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Mag

MOBILITÀ CLIMATICA E SALUTE MENTALE: CAUSE E SFIDE

I cambiamenti climatici hanno impatti molto diversi sulla vita delle persone anche in base alla latitudine in cui queste si trovano a vivere. Sono diverse centinaia di migliaia le persone costrette a spostarsi temporaneamente o in via permanente perché i luoghi abituali di residenza non sono ormai più vivibili

La trasformazione dei territori può essere di due tipologie. Da una parte, troviamo i fenomeni lenti (slow on-set processes) come le desertificazioni o le salificazioni delle coste, ossia trasformazioni in atto da decenni che hanno gradualmente trasformato gli ecosistemi. Dall’altra, ci sono i fenomeni repentini (sudden on-set processes) come le inondazioni, ovvero fenomeni molto rapidi e molto violenti, scarsamente prevedibili, che distruggono in poche ore interi villaggi o coltivazioni. 

Entrambi i fenomeni danno origine o contribuiscono al movimento incontrollato di migliaia persone. Questa mobilità è gravida di conseguenze e sono molti i fattori che bisogna analizzare per quanto riguarda sia le cause che le conseguenze di tale fenomeno.

Le cause

E’ difficile individuare il cambiamento climatico come unico fattore responsabile della migrazione in uno specifico territorio, soprattutto se parliamo di un processo lento come una desertificazione. Tali situazioni sono in atto oggi in diversi luoghi del mondo come l’Africa Sub Sahariana e l’Asia Centrale. In questi territori le attività umane di produzione alimentare diventano difficili, quasi impossibili. L’impatto sulle comunità è devastante: non soltanto cresce l’insicurezza alimentare, ma anche la disoccupazione e le tensioni sociali sia interne che esterne alle comunità. In questi luoghi il cambiamento climatico agisce da threat multiplier, aumenta cioè gli elementi di rischio già endemicamente presenti. 

In altre zone, dove i fenomeni violenti ed improvvisi sono ormai frequenti, in America Centrale o in Asia nelle zone del Bangladesh e del Pakistan, si verificano delle migrazioni stagionali di interi villaggi che, col passare degli anni e con l’acuirsi del fenomeno, vanno sempre più trasformandosi in migrazioni permanenti, che però finiscono con il sovraccaricare città già al limite (Dakha ad esempio) esacerbando problematiche sociali già presenti. In questo caso il cambiamento climatico agisce da stressor su fattori latenti che fanno esplodere le emergenze.

Le conseguenze

È difficile quantificare le migrazioni avvenute per questioni climatiche e soprattutto farne delle previsioni. Quelle fatte già negli scorsi decenni, catastrofiche, che quantificavano in decine di milioni le persone che entro il 2050 sarebbero state costrette a spostarsi, hanno dimostrato di non aver avuto l’effetto sperato; ossia quello di porre l’attenzione di summit, forum e governi sulla questione climatica. 

Al di là dei numeri, ci sono questioni contingenti da risolvere come quelle legali, ad esempio. Le migrazioni climatiche producono per la maggior parte IDPs ossia, Internal Displaced Persons, sfollati che rimangono all’interno del proprio Paese o che travalicano frontiere vicine, spesso mandando al collasso i deboli sistemi di supporto dei paesi confinanti o sovraccaricando gli stessi sistemi nazioni. Inoltre, dal punto di vista della protezione internazionale, gli IDPs hanno poche garanzie non essendo dei rifugiati veri e propri. La Convenzione dei Rifugiati del 1951, pietra miliare della protezione internazionale,  non riconosce le cause ambientali come motivazioni per essere definito “rifugiato” e ad oggi bisogna sottolineare la ritrosia degli Stati sia nel modificare la Convenzione per includere questi soggetti sia nel creare la categoria degli “environmental refugees”. Molti Paesi si sono espressi anche contro la creazione di visti temporanei speciali da usare nel periodo attuale in attesa dell’adeguamento del diritto internazionale. 

Insomma, anche dal punto di vista della mobilità i cambiamenti climatici hanno già creato e creeranno delle sfide che, per il momento, né la comunità internazionale né i singoli Stati sembrano in grado di affrontare. 

Le conseguenze sulla salute

Un aumento delle migrazioni e delle relative conseguenze sociali determinano: un aumento di tassi di aggressività, violenza, criminalità, dell’instabilità sociale e una riduzione della coesione sociale, un aumento dei tassi di criminalità (Hsiang et al., 2013)  e un aumento dell’utilizzo di droghe e alcol (Willox et al., 2013; Innocenti, 2022). L’impatto sui mezzi di sussistenza alle persone e la perdita di vivibilità dei luoghi più esposti ad avversità climatiche estreme stanno forzando una porzione sempre più estesa di cittadini nel mondo ad emigrare sia all’interno dei confini dei loro Paesi sia all’estero. Queste persone sono costrette a rinunciare a ciò che contribuisce in modo sostanziale a conservare intatta e riconoscere la continuità della loro esistenza: i propri oggetti, le proprie abitudini alimentari, il loro lavoro e le loro radici immerse profondamente nella terra del luogo che sentono ancestralmente proprio. Uno studio condotto da Tuason et al. (2009) ha dimostrato come le vittime delle inondazioni erano particolarmente turbate dalla perdita di beni personali.Perdere oggetti preziosi quando una casa viene danneggiata o distrutta può, infatti, compromettere significativamente il senso di sé di un individuo e l’identità (Innocenti, 2022). Semplicemente, anche gli oggetti aiutano a fornire un continuo senso di chi siamo, in particolare oggetti che rappresentano momenti importanti della vita (come i diari), delle relazioni (come i regali o le fotografie) o della propria storia personale e/o familiare (Dittmar, 2011). 

