UN “BLOCCO SISTEMATICO” AI FINANZIAMENTI SUL CLIMA?
- Stallo sui finanziamenti – Paesi sviluppati bloccano discussioni obbligatorie sull’Articolo 9.1 dell’Accordo di Parigi per evitare impegni vincolanti sulla finanza climatica.
- Impatto spese militari – Aumento budget NATO al 5% del PIL sottrae risorse alla lotta climatica, influenzando negativamente i negoziati economici.
- False soluzioni in crescita – Carbon market e geoingegneria privatizzano risorse naturali senza ridurre emissioni, mantenendo profitti delle élite estrattive.
Nell’ultimo giorno dei negoziati intermedi verso la COP30 le preoccupazioni della società civile in merito all’andamento dei lavori, e soprattutto alle strategie dei Paesi sviluppati, hanno trovato spazio in una conferenza stampa organizzata dalla Global Campaign to Demand Climate Justice (DCJ).
L’evento è iniziato con una critica generale e condivisa da tutto il tavolo dei relatori e delle relatrici: “quello che stiamo vedendo è la versione moderna della solita politica statunitense finalizzata a proteggere il potere e il profitto”, hanno detto, mettendo sotto accusa anche Regno Unito, Unione Europea e altri Paesi del cosiddetto Nord Globale che in questi giorni “stanno prevenendo qualsiasi tipo di evoluzione positiva o di azione climatica significativa per continuare in direzione al COP30”*.
La prima relatrice a prendere la parola è stata Meena Raman, rappresentante del Third World Network, che ha avvertito:“Quello che vedete in queste due settimane in Bonn è l’anteprima delle grandi battaglie di Belém”. L’attivista ha poi spiegato che “il processo che si è svolto qui serve solo per assicurare che le visioni delle Parti opposte siano riportate in un testo da fornire a Belém per proseguire più negoziazioni”.
Secondo Raman, uno degli scontri più accesi e importanti è quello sull’Articolo 9.1 dell’Accordo di Parigi, uno dei punti che nei primi due giorni dei negoziati ha tenuto in stallo l’adozione dell’agenda. “La discussione sull’articolo 9.1 è chiaramente un passo obbligatorio e i Paesi sviluppati continuano a opporsi agli item dell’agenda”
Secondo Raman è fondamentale anche la discussione sull’adattamento: “uno dei principali punti è l’indicatore sui modi di esercitarsi all’adattamento e resta bloccata anche la discussione sull’impiego dei fondi nazionali per tale scopo”. Queste due settimane hanno fatto registrare pochi passi avanti anche sugli altri principali filoni negoziali: “a Belém ritroveremo tutto ciò che non è stato risolto” qui, ricorda l’attivista.
I riflettori sono poi stati accesi su quello che è stato definito “l’elefante nella stanza” da Victor Menotti, della Global Campaign to Demand Climate Justice: l’impatto dell’amministrazione Trump e della NATO sull’azione per il clima.
“Tutti i membri della NATO tranne la Spagna hanno promesso di spendere il 5% del loro prodotto interno lordo sulle armi, sulla guerra”, ha ricordato. “Questo, ovviamente, ha un impatto in ogni negoziato che riguarda la finanza”.
Dylan Hamilton, attivista dell’Alliance of Non Governmental Radical Youth, ha focalizzato il suo intervento sui rischi legati di quelle che descrive come “false soluzioni”, che sottraggono tempo e risorse alle misure davvero efficaci, e già a portata di mano, per contrastare la crisi climatica. “Nelle diverse negoziazioni abbiamo visto un vasto numero di soluzioni false e tecnologie illusorie che ci permettono di continuare con le nostre azioni in modo da non fare niente” ha spiegato. L’attivista ha evidenziato anche le criticità dei mercati di carbonio: “invece di tagliare le emissioni alla fonte, i Paesi continuano ad agire guardare a schemi che privatizzano le nostre terre, la nostra acqua e le nostre foreste, consegnandoli a élite che estraggono sempre più risorse”.
Le relatrici e i relatori hanno concordato su alcune richieste concrete su cui lavorare verso la COP30, e poi anche a Belém, dopo questi negoziati di Bonn che hanno sintetizzato nell’espressione di “blocco sistematico”. Ovvero: i Paesi sviluppati stanno sistematicamente bloccando le discussioni sui finanziamenti climatici obbligatori.
Articolo a cura di Marta Abbà, delegata di Italian Climate Network ai negoziati intermedi di Bonn.
Immagine di copertina: UNFCCC