12
Dic

Le foreste per il clima: dalle potenzialità alla mala gestione

di Anna Laura Rassu

Purtroppo non ci si può illudere che siano l’unica soluzione al cambiamento climatico, ma è indubbio che le foreste siano da sempre il metodo più naturale per assorbire l’anidride carbonica. Secondo l’IPCC la cattura di CO2 tramite sistemi agroforestali oggi è in grado di ricoprire il 25% degli obiettivi di riduzione delle emissioni di ogni paese (la diminuzione graduale ma ineluttabile dell’utilizzo di combustibili fossili rimane un fattore imprescindibile).

Ma non sempre è stato così: nel testo del Protocollo di Kyoto le foreste non vengono nemmeno prese in considerazione come fattore in grado di limitare l’effetto serra. Il motivo risiede nella difficoltà di quantificare con precisione quanto carbonio viene catturato con la fotosintesi. Nell’articolo 5 dell’ Accordo di Parigi però vengono esplicitamente citate. E per fortuna, sarebbe assurdo in effetti non tenerne conto, prima di tutto perché, per citare Małgorzata Golińska, segretario di stato e membro del gabinetto del ministero dell’ambiente polacco “immaginare un mondo senza foreste è impossibile” ma anche perché la deforestazione, che avanza di un’area grande 2 volte l’Olanda ogni anno, è responsabile del 10% delle emissioni antropiche a livello globale.

Per poter però far sì che il settore agroforestale entri a fare parte dei contributi volontari nazionali, o NDCs, serve un metodo per poter quantificare il contributo che questo dà, in ogni paese, all’abbattimento delle emissioni in modo trasparente e comparabile. Ciò che va misurato è la quantità di carbonio che viene sottratta all’atmosfera, dove si trova sotto forma di CO2, e immagazzinata nei tessuti vegetali, ovvero le cosiddette “emissioni negative”

Per ora i metodi possibili per una stima (indiretta) sono ancora in fase di sperimentazione, ma si affidano essenzialmente a due metodi: stima della biomassa e telerilevamento.

Stimare la biomassa vuol dire fare un campionamento sugli alberi e avere un’idea del volume totale del legno (il rapporto speciale dell’IPCC fornisce anche un valore diverso di potere accumulante per ogni diversa specie, pino e betulla quelli col valore più alto)

Il telerilevamento invece viene effettuato dallo spazio: sia l’ESA che la NASA hanno programmi specifici che attraverso lo spettro della radiazione proveniente dalla Terra riescono a quantificare  la fotosintesi insieme alle altre variabili come la temperatura e l’ammontare delle emissioni, in tutto il mondo.

Non bisogna dimenticare però che le foreste sono in grado di svolgere questo importante compito solo se ben curate: una foresta abbandonata a se stessa o gestita in modo non sostenibile può causare più emissioni di quante riesca a mitigarne: attraverso gli incendi o la semplice degradazione di alberi ed organismi morti

Per questo la Polonia, paese ospitante della COP24, ha rinominato con orgoglio il 7 dicembre “la giornata delle foreste”. Dopo aver dichiarato di non voler rinunciare all’uso del carbone per la produzione elettrica ha anche annunciato di volere prendere impegni implementando e curando le foreste del suolo nazionale. In effetti la Lasy Państwowea, la grande foresta di stato che ricopre (insieme alle altre foreste polacche) il 30% del territorio  è cresciuta di 2.5 milioni di ettari ogni anno, da dopo la seconda guerra mondiale. Il suo scopo non si limita alla lotta al cambiamento climatico: con essa fioriscono anche il turismo e l’industria del legno, tanto che, come sottolinea Golińska, la Lasy Państwowea non ha bisogno di essere finanziata con le tasse, si mantiene con i propri introiti. La presidenza polacca intende inoltre lanciare anche la dichiarazione “Forest for Climate” un’iniziativa volta a dare al tema della forestazione un ruolo più importante all’interno del negoziato.

Un progetto simile a quello polacco quello dei paesi nordici: Svezia, Finlandia, Norvegia e Danimarca, da sempre molto boscose, affidano i propri contributi nazionali alla cura e alla crescita forestale (accompagnate però da un graduale passaggio alle energie rinnovabili); e quello di Georgia e Lituania, che però pur avendo una grande superficie forestale (che ricopre ben il 40% del territorio georgiano) lamentano una carenza di dati disponibili riguardo alla raccolta di legname.

Anche il caso delle foreste italiane è piuttosto fumoso. In Italia è quasi impossibile per l’Istat calcolare la biomassa forestale a causa dello scarso controllo sulla raccolta di legna: sotto i tre ettari si può tagliare senza comunicarlo allo stato (per la precisione il limite varia da regione a regione) ed è altissima la raccolta illegale, tanto che è ben il 50% quella che può sfuggire ai controlli.

Se in Europa le distese forestali aumentano, nel mondo diminuiscono; ma ci sono casi di progetti ben strutturati che puntano alla riforestazione di zone aride in paesi in via di sviluppo. E’ il caso della Green Hearth Foundation che ha lanciato il suo progetto: “African and Polish Forests: a way to make the world greener” in cui esperti agronomi polacchi hanno offerto la propria professionalità per piantare, proprio nel cuore del Sahel (striscia subsahariana ad alto rischio di desertificazione) alberi di acacia, in grado di produrre gomma arabica; e dell’amministrazione della contea di Makueni, in Kenia, che ha avviato un programma con alberi da frutto (arance, avocado, meloni, mango).

In entrambi i casi non è solo necessario  piantare: le specie devono essere adatte alle condizioni climatiche e devono poter fornire prodotti utili alla società civile, che avrà così motivo di prendersene cura. Da ricordare anche REDD+, programma delle Nazioni Unite che costituisce uno strumento per investire in territori in via di sviluppo (anche ad alto rischio di disboscamento come il Brasile) in progetti di cura forestale e gestione sostenibile delle risorse naturali.

La riforestazione, sembra, deve sempre essere accompagnata dallo sviluppo dell’economia locale. Eppure prendersi cura dei boschi nell’ottica di una produzione commerciale può essere un pericolo per la biodiversità. Sono sempre meno le regioni “last of the wilds” in cui la foresta viene chiamata “Primaria”, ovvero mai invasa da insediamenti umani, che andrebbero protette molto più di quanto lo siano ora. Francesco Maria Sabatini, dell’Università di Berlino, ha effettuato uno studio per individuarle e studiarle in giro per il mondo. “Incredibilmente” dice “ce ne sono anche in Europa”, specialmente in Finlandia e sui Carpazi.

“In pochi però si preoccupano di quale saranno gli effetti del cambiamento climatico sulle foreste” dice Sandro Federici, esperto di agronomia forestale “se la temperatura globale dovesse salire di 4 gradi quelle italiane morirebbero, quasi sicuramente”.

Per l’Italia quindi è un altro elemento di rilievo che porta ad avvertire maggiormente l’importanza della finalizzazione del Paris Rulebook nel corso della conferenza di Katowice.

 

You are donating to : Italian Climate Network

How much would you like to donate?
€10 €20 €30
Would you like to make regular donations? I would like to make donation(s)
How many times would you like this to recur? (including this payment) *
Name *
Last Name *
Email *
Phone
Address
Additional Note
Loading...