Una forzata e brutale eradicazione dai propri luoghi di origine, fa sì che queste persone non possano neanche fruire degli effetti benefici legati al sentirsi “a casa” in un luogo. Per questi motivi, i migranti ambientali sono estremamente a rischio di sviluppare un’ampia gamma di conseguenze psicologiche: lo stress post-traumatico associato alle reti sociali frammentate, alla separazione dalla famiglia, al senso ridotto di appartenenza, conduce allo sviluppo di ansia, depressione e comportamenti aggressivi. Sintomi che vanno ad accentuarsi anche a causa di difficoltà economiche come alloggi inadeguati, scarsa educazione e insicurezza lavorativa. Evidenze provano, inoltre, come in simili contesti ci sia un aumento del tasso di dipendenze da alcol e droghe e di quello dei suicidi. Questa condizione, già molto complessa di per sè, è ulteriormente complicata dal fatto che a livello giuridico i migranti ambientali sono fuori dal diritto alla protezione internazionale e hanno un fondato timore di subire persecuzioni in ragione della propria razza, nazionalità, religione, opinioni politiche ed appartenenza ad un gruppo sociale. Tutto questo implica che i migranti ambientali giunti nel luogo di arrivo non hanno la certezza di ricevere aiuti, sussidi e di godere di alcuni dei fondamentali diritti. Si trovano, invece, ad affrontare condizioni di accoglienza ostili e si vedono negati i diritti umani di alloggio adeguato, appartenenza e identità di popolo (Innocenti, 2022). La coesione sociale rappresenta, quindi, un’arma di estrema importanza nella lotta al cambiamento climatico. 

Quando si considerano gli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute globale e mentale degli individui deve essere necessariamente preso in considerazione il tema delle migrazioni climatiche e le loro conseguenze sociali, economiche e sanitarie. In particolare, per fronteggiare le conseguenze sanitarie delle migrazioni, devono essere sviluppati piani di assistenza che coinvolgano, non solo gli addetti alla sanità, ma anche le strutture sociali. Infatti, una buona promozione della coesione sociale è uno strumento spesso trascurato, ma cruciale nel rafforzare la resilienza climatica e l’adattamento.

Articolo a cura di: Matteo Innocenti, Italian Climate Change Anxiety Association, Istituto Psicologico Italiano e Ilenia Maria Calafiore, Italian Climate Change Anxiety Association

Bibliografia:

McAdam, Jane, Climate Change, Forced Migration and International Law, Oxford University Press, 2012

Traore Chazalnoel, Mariam, Climate Refugees, Global, local and critical approaches, Edited by Behrman, Simon, Cambridge, University Printing House, 2022

Nansen Initiative, “Agenda for the protection of Cross-Border Displaced Persons in the Context of Disasters and Climate Change” si può leggere qui https://www.unhcr.org/5448c7939.pdf .

Choi, S.-W., & Salehyan, I. (2013). No Good Deed Goes Unpunished: Refugees, Humanitarian Aid, and Terrorism, in Conflict Management and Peace Science, Vol. 30, No. 1, 2013, pp. 53-75, http://www.jstor.org/stable/26275275

New study links climate change, land degradation and migration, United Nations Convention to Combat Desertification, 20.02.2023,  https://www.unccd.int/news-stories/stories/new-study-links-climate-change-land-degradation-and-migration-central-asia

Hsiang, S. M., Burke, M., & Miguel, E. (2013). Quantifying the influence of climate on human conflict. Science, 341(6151).

Cunsolo Willox, A., Harper, S. L., Ford, J. D., Landman, K., Houle, K., & Edge, V. L. (2012). “From this place and of this place:” Climate change, sense of place, and health in Nunatsiavut, Canada. Social science & medicine, 75(3), 538-547.

Innocenti, M. (2022). Ecoansia: i cambiamenti climatici tra attivismo e paura. Edizioni Centro Studi Erickson. 

Tuason, M., Teresa, G., Güss, C. D., & Carroll, L. (2012). The disaster continues: A qualitative study on the experiences of displaced Hurricane Katrina survivors. Professional Psychology: Research and Practice, 43(4), 288.

Dittmar, J. E. (2011). Information technology and economic change: the impact of the printing press. The Quarterly Journal of Economics, 126(3), 1133-1172.

Foto di copertina:  https://cutt.ly/H5Voyef  1981

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