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Giu

MITIGATION WORK PROGRAMME: “FRUSTRAZIONE”

Ai negoziati intermedi di Bonn si discute anche di come far avanzare il Programma di Lavoro sulla Mitigazione (Mitigation Work Programme, MWP) lanciato a Sharm el-Sheikh un anno e mezzo fa per spingere l’ambizione sulla riduzione delle emissioni dopo il fallimento del mancato aggiornamento dei piani nazionali sul clima (NDC) da Glasgow in poi. I lavori del MWP sono di particolare rilevanza per il processo negoziale perché rappresentano, in modo complementare e sinergico con i processi di aggiornamento degli NDC (ogni 5 anni) e del Global Stocktake (ogni 5 anni, due prima degli NDC), quella che di fatto è l’unica occasione per discutere in maniera continuativa di mitigazione, il grande assente degli ultimi due anni di negoziati. Ma come procedono questi lavori, di cosa si parla?

Secondo il mandato ricevuto tramite il paragrafo 27 della decisione finale della COP di Sharm el-Sheikh, il Programma di Lavoro è stato creato per “aumentare la scala dell’ambizione e dell’implementazione (di politiche) sulla mitigazione in questo decennio cruciale” [..] “in modo da risultare complementare al processo del Global Stocktake”. Nella successiva COP di Dubai il mandato è stato definito con maggior chiarezza, indicando che il Programma di Lavoro avrebbe dovuto proseguire nel suo lavoro fino a tutto il 2026, con almeno due eventi all’anno nella forma di “dialoghi” tra i Paesi per condividere idee e buone pratiche per spingere verso una rapida riduzione delle emissioni climalteranti.

La forte polarizzazione politica cui si è assistito negli ultimi tre anni nei negoziati sul clima ha portato a una grande attenzione, mediatica e politica, sulle legittime richieste dei Paesi in via di sviluppo in merito alla necessità di ricevere aiuti e supporto tramite impegni seri in finanza climatica dopo anni di promesse mancate da parte dei grandi emettitori storici.
Questa attenzione alla finanza per il clima, tema sul quale ogni possibile progresso è divenuto conditio sine qua non per qualsiasi altro dibattito o negoziato su altri tavoli, ha marginalizzato – complice il complicatissimo scenario geopolitico ed energetico da febbraio 2022 in poi – il tema-chiave della riduzione delle emissioni climalteranti sotto l’Accordo di Parigi, relegata appunto agli altri due filoni: il Global Stocktake (in termini retrospettivi e dando indicazioni per il futuro) e l’aggiornamento degli NDCs (in termini di obiettivi nazionali).
Il Global Stocktake, tuttavia, viene appunto discusso ed elaborato ogni 5 anni, gli NDC con uguale ciclo di aggiornamento ma redatti nei singoli Ministeri, fuori dalle sale negoziali, lontano dal dibattito internazionale. Cosa fanno dunque i Paesi per “aumentare la scala dell’ambizione” durante i negoziati ordinari?

“Frustrazione”

Frustrazione è la parola scelta da un negoziatore europeo esperto, con cui abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata martedì prima della sessione negoziale, che abbiamo poi seguito per intero. Il lavoro del MWP non sta andando avanti e molti Paesi sono esplicitamente riluttanti rispetto a ogni proposta di andare oltre vaghi “dialoghi” e scambio di buone pratiche, proposte a loro dire estranee al mandato ricevuto con la decisione di Sharm el-Sheikh. Si ripete insomma uno schema già visto negli scorsi anni, per il quale ogni tentativo (europeo) di spingere in avanti l’ambizione globale verso nuovi obiettivi sulle emissioni incontra un muro politico di fattura cinese ed arabo. Non a caso a ostacolare l’allargamento e potenziamento del processo sono infatti principalmente le delegazioni di Pechino, restia a farsi dettare condizioni da Bruxelles e alleati, e Riad, che vede in un negoziato volto al superamento del mandato letterale di COP27 un’ulteriore minaccia al proprio export, soprattutto dopo il “transition away” mal ingoiato a Dubai.

Il gruppo negoziale AILAC, l’alleanza dei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, tramite la delegazione dell’Honduras ha chiarito che sarebbe invece necessario intendere quella “complementarità” evocata dalla decisione di COP27 secondo una lettura espansiva, collegando il lavoro del MWP proprio ai risultati del primo Global Stocktake (che ha dato indicazioni abbastanza chiare ai Paesi, ad esempio la necessità dell’uscita dai fossili nei prossimi anni) ed alla redazione, quindi, dei nuovi NDC.
Totalmente opposta la visione dei sauditi, che per processo “complementare” intendono un lavoro parallelo, non sovrapposto né troppo collegato, semplicemente confinato nel mandato originario.

