05
Ago

Meteo estremo e scienza dell’attribuzione: quando è davvero colpa del cambiamento climatico?

Si evolve l“attribuzione climatica”: le previsioni meteo forniranno valutazioni immediate sull’influenza del riscaldamento globale sugli eventi estremi

L’ondata di calore dal Nord Europa fino all’Artico di queste settimane, non solo è anomala e attribuibile agli effetti del cambiamento climatico, ma c’è una probabilità molto alta che si ripeta a breve in altri luoghi del mondo. A sostenerlo sono i modellisti climatici della Università di Oxford guidati da Friederick Otto, vicedirettore del Environmental Change Institute.
Il report che descrive questi studi è stato pubblicato negli ultimi giorni sul sito della rivista Nature.

I dati di questa analisi, più allarmanti del solito, sono il risultato di un preciso obiettivo cercato dal team di Otto: stabilire in tempi brevi la correlazione tra cambiamento climatico e un singolo evento meteorologico, tramite lo sviluppo della cosiddetta scienza dell’attribuzione. Di solito, invece, si si raccolgono i dati relativi a più eventi meteo per un periodo relativamente lungo, in base a caratteristiche geografiche più ampie, per stabilirne la tendenza climatica.

Questo è il primo di una serie di studi “lampo”, che saranno offerti da una specifica piattaforma di informazione metereologica che dovrebbe partire a breve con un progetto di più ampio respiro – la notizia è stata lanciata inizialmente su World Weather Attribution. Anche il Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (ECMWF) a Reading, nel Regno Unito, si prepara a pilotare un programma simile entro il 2020 che cercherà di attribuire eventi climatici estremi, come ondate di calore o alluvioni, ai cambiamenti climatici indotti dall’uomo.

Si tratta di esempi di “scienza dell’attribuzione” (“attribution science”), in grado di discernere se a causare eventi estremi come uragani, bombe d’acqua, alluvioni, siccità, sia stata la mano dell’uomo con il riscaldamento globale o i naturali cicli del clima.
Individuare con precisione la causa, e per singolo evento, può contribuire di molto a prendere precauzioni velocemente oppure, in tempi più lunghi, per riprogettare adeguatamente le città del nostro futuro (non così lontano).

Questo processo richiede tuttavia di accorciare in modo inedito le prassi accademiche di conferma dei dati – ovvero tutti i passi che portano alla pubblicazione peer reviewd, insomma – a favore dell’informazione metereologica. Per questo, diversi esponenti del mondo scientifico storcono il naso all’idea, come del resto è successo negli ultimi mesi per un recente studio di attribuzione condotto proprio da Friederick Otto su un caso di siccità in Sud Africa, a Cape Town, ben documentato da Nature.
L’evento di siccità si è esaurito prima che lo studio di attribuzione potesse in realtà considerarsi concluso. Tuttavia, i dati sono stati praticamente molto utili per definire linee guida di intervento per l’approvvigionamento idrico di emergenza. Inoltre, la raccolta dati ha consentito di mettere a punto un database di 170 paper, relativi al periodo 2004-2018, dal quale è stato possibile analizzare e “attribuire” 190 altri casi di eventi estremi.
Solo il 29% di questi non è direttamente attribuibile a cause antropiche oppure i dati disponibili non hanno permesso agli scienziati di dare un giudizio. Si tratta di modelli di attribuzione non ancora perfetti.
Diversi studi del pacchetto monitorato, inoltre, soffrivano già in partenza di metodi che sono stati perfezionati successivamente. In generale, l’approccio della comunità scientifica è certamente più prudente, ma cresce la convinzione che questi nuovi studi di attribuzione siano essenziali per superare un metodo che ormai mal si presta a un clima in veloce e costante cambiamento.
L’istituzione di un’agenzia di questo tipo sarebbe di grande aiuto anche per risolvere diatribe legali circa le responsabilità per i danni e le mancate precauzione in caso di disastri ambientali come quelli studiati – uragani, inondazioni, siccità, appunto.
Insomma, un servizio simile darebbe una grossa spinta per imparare a essere più preparati a un’inevitabile resilienza climatica – accorciando le distanze tra il concetto di “clima” e tempo meteorologico” – con buona pace degli scienziati climatici più “ortodossi”.

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