propria identità formale.
L’Accordo di Parigi del 2015, ombrello politico sotto il quale si svolgono i negoziati sul clima e quindi anche questi intermedi appena conclusi, prevede di contenere le temperature medie globali entro una crescita di +1,5°C o +2,0°C entro il 2100, tramite azioni di mitigazione, adattamento e investimenti in finanza per il clima. Purtroppo, però, a valle del primo Global Stocktake (inventario degli impegni dei Paesi) dello scorso anno e in vista dell’aggiornamento dei piani nazionali sul clima (NDC) nel 2025, siamo costretti a constatare che una serie di veti incrociati sta tenendo i negoziati fermi sia sulla finanza che sulla mitigazione.

Sulla finanza, il negoziato è fermo per la difficoltà di identificare un quantum, una cifra-obiettivo da proporre per il periodo post-2025 superando quindi i 100 miliardi all’anno stabiliti nel 2009 e raggiunti, fuori tempo massimo, solo nel 2022 – e comunque drammaticamente insufficienti rispetto a bisogni che superano ormai le migliaia di miliardi. Su questo punto sembra evidente che si stia ancora giocando a carte coperte, in attesa di input politici più forti da G7 e G20.

Sulla mitigazione, che pur dovrebbe rappresentare il filone di lavoro principale sotto l’Accordo di Parigi, molti Paesi nicchiano e continuano a fare riferimento solo ai propri obiettivi climatici nazionali, gli NDC, senza alcuna volontà politica (da parte dei grandi emettitori e degli esportatori di fossili) di aggiungere niente a quanto già deciso dai trattati. Un approccio pericoloso e contrario allo spirito della Convenzione e dell’Accordo, visto che stando ai soli NDC attuali il pianeta è ancora instradato verso un riscaldamento globale ben superiore agli obiettivi di Parigi, ma anche contrario alla decisione finale di Dubai, che invita quegli stessi Paesi ad abbandonare le fonti fossili entro questo decennio.

“In linea con le parole del Segretario Esecutivo della UNFCCC Simon Stiell vediamo la COP29 di Baku come un percorso tutto in salita, visto lo stallo totale osservato a Bonn sui temi chiave” – dichiara Serena Giacomin, Presidente di Italian Climate Network “Pur facendo nostre le legittime preoccupazioni dei Paesi in via di sviluppo in merito alla scarsezza di adeguati supporti finanziari da parte dei Paesi più sviluppati, non possiamo oggi fare a meno di rammaricarci per la serie di veti che ha bloccato il lavoro del Mitigation Work Programme. I due temi, finanza e mitigazione, dovrebbero andare a braccetto verso un mondo dentro il limite di +1,5°C e non ostruirsi la strada a vicenda. Confidiamo in un positivo lavoro preparatorio della COP nei prossimi mesi, basato sulle più recenti evidenze scientifiche. Il negoziato non può stare fermo per il semplice fatto che il clima, al contrario, corre”.

Di seguito l’analisi dettagliata di ogni tema negoziale dei negoziati intermedi sul clima UNFCCC SB60 che Italian Climate Network ha seguito direttamente dalle sale con i propri Observer. I testi negoziali citati ma privi di collegamento ipertestuale puntuale in questa analisi non erano ancora disponibili sul sito UNFCCC al momento della pubblicazione dell’analisi.

Progressi rispetto al primo Global Stocktake e prossimi passi

A Bonn i Paesi avrebbero dovuto confrontarsi in merito a questioni procedurali e logistiche relative all’implementazione del primo Global Stocktake (adottato a Dubai) e, più in generale, discutere di come far avanzare il processo in vista del prossimo Stocktake previsto per il 2028. Il negoziato si chiude senza un testo, bensì con una “nota informale” che prende atto della diversità di vedute in sala in merito a: raccolta degli input scientifici e scelta delle fonti; scadenze interne per la raccolta degli input scientifici e non; tabella di marcia verso lo Stocktake del 2028 e relative sessioni di lavoro intermedie. La nota informale presenta una lunga serie di opzioni che sicuramente aiuteranno i delegati nel dialogo politico verso Baku, ma non costituiscono ad oggi in alcun modo una decisione negoziale univoca.