“Una pagina bianca”

“Non possiamo presentarci a Baku con in mano una pagina bianca”, ha dichiarato la delegata dello stato di Samoa. In che senso? Ad oggi, a un soffio dalla fine del negoziato su questo tema (mercoledì si terrà infatti l’ultima riunione prima di Baku), non c’è alcun consenso su come chiudere la sessione. I co-facilitatori del Programma di Lavoro lunedì hanno proposto di redigere una bozza di “nota informale” nella quale registrare le posizioni di tutti i Paesi per come espresse in queste due settimane di lavoro. Questa proposta ha trovato la ferma opposizione di Cina, Arabia Saudita, Russia, Kuwait, Egitto, Qatar, Sud Africa, che chiedono invece di chiudere il negoziato con, al massimo, una “nota procedurale” che rimandi appunto alla discussione su come leggere il mandato originale del MWP. La discussione in sala è stata decisamente calda, con interventi molto accorati da parte di Samoa, Isole Cook e Gambia, che auspicavano forti passi avanti a Bonn alla luce della crescente urgenza di un migliore lavoro, pianificazione e politiche sulla riduzione delle emissioni a livello globale.
Alcuni delegati (Honduras, Svizzera) hanno addirittura chiesto sessioni di lavoro aggiuntive nei prossimi mesi, ulteriori intermedi da farsi anche da remoto, pur di mandare avanti il lavoro. Sul finale ha poi raggelato la sala l’intervento del delegato del Kuwait che, rispondendo proprio al Gambia, ha detto che “l’urgenza (climatica) non può certo imporci nuovi obiettivi”. Nelle parole più composte del delegato del Sud Africa, “l’MWP non è la panacea dell’azione climatica, trattiamo già il problema delle emissioni tramite gli NDC”.

Scuse procedurali

È evidente che sulla mitigazione potrebbe non arrivare alcun passo avanti senza, in parallelo, sviluppi soddisfacenti sui tavoli che trattano di finanza climatica.
La discussione in sala in merito al rimandare la discussione a Baku con una nota informale oppure con una nota procedurale rispecchia la volontà da parte di molti Paesi in via di sviluppo, in particolare dei grandi emettitori ed esportatori di petrolio e gas, di perdere tempo e non fare niente più del minimo dovuto. Il timore, per questi Paesi, è che dal processo partecipativo del MWP possano emergere proposte di decisione formale per la prossima COP, magari inclusive di nuovi obiettivi: un’ ipotesi a loro dire da scongiurare ed estranea, appunto, al mandato ricevuto e semmai da analizzare a livello nazionale tramite gli NDC.

Da Parigi al do ut des

Lo spirito sotto il quale fu battezzato l’Accordo di Parigi ormai nove anni fa era quello di una nuova collaborazione allargata di tutti i Paesi nello sforzo per il clima, dal basso, indipendentemente dalle condizioni economiche e sociali di partenza, e comunque secondo il principio inviolabile delle responsabilità storiche di ognuno.
A quasi un decennio da Parigi si assiste oggi (a dire il vero, dalla plenaria di chiusura di Glasgow nel 2021) a quello che molti vedono come un passo indietro nella qualità dei rapporti multilaterali, con il ritorno delle divisioni pre-Parigi tra Paesi ricchi e poveri nelle discussioni, vista la cronica fallibilità degli sforzi occidentali di garantire quanto promesso al resto del mondo in termini di supporti finanziari, e la conseguente risposta in termini di ostruzionismo su ogni altro tema. 

A metà strada tra le giuste e condivise ragioni della maggioranza dei Paesi in via di sviluppo che chiedono sostegno finanziario e in termini di know-how ed una certa e ambiziosa rigidità occidentale nel (tentare di) chiedere maggiore ambizione e trasparenza per tutti, un piccolo ma agguerrito gruppo di Paesi affezionati ai loro settori oil&gas che sfruttano l’appartenenza formale al mondo in via di sviluppo per condizionare il negoziato secondo criteri geopoliticamente opinabili e allontanandolo dall’obiettivo di Parigi. Funamboli delle fossili in equilibrio al centro della bilancia, tra do e des.

I co-facilitatori del MWP invieranno una bozza di nota informale ai delegati mercoledì, per valutarla per eventuale adozione nell’ultima ora utile di lavoro, scenario quantomai improbabile visto il clima in sala.

A cura di Jacopo Bencini, Advisor Politiche Europee e Multilaterali sul Clima

Immagine di copertina: foto di Jacopo Bencini

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