02
Giu

SB52: Negoziatori al lavoro per allineare gli obiettivi climatici

di Anna Laura Rassu e Jacopo Bencini

Questo articolo fa parte del Bollettino ICN dai Negoziati Intermedi 2021 (UNFCCC SB52) – per iscriverti al nostro Bollettino, visita www.italiaclima.org

(foto: Alex Lang, Flickr)

I contributi nazionali volontari presentati da ogni Stato (Nationally Determined Contributions, NDCs) possono essere considerati il cuore del meccanismo dell’Accordo di Parigi per quanto riguarda la riduzione delle emissioni. Essi permettono ad ogni paese di presentare una serie di azioni da intraprendere per la riduzione delle emissioni adattata alla propria economia ed al proprio territorio, secondo il principio del rispetto delle capacità e responsabilità di ognuno. I primi INDCs (ovvero gli NDC preliminari) presentati dal 2015 da 193 paesi non risultavano sufficienti, cumulativamente e se completamente rispettati, a raggiungere gli obbiettivi dell’Accordo, ovvero contenere il riscaldamento globale dal periodo preindustriale al 2100 ben al di sotto dei 2°C.  Lo stesso si può dire degli NDCs attualmente depositati presso l’UNFCCC, molti dei quali aggiornati e migliorati, tuttavia ancora cumulativamente insufficienti. Gli NDCs sono tuttavia concepiti dell’Accordo come ciclici: essi devono essere periodicamente aggiornati alzando di volta in volta l’asticella dell’ambizione. Le tempistiche di rinnovo e scadenza degli NDCs rimangono comunque una questione ancora aperta e politicamente delicata.

La maggior parte dei paesi ha presentato un NDC con copertura temporale 2021-2030, con l’eccezione delle Isole Marshall (obiettivo al 2025). Alla COP24 di Katowice, nel 2018, gli Stati si accordarono sulla necessità di scadenze comuni per gli NDCs da applicare dal 2031 in poi, esplicitando varie opzioni: obiettivi a 5 anni, obiettivi a 5+5 anni (doppio programma con obiettivi progressivi), obiettivi a 10 anni con “tappe” intermedie, oppure un doppio sistema con scelta tra 5 e 10 anni. Nella successiva COP di Madrid, nel 2019, la conferenza si chiuse senza un accordo sul tema. Al momento non esiste quindi una tabella di marcia comune, anche se l’articolo 4.10 dell’Accordo di Parigi indica chiaramente che i paesi dovranno accordarsi per trovarla.

Il tema è stato discusso nuovamente, dopo un anno e mezzo di stop, nel pomeriggio del 1 giugno. Il negoziato è ripartito da un documento informale stilato dall’SBI, l’organo sussidiario per l’implementazione dell’UNFCCC, che raccoglie i punti di vista dei vari paesi così come sono stati espressi nel giugno 2019 nella sessione negoziale immediatamente precedente alla COP di Madrid: la regola vuole infatti che quando un negoziato non va a buon fine si riparta dalle considerazioni dell’ultima sessione negoziale immediatamente precedente. Nel documento si prendono in considerazione le opzioni di cui sopra, con ulteriori dubbi in merito alle date di comunicazione e inizio del periodo considerato dai nuovi NDC, che potrebbe essere fissato a partire dal 2030 (da comunicarsi entro il 2025) o dal 2035 (da comunicarsi entro il 2030). Ulteriore incertezza rimane in merito al linguaggio, sussistono ad esempio differenze sostanziali tra la formulazione “la tabella di marcia comune deve essere di 5 anni” o “dovrebbe essere di 5 anni”. Come in tutto il testo dell’Accordo, la declinazione di un singolo verbo può concedere più o meno libertà di azione ai singoli Stati.

Molti delegati presenti hanno sottolineato l’importanza di arrivare ad un ciclo quinquennale di revisione per alzare l’ambizione e affinché il processo si possa allineare con il meccanismo del Global Stocktake, il meccanismo dell’accordo che monitora i progressi collettivi e aggiorna, in termini di emissioni, mitigazione, adattamento e finanza, la comunità internazionale proprio ogni 5 anni. Non ultimo, molti osservatori vedono nello scenario di obiettivi nazionali a 10 anni la possibilità di posticipare l’azione climatica troppo in avanti nel tempo, continuando a sfruttare l’attuale sistema economico-produttivo (con relativi livelli emissivi) sino ad un punto “x” finale di quello che sarebbe a tutti gli effetti un plateau prolungato, da aggredire (solo verso la fine del periodo) con tecnologie più sviluppate e probabilmente meno costose di oggi – in questo scenario, sebbene la riduzione finale delle emissioni potrebbe effettivamente coincidere con gli obiettivi dichiarati, il paese potrebbe continuare ad emettere indisturbato per buona parte del periodo di copertura dell’obiettivo, aumentando quindi la concentrazione complessiva di climalteranti in atmosfera.

Come in precedenti negoziati sono emersi due fronti: chi sostiene obiettivi a cinque anni, chi a dieci anni. Tra i sostenitori di maggiore ambizione e tempi stretti e certi l’Environmental Integrity Group (rappresentato dalla Svizzera), il gruppo dei paesi latinoamericani e caraibici (rappresentati da Panama), i paesi meno sviluppati (rappresentati dal Bangladesh), il gruppo africano (rappresentato dallo Zimbabwe), il Sud Africa, l’Australia e gli Stati Uniti d’America. A favore di obiettivi a dieci anni invece la Cina (in rappresentanza dei Like-Minded Developing Countries), che non vede come forieri di minore ambizione NDCs a più lungo raggio, anzi utili ai paesi in via di sviluppo per sviluppare e consolidare le proprie strategie, l’Arabia Saudita (in rappresentanza del gruppo arabo), la Russia, il Giappone ed il Brasile. L’Unione Europea, pur spingendo verso la maggiore ambizione possibile, ha mantenuto un profilo di mediazone. Proprio il Brasile ha infine sollevato una questione rispetto al proprio prossimo NDC, che il paese vorrebbe far partire dal 2025 con obiettivo decennale al 2035, anche diversamente da Cina ed Arabia Saudita che invece vorrebbero coprire il periodo 2031-2040. Questo ulteriore possibile scollamento temporale tra gli NDC di alcune delle principali economie mondiali riflette la necessità di un coordinamento che, al momento, sembra non esserci – d’altra parte, come sostenuto dalla Federazione Russa, gli NDC sono contributi determinati a livello nazionale e debbono pertanto rispondere a esigenze nazionali.

La sessione, in cui è comunque emersa la necessità comune di prendere una decisione definitiva a novembre a Glasgow, si è chiusa senza una sintesi. La discussione è stata aggiornata al 10 giugno, anche in considerazione di prossime riunioni “informali-informali” aggiuntive (richieste, tra gli altri, dal Bangladesh). Obiettivo realistico per questo giugno, arrivare a restringere il ventaglio delle opzioni verso COP26.

Questo articolo fa parte del Bollettino ICN dai Negoziati Intermedi 2021 (UNFCCC SB52)
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