Programma di Lavoro di Sharm el-Sheikh sulla Mitigazione

Niente di fatto. Il tema viene interamente rimandato a COP29, nessun consenso, nessun testo, neanche una nota informale. Di fatto, il negoziato non è mai realmente partito. La delegazione delle isole Samoa, nella plenaria finale, ha parlato di “grande delusione”, rispetto a “fallimenti che non ci possiamo permettere – trattandosi dell’unico punto all’ordine del giorno sulla mitigazione, dovremmo andare avanti ogni anno, cosa che non accade, abbiamo bisogno di risultati concreti, non questioni procedurali”; “abbiamo visto tentativi chiaramente orientati a seppellire questo programma di lavoro”. Anche l’Unione Europea ha parlato di “profonda delusione” poco dopo: “non ci è stato consentito di parlare di mitigazione, tantomeno di mandare avanti il processo”. “La mitigazione non può essere un tabù ai negoziati”, ha aggiunto il delegato svizzero.
Agli interventi di questo tenore (anche Australia, Bolivia, altri) sono seguiti lunghi applausi dalla plenaria, a simboleggiare le spaccature trasversali tra i principali gruppi negoziali – ad esempio, su questi temi i Paesi insulari e latinoamericani seguono l’Unione Europea e non i G77+Cina, diversamente da quanto osserviamo su altri temi. Alla fine è il delegato del Kenya, a nome dell’African Group, a esplicitare in sala il nodo politico della questione: “non possiamo ignorare, quando parliamo di mitigazione, i miliardi di famiglie che usano fonti fossili per vivere, cucinare, scaldarsi – per procedere con la mitigazione di quelle emissioni abbiamo però bisogno di nuova finanza per il clima”.
Come nelle ultime ore di Glasgow, niente mitigazione finché il Nord globale non mette i soldi.

Da segnalare che, prevedendo un negoziato difficile e potenzialmente fallimentare proprio sul tema della mitigazione, i due Chair di SBSTA e SBI avevano inizialmente proposto di aggiungere all’agenda dei lavori un nuovo punto, un negoziato ad hoc (cosa molto inusuale) sulla riduzione delle emissioni climalteranti verso net zero al 2050 volto alla redazione di un testo in merito, ma nei primi giorni qui a Bonn non è stato trovato il necessario consenso per procedere.

Nuovo obiettivo quantitativo globale post-2025 (finanza per il clima)

Da Bonn non ci aspettavamo certo una decisione solida e contornata sul nuovo obiettivo finanziario globale post-2025 – semmai un testo di partenza verso Baku – ma neanche tanta nebulosità. Al termine di due settimane di lavori, il negoziato si chiude con un caotico documento di lavoro di 35 pagine, nel quale i facilitatori hanno tentato di riflettere tutte le opinioni espresse in sala. Ne avevamo parlato in questo articolo e, più specificamente sul tema del quantum che ancora non appare all’orizzonte, qui.
Necessario tuttavia evidenziare che i Paesi sembrano prepararsi ad una battaglia politica a Baku intorno alla possibilità di un nuovo obiettivo che molte nazioni (in via di sviluppo) vorrebbero di almeno 1000 miliardi di dollari all’anno (comprensivi di finanza per mitigazione, adattamento e perdite e danni), decuplicando il precedente del 2009, con obiettivi intermedi e check annuali sul raggiungimento. Altri Paesi (da quello che abbiamo captato, occidentali) si accontenterebbero di un “100+”, meno ambizioso e comunque assai inferiore a 1000 miliardi all’anno. Ma le carte sono rimaste ancora ampiamente coperte, probabilmente in attesa di capire cosa uscirà dal combinato disposto (politico) di G7 e G20.

Obiettivo globale sull’adattamento

Da Bonn i delegati chiedono ai Paesi e agli osservatori, tramite le conclusioni adottate, di trasmettere contributi scritti su come far progredire il processo nei prossimi anni, in particolare riguardo i sette sotto-obiettivi sull’adattamento elencati nella decisione finale di Dubai. Questi contributi scritti dovranno pervenire al Segretariato entro il 31 luglio 2024. Nella plenaria finale, la Bolivia si è detta “delusa” dal fatto che molti Paesi avrebbero fatto ostruzionismo su questo filone di lavoro e vede come “inaccettabile che i Paesi partner (del Nord globale) abbiano tentato di annacquare il linguaggio di decisioni già prese sul tema in passato”, anche in una discussione tutto sommato procedurale come quella di Bonn dei giorni scorsi.

Piani nazionali di adattamento

Negli ultimi giorni si era arrivati ad avere una bozza di testo, pensato per essere adottato formalmente a COP29, che dipingeva lo stato dell’arte della redazione e implementazione dei piani nazionali di adattamento dei Paesi firmatari della Convenzione UNFCCC. Un quadro non roseo, con solo 56 Paesi in via di sviluppo ad avere già un proprio piano nazionale. Nella bozza disponibile online si prendeva infatti atto del grave ritardo della maggioranza dei Paesi nella redazione e implementazione dei piani nazionali, con frequenti riferimenti alla necessità di nuove e aggiuntive risorse finanziarie in supporto ai Paesi in via di sviluppo per procedere con il lavoro. Sulla bozza, dopo giorni di discussioni sulla presunta volontà dei Paesi occidentali di eliminare riferimenti al principio di responsabilità comuni ma differenziate, non è stato trovato consenso unanime: nella plenaria finale è stato adottato un testo di fatto procedurale, che prende atto dell’esistenza di una bozza ma rimanda l’intero argomento a COP29.

