12
Nov

GIRO DI BOA DI UNA COP IMPREVEDIBILE

Si è chiusa la prima settimana di negoziati alla COP27. Ed è successo di tutto.

Come tanti, prima di partire per l’Egitto avevamo l’impressione che si sarebbe trattato di una COP “scarica”, lenta, sicuramente non storica. Doveva essere la COP dell’aggiornamento delle promesse nazionali al rialzo, ma sapevamo già che non era aria. Doveva essere la COP dell’adattamento, e già a Glasgow si era trovato l’accordo per il raddoppio dei fondi. Una COP “di passaggio”, dicevano molti. 

Poi tutto è cambiato.

A giugno, ai negoziati intermedi di Bonn, avevamo visto i Paesi in via di sviluppo coalizzarsi, d’un tratto, contro l’inutilità dei Dialoghi di Glasgow su perdite e danni (lanciati a COP26 come un contentino dopo l’eliminazione dal tavolo della possibilità di creare strumenti finanziari appositi sul tema, come già esistono per mitigazione e adattamento) e chiedere con forza un accordo su strumenti finanziari – soldi, non chiacchiere – proprio su perdite e danni a COP27. Una mossa per uscire dalla frustrazione, ma di scarsa prospettiva concreta, forse. Eppure anche, come ICN, ci abbiamo creduto, e come membri del consorzio europeo Spark! abbiamo lanciato noi stessi una campagna di raccolta firme e feedback su perdite e danni in Italia, mentre i nostri partner europei facevano lo stesso da Lisbona a Vilnius.

La mossa egiziana, in nome dell’Africa

Nella plenaria d’apertura della COP27 il Presidente della COP, il Ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry, ha comunicato che il punto negoziale sul finanziamento di perdite e danni era in agenda, sarebbe rimasto in agenda e che la Presidenza si aspetta una decisione formale entro COP29, a fine 2024. Una bomba. Ma anche una prova di leadership degli egiziani, che devono consolidare un certo ruolo nell’Unione Africana. 

Dentro le COP si decide per assenza di contrari, di fatto per unanimità senza voto. Si dice che si decide “per consenso”. Le decisioni annunciate da Shoukry sono quindi state precedute, sicuramente, da lunghi negoziati lontano dalle telecamere con i Paesi storicamente contrari alla trattazione di perdite e danni come tema finanziario: su tutti, gli Stati Uniti d’America. Avere il tema sul tavolo per la prima volta dopo trent’anni significa che gli USA hanno aperto a questa possibilità, o che perlomeno hanno concesso di non opporsi formalmente. Non l’hanno fatto. Difficile forse muoversi diversamente in un contesto internazionale incerto e instabile, con le difficili elezioni midterm a cavallo della COP e almeno cento Paesi in via di sviluppo fuori dalla porta in attesa di una dichiarazione di un certo tipo.

Ordini di scuderia

Quello che colpisce davvero è la compattezza del fronte Sud del mondo. Figlio, con tutta evidenza, oltre che delle disastrose vicende pakistane e del diffuso senso di frustrazione di quei Paesi, di un lungo lavoro diplomatico ordito da cinesi, indiani e rappresentanti di alcuni Stati di peso africani negli ultimi mesi. I Paesi in via di sviluppo prendono la parola in sala per brevi interventi in cui tutti usano lo stesso linguaggio, propongono gli stessi obiettivi, si muovono coordinati.

Nella sessione su perdite e danni di sabato si è vista con chiarezza la presenza di ordini di scuderia: alla domanda del facilitatore della seduta di esprimere proposte in merito a come procedere nei lavori dopo i primi round conoscitivi, tutti – sottolineiamo tutti – i delegati dei gruppi del Sud hanno presentato lo stesso cronoprogramma, con lievi ma ininfluenti divergenze.

  • Decisione politica in merito all’istituzione di uno strumento finanziario da mettere nero su bianco subito, a COP27;
  • Un anno o due di lavoro duro sulla definizione più dettagliata possibile di bisogni e risorse, da affidare ad un gruppo internazionale di esperti convocati ad hoc, che relazionerà ai Paesi;
  • Lancio ufficiale dello strumento finanziario a COP29.

A fronte delle rimostranze di Stati Uniti e Svizzera, che vedono una simile forzatura come fumo negli occhi, ha risposto il delegato cinese: “questo sembra essere il tema in agenda [di tutta la COP, ndr] sul quale troviamo maggior convergenza, dovremmo lavorare conseguentemente”. In poche parole, trasformare quella proposta di tempistiche in una bozza di testo negoziale da inviare ai Ministri, che arriveranno la prossima settimana. La vicenda si sta polarizzando: da un lato i cinesi a capo del Sud del mondo post-coloniale, dall’altro gli Stati Uniti. Praticamente da soli.

