COP29, DIRITTI UMANI E POLITICA DI GENERE: SERVE DIFENDERE CONQUISTE DI ANNI FA
- I negoziati sulla finanza sono lenti mentre i tentativi di minare le tutele dei diritti umani e delle considerazioni di genere arrivano veloci.
- I rapporti in sala sono gelidi e la società civile particolarmente frustrata.
- Una nuova bozza di testo sulle politiche di genere nell’azione climatica è attesa nella notte e si prosegue in incontri a porte chiuse
È dal 2014 che gli Stati lavorano insieme per integrare e promuovere considerazioni sostanziali di genere nei filoni di lavoro della Conferenza delle Parti (COP), e il Segretariato della UNFCCC si impegna a metterle in atto al fine di assicurare politiche e azioni climatiche rispondenti alle necessità delle donne nelle loro diversità. È infatti nel 2014 che le Parti hanno istituito per la prima volta il Lima Work Programme on Gender (LWPG).
Il riconoscimento della necessità di un filone di lavoro specifico su questo tema è nato dal duro lavoro di advocacy della società civile e in primis della Women and Gender Constituency, che ha da sempre evidenziato come a fare le spese maggiori delle conseguenze dei cambiamenti climatici siano i segmenti più vulnerabili della popolazione, a partire dalle donne schiacciate in ruoli e posizioni di svantaggio per via di dinamiche sessiste che si sono consolidate nelle esistenti norme sociali di genere.
Il filone ha poi avuto uno sviluppo in progressione anche in virtù delle evidenze scientifiche che mostravano, dati alla mano, quello che le femministe avevano sempre sostenuto. A COP22 le Parti avevano stabilito infatti una estensione di 3 anni del LWPG, e a COP23 è stato adottato il primo Gender Action Plan (GAP). Se il LWPG detta la linea generale di lavoro per l’applicazione di specifiche lenti sul genere a tutto ciò che riguarda le politiche climatiche, il GAP indica nello specifico le aree di priorità, le specifiche attività e gli output di lavoro.
Alla scorsa COP28, le Parti avevano deciso una revisione finale dell’implementazione del primo ciclo di LWPG (durato 10 anni) e del relativo GAP per porre le basi per un nuovo ciclo di LWPG e GAP. Alla COP29 di Baku, quindi, dovremmo assistere al passaggio le Parti dal vecchio ciclo di LWPG al nuovo. Di conseguenza il relativo testo dovrebbe stabilire l’ambizione della prossima decade di lavoro sulle questioni di genere. Tuttavia, qui si apre un inaspettato scenario.
Dai primi giorni della seconda settimana di COP29 dalle stanze negoziali sono arrivate notizie allarmanti confermate dalla pubblicazione dei testi in discussione sul sito della UNFCCC. I gruppi della società presenti in sala per monitorare i lavori (funzione primaria dei formal observers) hanno riportato che i Paesi Arabi, il Vaticano e la Russia in particolare hanno proposto l’eliminazione o la sostituzione di terminologia chiave del testo.
A oggi, molti paragrafi sono in parentesi (brackets) – che nel ‘gergo ONU’ significa che non c’è consenso tra le Parti – che rischiano di essere eliminati. Ora: è normale nella prassi negoziale avere parti di testo non condiviso e quindi in parantesi, ma quel che è anomalo, qui, è che la maggior parte del testo è in parantesi, e soprattutto termini come ‘intersezionalità’, ‘genere’ e ‘inclusione’, base linguistica e nozionistica di qualsiasi discussione in materia di genere. A questo si aggiunge il tentativo di sostituirli con termini superati e che richiamano una concezione anacronistica e binaria di quelle che sono le identità di genere e sessuali nel loro più ampio spettro.
Ne riportiamo sotto un estratto per dare un’idea:
Testo dalla bozza in esame a COP29
In virtù di quanto è stato sollevato durante le discussioni le Parti hanno sentito la necessità di chiedere delle sessioni informali-informali (inf-inf) – sessioni a porte chiuse, non accessibili a noi osservatori e non tracciate – per cercare di dirimere questi punti. Rumors dalle sale negoziali riferiscono che oggi la Russia avrebbe chiesto che i paragrafi in parentesi venissero mandati alla presidenza della COP29 affinché gestisca questa controversia sulla terminologia dai toni pretestuosi. Si teme che la presidenza si metta di proprio pugno a riscrivere interi paragrafi solo per il fatto di avere la parola genere all’interno.
La situazione è paradossale, visto che i testi in discussione sono stati elaborati sulla base di terminologia ampiamente utilizzata nelle discussioni precedenti dal 2014 in poi. Al danno si unisce poi la beffa. Queste richieste svuotano di valore il testo, di fatto annullandone scopo ed efficacia con ripercussioni a pioggia gravi sul resto dei filoni di lavoro negoziali, vista la natura trasversale (cross-cutting) della materia. È notizia di oggi che anche nell’ambito delle discussioni sul Global Goal on Adaptation (al momento in inf inf) è stato richiesto di eliminare ogni riferimento al genere tra gli indicatori per l’adattamento.
In generale, a questa COP29 stiamo assistendo a una regressione grave sull’integrazione del linguaggio di diritti umani e di tutela di gruppi sociali e minoranze in tutti i filoni di lavoro, tanto che la società civile si sta adoperando per riuscire a difendere lo standard minimo già stabilito di protezione dei diritti umani (e quindi mantenere nei testi) anziché provare ad ampliare la tutela.
Anche l’inserimento del lavoro di cura come specifica al ‘lavoro informale’ nell’ambito del Just Transition Work Programme – che finalmente valorizza il contributo da sempre fornito dalle donne alla società e mai riconosciuto dall’ordine sociale neoliberista – rischia ora di rimanere lettera morta.
Articolo a cura di Erika Moranduzzo, delegata di Italian Climate Network alla COP29 di Baku
Immagine di copertina: foto UN Climate Change – Habib Samadov
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