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Nov

IL PROGRAMMA SULLA MITIGAZIONE POTREBBE MORIRE A BAKU

Nella seconda giornata di COP29, mentre i pochi leader mondiali presenti parlavano dal palco, sono ripresi i lavori del Mitigation Work Programme, il programma di lavoro sulla mitigazione, la riduzione delle emissioni climalteranti, lanciato due anni fa e pensato per compensare la mancanza di passi in avanti sulla riduzione delle emissioni da tre COP a questa parte.

Abbiamo parlato estensivamente di questo filone negoziale durante i negoziati intermedi di giugno 2024, trovate qui un’analisi. In estrema sintesi, il programma (abbreviato nell’acronimo inglese MWP) dovrebbe portare i Paesi a condividere esperienze, buone pratiche e infine proporre soluzioni per “spingere” verso il basso la traiettoria delle emissioni globali in attesa dei nuovi piani nazionali per il clima, gli NDC sotto l’Accordo di Parigi che ogni Paese presenterà nel 2025. Formalmente facente riferimento alla decisione n.4/CMA4, il programma prevede “scambi di vedute” in modo “non prescrittivo”.

Qualsiasi progresso su questo filone di lavoro, nonostante la sua leggerezza in termini formali, è stato da sempre osteggiato dai più importanti Paesi in via di sviluppo, con particolare ostilità in sala da parte di Cina, India, Arabia Saudita –nazioni che, ricordiamo, fanno ancora parte dei cosiddetti “developing countries” secondo le definizioni ONU e gli allegati alla Convenzione UNFCCC del 1992.. Perché tanta ostilità?

La ragione del confronto è da ricercare nel tumultuoso finale di COP26 a Glasgow, nel 2021, quando i Paesi in via di sviluppo spinsero i Paesi sviluppati a rinunciare all’abbandono totale e immediato del carbone come fonte energetica nella decisione finale in assenza di adeguate contropartite finanziarie, a fronte di uno sforzo di transizione troppo oneroso. Quel dibattito è stato poi al centro delle due successive COP di Sharm el-Sheikh nel 2022 e Dubai lo scorso anno, portando all’adozione di decisioni storiche su altri temi fino ad allora carsici, una su tutte la finanza a compensazione di perdite e danni.

L’Unione Europea ha più volte manifestato frustrazione rispetto ai tanti niente di fatto sotto il MWP. Il programma potrebbe infatti rappresentare, a detta delle delegazioni più ambiziose sulla mitigazione, un contesto favorevole e cooperativo nel quale proporre soluzioni e spingere per una maggiore mobilitazione collettiva, in vista del prossimo aggiornamento degli NDC.
Nella seduta di martedì, la Corea del Sud ha aperto le danze con un intervento molto forte proprio perché figlio di frustrazione. Il delegato sudcoreano ha parlato di !programma di lavoro impotente» e per ben 11 volte ha voluto ripetere che una decisione finale di COP29 senza passi avanti sulla mitigazione sarebbe semplicemente «assurda», visto il contesto internazionale orientato a tutt’altre priorità. «Perché dovremmo continuare [in questo gruppo di lavoro, ndr] ad appuntare la matita, se sappiamo già che non scriveremo niente?».

Australia, Unione Europea, Stati Uniti (con la delegazione ancora rispondente all’attuale amministrazione Biden), hanno fatto eco al delegato coreano, insistendo sulla necessità di aggiornare il mandato del MWP alla luce del paragrafo 186 della decisione sul Global Stocktake dello scorso anno, che invitava i Paesi a integrare i contenuti dello stesso in tutti i programmi di lavoro esistenti. In poche parole, e conseguentemente, a portare il MWP a lavorare sugli obiettivi identificati nel paragrafo 28 della stessa decisione, che affronta la necessità globale di procedere a una rapida riduzione delle emissioni climalteranti attraverso investimenti nelle rinnovabili e tramite l’ormai famoso “allontanamento” graduale (transition away) dalle fonti fossili. Secondo questi Paesi, quindi, il MWP dovrebbe avere un ruolo (ora più “pesante”) nell’implementazione dello stesso Global Stocktake.

Non la pensano così Cina, India, Arabia Saudita, Iran, Russia e altri Paesi che sono intervenuti in aula nella seconda parte del pomeriggio. A detta della delegata cinese, che si è espressa a nome del gruppo negoziale LMDC (Like Minded Developing Countries), bisognerebbe prima di tutto andare a vedere cosa effettivamente stanno facendo in termini di mitigazione i Paesi occidentali storicamente responsabili per il problema climatico, quelli inclusi nell’Annex I della Convenzione del 1992 – in pratica, tutti i Paesi occidentali inclusa UE, Stati Uniti, Giappone, Australia. Le emissioni di questi Paesi, complessivamente, non stanno calando – ha insistito la delegata cinese – e viene chiesto a chi ha necessità oggettive di sviluppo di contribuire (anche finanziariamente) mentre chi dovrebbe essere leader non agisce adeguatamente. Un contesto politico e diplomatico che a detta della delegata cinese appare «deludente» (disappointing) agli occhi del resto del mondo. Ecco, quindi, l’affondo finale: «a fronte di chi ci dice la mitigazione prima di tutto, noi diciamo che non c’è niente di più importante della finanza per il clima – i gap nell’ambizione prodotti dai Paesi sviluppati dovrebbero essere trattati in questa sede». Uno scontro diretto che lascia poco margine di manovra ai facilitatori del gruppo, che in teoria dovrebbero produrre una bozza di decisione entro venerdì sera. Impossibile, o quasi.

Come Italian Climate Network, crediamo che come ogni COP anche questa conferenza dovrebbe produrre, nei limiti del possibile, un esito finale bilanciato tra ambizione nella solidarietà internazionale (soprattutto finanziaria) e impegno nella riduzione più rapida possibile delle emissioni climalteranti, all’origine del problema climatico.
In questo senso un qualsiasi progresso sotto il MWP potrebbe rappresentare un piccolo e complementare segnale di avanzamento collettivo verso la COP30 del prossimo anno e la presentazione dei nuovi piani sul clima, che dovranno essere il più ambiziosi possibile. Purtroppo, il contesto internazionale frammentato e polarizzato non aiuta il processo e proprio oggi, durante le prime fasi di negoziato, Politico Europe ha rivelato che probabilmente neanche la stessa Unione Europea – l’attore che più spinge in questo processo – riuscirà a presentare il proprio NDC per la primavera del 2025 per problemi politici interni tra Varsavia e Bruxelles.

Stanti le circostanze il Programma sulla Mitigazione potrebbe quindi morire a Baku, salvo idee e soluzioni negoziali creative a oggi non in vista. Continueremo ad aggiornarvi come sempre tramite il nostro sito www.italiaclima.org 

Articolo a cura della delegazione di Italian Climate Network

Foto di copertina: COP29 platform | UN Climate Change

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