L’Unione Europea apre sulla roadmap e “spacchetta”

In un bilaterale tra membri di Climate Action Network e la delegazione dell’Unione Europea, che si è svolto venerdì, la nostra volontaria Teresa Giuffré aveva chiesto ai capi delegazione quale fosse la posizione europea in merito alla possibilità di prendere una decisione già a COP27. Le era stato risposto che non si vedevano ancora le condizioni per una decisione in questa COP, stanti i tanti gap in termini di informazioni e definizioni propedeutici all’imbarcarsi in una nuova avventura finanziaria globale.

Nella mattinata di sabato la nostra volontaria Aurora Audino ha posto una domanda simile alla stessa delegazione a nome del gruppo dei giovani nella UNFCCC, YOUNGO. Aurora ha chiesto alla delegazione europea quale fosse la loro posizione in merito a fondi per prevenire disastri (adattamento, ex ante) e fondi per supportare nell’emergenza (ex post), premesso che gli Stati Uniti avevano cercato di portare questo punto giorni prima parlando di “adattamento trasformativo”, con grande indignazione dei paesi che subiscono già quei disastri annualmente. La risposta è stata che l’UE non vede grande differenza, sono entrambi approcci di supporto. Similmente a quanto detto il giorno prima, in termini generali.

Nella sessione negoziale del pomeriggio, però, messa alle strette dalla necessità di esprimersi sulla roadmapl’UE ha poi aperto a una decisione politica “da prendersi a COP27 per dare un segnale importante”, partendo proprio dalla roadmap

Uno spacchettamento del tema, uno spacchettamento del fronte occidentale? Con incursioni incontrollate, come quella della Danimarca, che ha ribadito l’impegno preso già alcune settimane fa di investire in fondi a compensazione di perdite e danni di tipo non assicurativo. Non proprio lo scenario immaginato da Biden.

In ballo c’è molto di più

Sulla differenza tra strumenti di tipo assicurativo come lo Scudo Globale proposto dai tedeschi e sostenuto come unica strategia da Biden – ne abbiamo parlato qui – e fondi compensativi, per dire all’italiana “a fondo perduto”, si gioca una partita che va ben oltre COP27

Se cinesi, indiani e G77 riuscissero a portare i Paesi ricchi sulla strada quantomeno di una complementarità di strumenti – decidendo di lanciare nel 2024 un meccanismo ombrello comprensivo sia di strumenti assicurativi che di fondi per compensazioni su contribuzione volontaria e sulla base delle responsabilità storiche, per esempio – assisteremmo alla scrittura di una pagina del tutto nuova nelle relazioni internazionali e del sistema Nazioni Unite. 

L’Occidente non ha mai davvero fatto i conti con la sua storia di sfruttamento, colonialismo, invasione discrezionale ed estrattiva del resto del mondo. Il blitz dei Paesi del Sud del mondo a questa COP27 si innesta sulla momentanea carenza di leadership di un Occidente debole e preoccupato per le bollette invernali, impegnato nel costoso sostegno all’Ucraina nella sua difesa nazionale, e corroso da fluttuanti dinamiche politiche interne.E punta a cambiare le regole: se il risultato di questa COP fosse anche solamente il mettere nero su bianco un percorso teso alla creazione di un meccanismo anche solo parzialmente compensativo, entreremmo in un futuro non immaginabile sei mesi fa.

Manca una settimana e i Ministri non sono neanche atterrati a Sharm el-Sheikh. Martedì o mercoledì Joe Biden e Xi Jin Ping si incontreranno a Bali in occasione del G20 e sul piatto ci sarà anche questa partita. Oltre a Taiwan, alla guerra in Ucraina, alle vicende commerciali e doganali. 

Una COP nata apparentemente monca e priva di obiettivi reali rischia ora di entrare nella storia. Giorno dopo giorno è però sempre più chiaro che quel cambiamento passerà forse da una stretta di mano a Bali, memori di un’altra stretta di mano nello Studio Ovale nel settembre 2015, che portò all’adozione dell’Accordo di Parigi.

Pausa.

Ora un giorno di pausa, anche per i delegati. A lunedì.

Articolo a cura di Jacopo Bencini, Policy Advisor e UNFCCC Contact Point

[Nella prima settimana di COP27 è successo anche altro: si è parlato di finanza per il clima, riferimenti puntuali di Diritti umani sono stati inseriti nel testo negoziale del filone ACE, c’è stata più bagarre del solito nei negoziati sui mercati di carbonio sotto l’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi, ha parlato Giorgia Meloni e molti eventi collaterali hanno contribuito a preparare il clima – di tutto questo abbiamo parlato nel nostro Bollettino COP27 quotidiano da Sharm el-Sheikh grazie all’incredibile lavoro del nostro team, supportato da volontari da casa]

Foto di copertina: primo piano del delegato di Antigua e Barbuda, Michai Robertson, in questi giorni primo portavoce della linea dei Paesi del Sud del mondo su perdite e danni, durante una sessione negoziale

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