Articolo 6

Si arriva, dopo due settimane di un negoziato intenso, a due testi (due “conclusioni”, una sul filone relativo all’Articolo 6.2, l’altro all’Articolo 6.4) sostanzialmente simili, che fanno propria la formulazione testuale proposta dal Canada nel finale della giornata di mercoledì. Il tema del possibile inserimento delle emissioni evitate nelle azioni potenzialmente capaci di creare crediti per emissioni viene rimandata, con piena soddisfazione della società civile internazionale e di molti Paesi, ai negoziati intermedi di Bonn 2028 (SB68), posticipando quindi la conversazione di quattro anni – nel frattempo però le emissioni evitate stanno prosperando come prodotto di offsetting su tutti i principali mercati internazionali in attesa di regolamentazione sotto l’UNFCCC ed i sistemi nazionali. Non è improbabile che il tema torni sul tavolo a Baku tra pochi mesi, o comunque prima del 2028. Sul finale delle due conclusioni si decide inoltre di convocare due sessioni aggiuntive di lavoro in formato ibrido prima di COP29, su entrambi i filoni, per preparare meglio e con più tempo le bozze per Baku per quanto riguarda tutto ciò che non è stato deciso qui a Bonn in merito a processi di autorizzazione, formati elettronici, sequencing, applicazione dei crediti agli NDC, inconsistenze nei dati e compilazione dei registri.

Giusta transizione

Il programma di lavoro degli Emirati Arabi Uniti sulla giusta transizione, fortemente voluto da alcuni Paesi e lanciato a Dubai in concomitanza con l’adozione del primo Global Stocktake sotto l’Accordo di Parigi, ha avviato i suoi lavori a inizio anno con l’organizzazione del primo di due Dialoghi sotto il programma, come previsto a Dubai. Nonostante il tema fosse stato inserito nell’agenda di questi intermedi di Bonn, forse nella speranza di poter spingere politicamente il processo oltre il mero confronto tra buone pratiche con una qualche nuova decisione politica, il negoziato si chiude in corner con un testo molto stringato che prende atto dell’esistenza di una “nota informale” di dettaglio preparata dai co-facilitatori e tuttavia non supportata dal consenso delle delegazioni.
Il secondo Dialogo dell’anno dovrebbe tenersi entro COP29, ma non vi è certezza sulle date. Questa incertezza ha portato i delegati a chiedersi come gli esiti dei Dialoghi potranno portare contenuti e proposte nel processo di COP29 in modo efficace, visti i tempi tanto stretti.

Clima, agricoltura e sicurezza alimentare

Nel testo approvato a Bonn, viene confermato che i lavori del “Percorso comune sull’implementazione dell’azione climatica nei settori dell’agricoltura e della sicurezza alimentare” proseguiranno per altri due anni e mezzo, per poi produrre conclusioni a COP31 nel 2026. Al testo adottato è allegato un calendario dei lavori per i prossimi anni, che prevede il lancio di un nuovo portale ONU sul tema entro COP29, seguito da due workshop tematici a partecipazione ibrida da tenersi nel giugno 2025 e nel giugno 2026.

Questioni di genere e Action for Climate Empowerment

Con due testi scarni (meno di mezza pagina ciascuno), i delegati decidono di continuare il lavoro sui due filoni Gender e ACE a Baku, prendendo atto del lavoro svolto fino ad oggi, in particolare con riferimento alla valutazione del Gender Action Plan da parte del SBI e del lavoro portato avanti dal gruppo di lavoro ACE negli ultimi anni. Nessuna nuova decisione di peso in vista di COP29.

I negoziati intermedi UNFCCC SB60 di Bonn sono stati seguiti in presenza nelle due settimane di lavori da: Jacopo Bencini, Valeria Capettini, Claudia Concaro, Cecilia Consalvo, Anna Pelicci di Italian Climate Network.

“Assistiamo, in questi negoziati intermedi, a dinamiche geopolitiche competitive multilivello Nord-Sud osservabili, simili, anche in altre sedi ONU, qui con la particolarità del crescente inasprimento della (lecita) richiesta finanziaria da parte dei Paesi in via di sviluppo fino, purtroppo, all’ostruzionismo sulla riduzione delle emissioni attuali e future, vero nodo dell’Accordo di Parigi sul clima” – commenta Jacopo Bencini, Policy Advisor sulle Politiche europee e multilaterali sul clima per ICN“La discussione sul quantum per la finanza climatica post-2025 rappresenta potenzialmente una grande opportunità per ridare linfa al processo, in particolare verso la presentazione dei nuovi obiettivi clima (NDC) nel 2025 ed in concomitanza con il proposto processo di riforma della Banche multilaterali di sviluppo, ma il nuovo obiettivo dovrà essere realistico abbastanza da stimolare un lavoro di mobilitazione efficace e allo stesso tempo ambizioso, per sbloccare questo empasse negoziale e operativo. Auspichiamo in questo senso indicazioni forti dai vertici G7 e G20, in un anno purtroppo caratterizzato da una grande sovrapposizione temporale degli eventi politici, non ultime le elezioni presidenziali negli Stati Uniti a ridosso di COP29”.

Immagine di copertina: Flickr UNFCCC

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