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DI COSA SI E’ PARLATO ALLA COP25 DURANTE LA PRIMA SETTIMANA DI NEGOZIATO

di Francesca Casale

La prima settimana di negoziato tecnico alla COP25 a Madrid si è conclusa. Gli obiettivi della Conferenza delle Parti quest’anno riguardano la definizione degli ultimi aspetti dell’Accordo di Parigi, su cui non si era trovato un accordo l’anno passato a Katowice, per permetterne l’implementazione a partire dal 2020. Gli argomenti trattati questa settimana dallo SBI (Subsidiary Body for Implementation) e dal SBSTA (Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice) sono stati principalmente l’Articolo 6, sui meccanismi di mercato per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, il meccanismo del Loss and Damage, l’adattamento e la definizione del “common timeframe”.

La settimana stata caratterizzata da discussioni sulla grande importanza della scienza. Dopo l’esperienza dell’anno scorso, quando alcuni Paesi hanno bloccato una decisione della COP24 in cui si voleva riconoscere l’importanza dello Special Report su 1.5°C dell’IPCC, la presidenza della COP25, l’IPCC e molte Parti (i Paesi all’interno della convenzione UNFCCC) hanno invece voluto sottolineare quanto la scienza permetta di definire politiche ambiziose, mirate e urgenti e fornisca le competenze e le tecnologie per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Grande importanza è stata data quindi alla presentazione dei due nuovi Special Reports dell’IPCC sullo stato delle terre emerse e su quello di oceani e criosfera. Nonostante questo, alcune Parti hanno nuovamente insistito per inserire come dicitura “noted” e non “welcomed”, parlando dei due nuovi Special Reports, sminuendo quindi la loro possibile recezione all’interno dei negoziati.

Un argomento che in questa COP si sta facendo strada nelle varie sessioni negoziali informali o di plenaria riguarda l’importanza delle conoscenze tradizionali ed indigene ad accompagnare quelle tecniche e scientifiche. Nella gestione del territorio gli indigeni hanno un’esperienza particolare, derivata da anni di intensa relazione con la natura. Sono popoli molto resilienti, che si sono sempre adattati al cambiamento dei loro territori, motivo per cui i governi dovrebbero collaborare con loro per individuare delle politiche che vadano nella giusta direzione, soprattutto per quel che riguarda la conservazione degli ecosistemi. La prima soluzione al cambiamento climatico è lavorare insieme alle diverse parti della società per realizzare l’obiettivo. Inoltre, le popolazioni indigene possono aiutare la comunità scientifica a monitorare i cambiamenti dell’ambiente, ad esempio nelle regioni polari per i cambiamenti dei ghiacci marini, nelle foreste e per gli habitat costieri. Non solo è essenziale riconoscere e rispettare il loro contributo e la loro conoscenza delle terre in cui vivono, ma anche rispettarne i diritti ogni volta che si discute durante i negoziati o i governi decidono di attuare qualche attività nei loro territori.

Durante l’open dialogue tra le Parti e stakeholders non statali tenutosi in questi giorni, la presidenza ha individuato 4 obiettivi per questa COP25. Il primo è che serve un cambiamento che sia ambientale, sociale ed economico. Devono essere integrati tutti i temi e tutti gli attori nel tavolo di lavoro. E’ noto cosa serve fare, bisogna decidere come farlo. Il secondo è il tema della COP25, ovvero la Blue COP, riferendosi all’importanza degli oceani, che coprono 2/3 della superficie terrestre. Il cambiamento deve includere gli oceani in modo che possano essere gestiti in maniera sostenibile e che diventino parte dell’azione e della soluzione. Il terzo è nuovamente l’importanza della scienza come parte della soluzione, poiché, così come la tecnologia, può aiutare a rendere lo sviluppo sostenibile molto veloce. Ed in ultimo l’importanza dell’adattamento ai cambiamenti climatici, al pari della mitigazione.

A questo proposito i Paesi in via di sviluppo hanno sottolineato come sia essenziale discutere di adattamento allo stesso livello della mitigazione. Gli impatti del cambiamento climatico sono già visibili, ad esempio nei piccoli stati insulari, a causa dell’aumento degli eventi climatici estremi, come l’intensificazione in forza e frequenza dei cicloni tropicali, e l’innalzamento del livello del mare. I negoziati sulla tematica dell’adattamento, invece, così come per quel che riguarda il Loss and Damage, continuano ad andare a rilento, principalmente per la poca collaborazione da parte di alcuni Paesi sviluppati. Alcuni Paesi in via di sviluppo hanno anche chiesto che venga fatta una revisione periodica sugli sforzi di adattamento, così come si fa per la riduzione delle emissioni globali, integrandola all’interno del global stocktake.

L’adattamento è particolarmente sentito dai Paesi in via di sviluppo perché la loro capacità di adattamento è bassa e hanno bisogno delle conoscenze scientifiche per trovare delle politiche a livello nazionale e locale per aumentare la loro resilienza. L’assenza di fondi per la ricerca scientifica e la necessità di attuare politiche di resilienza porta la necessità di affrontare la tematica del trasferimento delle conoscenze scientifiche e tecnologiche. Per uno sviluppo sostenibile servono le conoscenze per la gestione di dati e modelli, bisogna avere le tecnologie per le energie rinnovabili, l’efficienza energetica, l’economia circolare, la gestione del rischio, ecc. che i Paesi in via di sviluppo non hanno ma di cui c’è particolarmente bisogno.

In quest’ottica l’Unione Europea e i suoi Stati membri si sono resi disponibili alla condivisione delle loro conoscenze scientifiche e tecniche a favore della transizione. Affinché questa sia effettiva serve collaborazione tra scienziati, politici ed economisti di tutto il mondo. All’inizio della seconda settimana di negoziati, le tematiche presenti sul tavolo rimangono quindi ancora molte, e i punti negoziali più salienti risultano ancora da risolvere. Solamente alla fine di queste due settimane spagnole ci sarà modo di tirare un bilancio su cosa si sia effettivamente raggiunto.

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