GLOBAL STOCKTAKE, IL DIALOGO UAE DERAGLIA A BONN
Quella di mercoledì avrebbe dovuto essere una chiusura di routine per il tavolo negoziale sul Dialogo degli Emirati Arabi Uniti, il meccanismo incaricato di seguire (sotto il capitolo Finanza) gli esiti del primo Global Stocktake, ma si è trasformata in un’estenuante battaglia procedurale che ha reso impossibile trovare un accordo sulle modalità di lavoro. Nel giro di dodici ore le delegazioni sono passate da un cauto ottimismo mattutino a una paralisi serale, con la prospettiva di arrivare alla COP30 di Belém con un dossier ancora “aperto a tutte le opzioni”.
Mercoledì mattina un testo “minimalista” illude sul compromesso
Alle 11:00 i co-facilitatori hanno diffuso la terza bozza. Conteneva paragrafi già pesantemente “ingabbiati” tra parentesi, tra cui due alternative sul campo d’azione: da un lato chi voleva limitare il dialogo alla finanza pubblica, dall’altro chi premeva per estenderlo a capacità, tecnologia e riequilibrio dei flussi finanziari. Sul piano temporale, si oscillava tra un triennio 2026-28 e una chiusura già nel 2026 con un unico workshop. Inoltre, nessun riferimento a decisioni politiche di follow-up, per tranquillizzare i Paesi che temono un “mini-Stocktake” annuale.
Molte delegazioni, tra cui spiccano Australia, Unione europea e AOSIS, hanno giudicato la sintesi “accettabile come base di partenza”, pur segnalando carenze di punti che avrebbero voluto vedere aggiunti. Gli europei reclamavano più spazio per energia e foreste, mentre gli LMDC lamentavano l’assenza di un richiamo netto all’art. 9.1 dell’Accordo di Parigi e alle unilateral trade measures (UTM), considerate “dis-abilitanti” (disabler).
Nel pomeriggio la quarta bozza infiamma la sala
Alle 15:00 è stata resa pubblica una quarta versione, arricchita di nuove opzioni pescate dagli interventi precedenti. Sette sottoparagrafi sullo scope sono stati giudicati “sbilanciati” da molte Parti in via di sviluppo: al pacchetto finanza e metodi di implementazione sono stati affiancati riferimenti a transizione energetica, allineamento dei flussi privati, foreste e natura. Il passaggio sulle misure commerciali è stato reinserito, ma solo come “esempio” di dis-abilitatore: troppo poco per LMDC e Gruppo Arabo, troppo per Giappone ed UE che considerano il tema di competenza dell’organizzazione internazionale del commercio. Inoltre, è stata introdotta l’ipotesi di una ministeriale annuale di alto livello, invisa a India, Cina e Sudafrica, timorose che trasformare il dialogo in un foro politico fissi un precedente per un meccanismo di pressione.
Il testo, più lungo e denso, ha galvanizzato gli oppositori: Arabia Saudita (LMDC) e India hanno denunciato la “riapertura incontrollata” del cantiere, accusando alcuni partner di voler riscrivere il mandato finanziario deciso a Dubai.
La spirale procedurale
Il conflitto si è spostato rapidamente dalla sostanza alla forma. La bozza mattutina era stata presentata come “ultima”, ma l’arrivo della nuova versione ha fatto esplodere proteste: se si riapre per qualcuno, allora si riapre per tutti. Per attenuare lo scontro, i co-facilitatori hanno messo tra parentesi quadre l’intero testo, ma ciò ha spinto alcune delegazioni – tra cui l’UE e la Svizzera – ad aggiungere altre opzioni per non restare scoperte. Il risultato: un documento-matrioska che nessuno riesce più a domare.
Nell’ultima ora la discussione si è ridotta a una scelta di metodo: inoltrare una sola bozza (quella pomeridiana), inoltrarle entrambe, oppure far scattare la Rule 16 – il rinvio automatico alla plenaria della COP successiva senza avanzamenti formali. Nessuna formula ha raccolto consenso unanime: la Cina teme che due testi moltiplichino la confusione, LDC e AILAC rifiutano l’ipotesi di assenza di testo, mentre Arabia Saudita chiede di scrivere un report “neutro”.
Alla fine, i co-facilitatori hanno annunciato che riferiranno la situazione al presidente dell’SBI, elencando le quattro opzioni emerse: testo A, testo B, testo unificato o sospensione completa. Un caso da manuale di stallo multilaterale.
La conclusione si è raggiunta poche ore prima della plenaria di chiusura dei negoziati: è stata preparata una bozza che unisce le due versioni del giorno prima, ma che è solo un piccolo punto di partenza per la discussione a Belém, senza mettere nessun punto fisso.
Gli esiti di una giornata mancata
Il Dialogo UAE resta privo di mandato operativo condiviso; l’avvio a Belém è in forse. Le fratture sulla finanza climatica si allargano, proprio mentre molti Paesi fanno affidamento sul dispositivo per tradurre in progetti concreti gli esiti del GST-1. La presidenza brasiliana si troverà alla COP30 un dossier esplosivo, con il rischio di ripetere il “limbo” di Baku se non emergerà una strategia di mediazione credibile.
Insomma, Bonn ha confermato che il confronto sulla finanza è tutt’altro che concluso a COP29: è un braccio di ferro politico su chi paga, come e con quali condizioni. E finché la domanda resterà senza risposta condivisa, il Dialogo UAE rischierà di essere il simbolo – più che uno degli strumenti – dell’impasse climatica globale.
Articolo a cura di Anna Pelicci, capa delegazione di Italian Climate Network ai negoziati intermedi di Bonn.
Immagine di copertina: foto di Rafa Neddermeyer/COP30 Brasil Amazônia/PR